Riportiamo di seguito la lettera inviata dal direttore d’orchestra Giovanni Pompeo rivolta al suo amico e professore di origini pomaricane Antonio Bonavista, a 10 anni dalla sua scomparsa avvenuta il 31 gennaio 2011. Di seguito la nota integrale.
Il ricordo della telefonata ricevuta da una comune amica, la mattina presto dell’1 febbraio (che avevo creduto fosse per il mio compleanno) è indelebile da (già) 10 anni. Senso di incredulità e di stupore, che si tramutarono, con il passare delle ore, in un orgoglioso contegno e distacco di fronte a un evento così traumatico. Sì, contegno e distacco, perché il rapporto con Antonio era basato su un comune sentire rispetto all’arte, alla cultura, e, anche, ai fatti quotidiani della vita sociale e politica: un’intima passione per la Verità profonda dei fenomeni, che mal si legava con le esigenze, le necessità e le regole del quotidiano. Di qui, anche nell’ultimo incontro avvenuto proprio a Torino, la consapevolezza di una forte fiducia e stima, che relegavano in secondo piano i non così radi diverbi. Spirito battagliero e tenace, sovente aspro negli atteggiamenti, sempre convinto della giustezza delle proprie argomentazioni, tanto da sconfinare, qualche volta, nel privilegiare la propria Idealità a scapito del possibile, probabile e vicino tornaconto personale.
Il Festival Vivaldiano, di cui Antonio ha voluto fortemente ne assumessi la direzione artistica-musicale, è stato un sogno, oserei dire felliniano: chi avrebbe mai “osato” associare con tanta pregnanza e cocciuta volontà il nome di un piccolo borgo della piccola Basilicata con uno dei massimi musicisti di tutti tempi, presentando le musiche del Prete rosso con tutta una serie di espressioni artistiche a Lui collegate, con scrittori, artisti, musicisti di rilievo nazionale ed internazionale? Oggi potrebbe apparire facile (dopo Matera 2019), ma invito a considerare quale era la riconoscibilità del nostro territorio 15 anni fa: solo così si potrà guardare con la giusta prospettiva un lavoro che, lungi da aspirazioni “ingenue” attribuitegli, ha rappresentato una Azione culturale, sociale, etica e Politica lungimirante. Parafrasando Gustav Mahler, “la tradizione non è culto delle ceneri ma custodia del fuoco”: e allora, manteniamo vivo il fuoco di Antonio, vivo ed indomabile, impossibile da imprigionare, e proviamo, ora, a dieci anni dalla sua morte, ad alimentarlo, sì da infondere nuova energia al suo sogno, al sogno di una intera comunità.