Intervista a Fulvio Caporale: la canzone popolare tra passato e futuro
Innamorato della sua terra natale, Trivigno, ha scelto di ritornarci dopo aver vissuto in Campania e in Sardegna. Il musicista, scrittore e già docente di italiano e latino, Fulvio Caporale, è un uomo del Sud pronto a scommettere sui piccoli territori perché proprio da realtà non convulse e dove sono vive le tradizioni e l’amore per la cultura, possono nascere grandi progetti. Il prossimo progetto di grande respiro, a cui parteciperà il compositore trivignese con sua figlia Rosella, in veste di cantante solista, presentando il suo brano inedito napoletano “Luna Saracena”, è “Two countries, one heart”. Un gemellaggio tra Usa e Italia, organizzato in partnership dal Conservatorio di Musica “C.Pollini” di Padova, dal produttore musicale Marco Lincetto e dall’American Initiative For Italian Culture (AIFIC) e con il patrocinio dell’Ambasciata italiana a Washington. Obiettivo dell’iniziativa è la valorizzazione dei migliori giovani talenti e vedrà il coinvolgimento di un’orchestra sinfonica composta da 70 musicisti che accompagnerà Rosella e un’altra grande cantante americana, Cheryl Porter, nei concerti di gala in programma a Padova il prossimo 17 ottobre e a Washington il 5 aprile 2016.
Quando ha compreso che la musica era la strada che avrebbe percorso? Perché?
Il mio percorso musicale trova origine nell’infanzia. Da bambino seguivo mio padre, fondatore della banda musicale di Trivigno negli anni ’30. Non perdevo nessuna esibizione: erano per me appuntamenti tanto attesi. Crescendo ho continuato a coltivare questa passione che ho poi trasmesso ai miei cinque figli, Angela, Vito, Rosella, Serena e Delio. Le prime canzoni mi divertivo a farle con complessi giovanili ma sono un autodidatta che non ha frequentato il Conservatorio né altre scuole specializzate. Dopo la laurea in “Materie letterarie e pedagogia”, ho insegnato per un decennio in una scuola primaria sarda e in seguito, per circa 14 anni, in un liceo scientifico del Salernitano. In tutti questi anni non ho mai smesso di comporre brani musicai e il mio primo successo è stato “Coccio di vetro”, cantato da Bruno Venturini negli anni ’60. Ho deciso anche di lasciare l’insegnamento per dedicarmi completamente alla mia vocazione artistica.
L’amore per la Lucania e quello per la musica si sono incontrate e hanno dato dei frutti?
Entrambe sono sempre vive e hanno trovato espressione, tra l’altro, in “Lucania”, sigla della prima edizione del “Trivigno Festival”, dedicato agli artisti di piano-bar, cantata da mia figlia Serena. Composta nel 2000, è la canzone che amo maggiormente. E’ ispirata alla musica greca anche perché del resto la grande Lucania, terra di luce, è porta dell’Europa e area geografica della Magna Grecia. La musica leggera della grande tradizione italiana, che poi è quella napoletana, è il mio genere preferito ed è un genere immortale. Non è solo quello dei nostri genitori, arriva al cuore di tutti. Con una forza autentica.
Oltre 70 anni suonando. Un forte temperamento e una luce nello sguardo che possiede chi esprime se stesso e si confronta con un linguaggio universale, quello musicale, capace di muovere gli animi. Quale sarebbe il giusto coronamento della sua carriera?
Mi piacerebbe che la canzone “Lucania”, che ha ricevuto apprezzamenti dalla critica e dal pubblico, diventasse davvero un giorno l’inno della Basilicata. Sovente sono i luoghi della propria infanzia, con il loro patrimonio materiale e immateriale, a suscitare emozioni e ispirare artisti. E la Basilicata non lascia indifferenti. Con il suo fascino, la dimensione umana, la natura intatta e rispettata, ha stimolato la mia creatività. Trivigno, in particolare, dove ho vissuto fino all’età di nove anni, è la mia isola verde. Lo scrigno dei miei ricordi di bambino. Anche i miei figli sono legati a questo borgo lucano. Soprattutto Rosella che ha acquistato e completamente ristrutturato un vecchio palazzo e, pur vivendo a Padova, appena può si rifugia in questo piccolo mondo antico.
Ha due libri al suo attivo ,”Il guerriero Lamisco” e “Prove tecniche di secessione”; ha dato vita al mensile di cultura meridionalista “La Grande Lucania”; ha organizzato il Coro polifonico “Trivigno e le Due Sicilie”; ha scritto canzoni in collaborazione con Austin Forte, Roberto Murolo, Nicola Arigliano. Con quest’ultimo ha composto “Tre sette a quattro” che è diventata poi sigla della trasmissione “Zelig”. Qual è stata la soddisfazione più grande ?
Sono tutte attività che mi hanno appagato ed emozionato. Chissà forse l’emozione più grande devo ancora viverla. Di sicuro vedere i miei figli seguire le mie orme mi ha donato una gioia immensa e continuano a darmi soddisfazioni fin da quando nel 1994, riuniti nel gruppo Baraonna, hanno cantato “I giardini d’Alhambra” a Sanremo vincendo il Premio della Critica.
A suo avviso si è verificato qualche cambiamento significativo nel campo della musica contemporanea?
Trenta anni fa i confini tra i generi musicali erano quasi impenetrabili. Alla maggior parte degli ascoltatori, dei musicisti e degli artisti non interessava guardare oltre l’orizzonte. Non era di moda pensare fuori dagli schemi. Mi auguro che oggi questo atteggiamento possa essere considerato solo una questione appartenente al passato. Il cambiamento più significativo risiede infatti nell’annullamento dei confini.