Il cantautore originario della Basilicata e lombardo d’adozione Luciano Nardozza lancia, da un’urgenza tanto sociale quanto personale,“Rana bollita”: tra rap e metal uno stimolo alla riflessione. Un brano sull’utilizzo delle parole e sulla legittimità del farsi domande, al di fuori di ogni precedente schema musicale. “La rabbia è fondamentale, se fatta confluire in modo pacifico in una azione che abbia forza, che possa esprimere quello che viviamo. Se la si congela si trasforma in depressione”.
Ci sono volte in cui usare il rap diventa la scelta più naturale, anche per chi rapper non è affatto. Del resto, “non si può girare una vite con una chiave a brugola, ci vuole uncacciavite. Occorre scegliere l’utensile giusto”.
É così che Luciano Nardozza – cantautore e musicista indipendente e apartitico, dal 2017 attivo come solista tra pop e rock – ha fatto ricorso al rap amalgamato a una buona dose di metal per dare vita a Rana Bollita, brano che condivide sulle principali piattaforme digitali, fuori da ogni previsione artistica, album, schema commerciale.
Un brano sull’utilizzo delle parole, “che soprattutto oggi ha assunto la valenza di vera e propria arma di ‘distrazione di massa’’ – spiega Luciano.- Basti pensare al termine ‘complottista’, messo in giro nel ’64 proprio quando la versione ufficiale della commissione Warren sul caso Kennedy veniva messa in dubbio da taluni sulla base di evidenti falle e incongruenze. La parola divenne quindi il mezzo tramite cui i poteri forti potevano far sì che la massa percepisse ogni dubbio sulla verità ufficiale come assurdo e totalmente infondato, ridicolo”.
Un brano sulla legittimità (qualora ce ne fosse ancora bisogno) del farsi domande, anche scomode, senza dover essere per forza ‘etichettati’, e il cui Il riff di base è nato in pochi minuti assieme a tutto il resto: “Nuovamente, oggi, la parola all’ordine del giorno è‘negazionista’, utilizzata per la prima volta contro coloro che negavano un qualcosa di orrendo e purtroppo reale come l’olocausto, ma allargata in questo momento storico – non si sa perché – a coloro che in modo pacifico mettono in discussione anche solo la gestione sanitaria e politica della ‘pandemia’. Di nuovo, sapienti armi di distrazione di massa”.
La genesi di Rana Bollita: la rabbia, il desiderio di risveglio
Nell’autunno di questo storico 2020 Luciano Nardozza sente chenon avrebbe potuto continuare a fare il tipo di arte “intimista” alla quale era abituato, parlando di amore, spiritualità, emozioni profonde “mentre tutto intorno a me si ergevano forti e indisturbate le conseguenze nefaste di quello che è il ‘pensiero automatico’, sub-umano, che viene sfruttato dagli organi di potere per manipolare le coscienze”.
“E mentre la gente diventava più esasperata, più disperata dalla crisi economico-sociale in atto, coloro che avrebbero dovuto guidarci fuori daquesto pasticcio cercavano di venderci in conferenze stampa ufficiali i favolosi effetti dell’introduzione del cashback (per una società ‘cashless’), con addirittura lotterie e premi degni dei migliori imbonitori, dimenticando che la gente, per spendere del denaro – sia esso fisico o virtuale – deve prima possederlo.
A quel punto ho imbracciato l’unica arma che io possegga, la chitarra. Ho sentito che tutta questa insofferenza, questa rabbia, questa incredulità, doveva essere trasformata, sublimata in qualcosa di forte, incisivo e che potesse avere un effetto di risveglio delle coscienze.
Credo che la rabbia sia fondamentale, che vada fatta confluire in modo pacifico in una azione che abbia forza, che possa esprimere quello che viviamo. Se la si congela si trasforma in depressione. Guardate un bambino sano: esprime la sua gioia e la sua rabbia con naturalezza perché è qualcosa di vitale. Per i poteri forti è meglio avere a che fare con gente depressa che arrabbiata, certo, così come per un genitore è meglio che il bimbo vivace stia in un angolo tutto tranquillo, così non dà fastidio”.
Restare arrabbiati però non serve a nulla: “Bisogna conservare il senso della prospettiva e soprattutto la lucidità mentale affinché questo grosso motore – la rabbia – venga guidato dalla Consapevolezza, in modo da svolgere il nostro compito avendo sempre in mente la realizzazione di qualcosa che faccia bene a tutti”.
Cantautore, chitarrista, Luciano Nardozza è attivo sulla scena musicale italiana dal 2017 col suo primo album in italiano dal titolo “Di Passaggio”, indagine sulle emozioni che caratterizzano le varie fasi di una storia d’amore. Finalista a Capitalent 2017 (tra oltre 4000 proposte), vincitore del Festival Villeggendo 2017, sul podio al Varigotti Festival ’18, finalista al Premio De André 2019, targa Riccardo Mannerini 2019 per il miglior testo, ama tantissimo suonare live.
A maggio 2019 esce il suo secondo album, “Fuori Luogo”, che lo vede collaborare con artisti quali Gianluca Misiti (tastierista per Daniele Silvestri, Max Gazzè) e Piero Monterisi (batterista per PFM, Tiromancino, Daniele Silvestri) e che riscuote ottimi risultati in classifica (il singolo Quel che avvicina al bene entra immediatamente in seconda posizione nella Classifica Italiana Indipendenti Emergenti, permanendovi per oltre un mese).
A gennaio 2020 lanciaIl Nastro d’Argento, singolosul tema della clandestinità, proposto e scartato al settantesimo Festival di Sanremo.
A marzo dello stesso anno, durante l’esperienza di isolamento totale vissuto tra i primi, nella zona rossa simbolo d’Italia – il basso lodigiano – pubblica il brano Zona Rossa, una “instant song” (scritta e prodotta autonomamente in 24 ore) che è una riflessione sulla condizione di recluso e sulla vera libertà dell’individuo.