“Quanto accaduto domenica 19 agosto a Chiaromonte è di una gravità assoluta e testimonia, una volta di più, come questa nostra regione sia allo sbando, ormai da troppo tempo, amministrativo, sociale, antropologico, culturale, spirituale, politico. Essendo venuti a conoscenza attraverso articoli di quotidiani locali e video, dello scempio perpetrato ai danni di un popolo, nel caso di specie, quello lucano, che non merita tutto questo e chi tutto questo consente – prosegue Valeria Giorgio, referente regionale del Popolo della Famiglia, riferendosi all’esibizione dei ‘Death SS’, svoltasi nell’ambito della XXIV edizizione dell’Agglutination Metal Festival – riteniamo che le autorità competenti per materia debbano verificare se le norme vigenti siano state rispettate o possano essere applicate. Ci riferiamo in particolare alla legge 25 giugno 1993 n. 205, che incrimina tanto le violenze quanto l’incitamento alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, e incendiare crocifissi, usarli per atti di autoerotismo o come sostegno per il microfono ci pare che rientri ampiamente nella fattispecie, in combinato con la legge 654 del 1975. Nello specifico la legge 205 all’articolo 724 recita: “Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità, è punito con la sanzione amministrativa da euro 51 a euro 309 […] La stessa sanzione si applica a chi compie qualsiasi pubblica manifestazione oltraggiosa verso i defunti”. Va ricordato che la Corte Costituzionale con la sentenza 27 marzo 1992 evidenzia come sia da considerare fuori di luogo “il voler ricondurre la bestemmia alla manifestazione del pensiero e alla libertà costituzionalmente garantita di tale manifestazione (sia sotto il profilo dell’art. 21 che dell’art. 19 che, del primo, costituisce specifica enunciazione). Ciò che, invero, viene sanzionato, con la norma in questione, è il fatto di bestemmiare con invettive e parole oltraggiose: non la manifestazione di un pensiero, ma, una manifestazione pubblica di volgarità”. L’articolo 404 del codice penale, recita testualmente: “Chiunque, in luogo destinato al culto, o in luogo pubblico o aperto al pubblico, offendendo una confessione religiosa, vilipende con espressioni ingiuriose cose che formino oggetto di culto, o siano consacrate al culto, o siano destinate necessariamente all’esercizio del culto, ovvero commette il fatto in occasione di funzioni religiose, compiute in luogo privato da un ministro del culto, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000. Chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde, deteriora, rende inservibili o imbratta cose che formino oggetto di culto o siano consacrate al culto o siano destinate necessariamente all’esercizio del culto è punito con la reclusione fino a due anni”. Non entriamo nel merito delle prese di posizione espresse dalla comunità locale religiosa e politica, riteniamo però che fatti di questa gravità meritino l’attenzione di uno Stato che non può e non deve abdicare al suo ruolo di garante laico e non ateo, ricordando che la laicità dello Stato implica il rispetto del sentimento religioso e non il suo oltraggio – conclude Valeria Giorgio.