140 anni fa Giovanni Pascoli era docente di latino e greco presso il Liceo Classico “Duni” di Matera. L’1 novembre 1882 il poeta dedicava una poesia alla sorella Marilù per il suo sedicesimo compleanno. Di seguito il testo di Giovanni Caserta.
Da meno di un mese, 140 anni fa, l’1 novembre 1882, Pascoli era a Matera, quale docente di latino e greco presso il Liceo Classico “Duni”, quell’anno diventato statale. Vi era arrivato il 7 ottobre 1882, da Bari. A Grumo aveva preso la carrozza a cavalli che collegava Grumo a Matera. A Grumo aveva imbucato una lettera per le sorelle, comunicando loro le prime spiacevoli impressioni. Grumo, tra il buio delle prime ombre della sera, veniva descritta come “un orribile villaggio, puzzolente, fangoso”. Il viaggio era poi proseguito fra “molto trabalzar di vettura, per vie selvagge attraverso luoghi […] sinistramente belli”, notturnamente intravisti. Qualcosa di simile avrebbe scritto il 27 luglio 1902 al diletto alunno Michele Fiore, a vent’anni di distanza, utilizzando immagini da romanticismo nordico. “Io ascesi – scriveva – una notte tra foreste paurose al lume della luna, cullato dalla carrozza, dalle dolci e monotone canzoni del postiglione”.
Era una visione tutta letteraria, che però, anche a distanza di tanto tempo, tradiva lo stato d’animo del passeggero, emigrante, che, triste e solo, vedeva foreste dove al massimo c’era qualche mandorleto o oliveto. Quasi sicuramente, a dargli una immagine tanto terrificante, dovette contribuire non poco la pioggia, che l’accompagnò fin nella città di Matera, e,probabilmente, fin nella piazza del Sedile o Municipio Vecchio, allora detta piazza del Popolo, a 150 metri dal Liceo. E poiché non c’era possibilità di pagarsi un albergo, né aveva senso, data l’ora, riparatosi in un portone o sotto un arco, aspettò l’apertura della scuola, dove, in quei giorni, si svolgevano gli esami di riparazione.
Arrivava intanto un compleanno, quello della sorellina Maria, che compiva 16 anni il 1° novembre. Era l’occasione perché il fratello pellegrino prendesse la penna e scrivesse a casa. Era il 29 ottobre.Era una giornata di avanzato autunno, diversa da quelle che stiamo vivendo quest’anno. Fuori la pioggia “strosciava”; c’era un temporale con grandi tuoni. Un vero “sconvolgimento”. Il giovane professore, solo in un paese sconosciuto, si sentiva “non stanco ma stufo”. Quasi sicuramente,nelle stesse ore, scriveva alcuni versi, in due quartine, citati dalla sorella Maria. C’è, infatti, una impressionante corrispondenza di immagini e di parole tra la lettera e la poesia. Si legge in quelle quartine:
Stroscia (sic) la pioggia, sibila il vento;
per tutto il ciel corre un fragor;
di tra il notturno sconvolgimento
a te, sorella, vola il mio cuor.
Vola il pensiero del cuor, sul nembo
vola; la nube fende, a te vien.
Viene a posarsi sopra il grembo
e si ritrova nel dì seren.
Matera era un lontano ermo paese, in cui si arrivava malvolentieri. Dopo un anno, professori e impiegati chiedevano il trasferimento, alcuni accusando la distanza, altri il clima umido, Pascoli lo scirocco, che, quando c’era, faceva dormire il cervello della grossa.
Non trovava nulla di particolare da mandare alle sorelle. Non poteva dare nemmeno lezioni private, necessarie per arrotondare il misero stipendio. In compenso, grande consolazione erano gli alunni, pochi in verità, provenienti non dal ceto nobile. I rampolli del certo nobile, infatti, frequentavano, fuori, le costose scuole private dei Barnabiti e degli Scolopi.I ragazzi del Pascoli, invece, provenivano dal ceto medio-basso, appena emergente. Quei ragazzi erano come rondinini affamati, che dal rondone Pascoli cercavano di assorbire tutto quanto potevano e doveva servire a riscattarli socialmente. C’era, fra gli altri, Nicola Festa, figlio di un piccolo impiegato comunale, Francesco Paolo, autore di una storia di Matera e di poesie dialettali in materano. Nicola Festa era destinato a diventare grande latinista e grecista presso l’Università La Sapienza di Roma. Vi avrebbe istituito la facoltà di Bizantino. C’era Michele Fiore, di Pomarico, amatissimo dal Pascoli, che, per la morte prematura del padre, non andò oltre la professione di avvocato; e c’era Giuseppe Guerricchio, il nonno di Ginetto, massaro, nato a Matera il 9 gennaio 1864,abitante con la famiglia nei Sassi,in via San Pietro Caveoso, al numero 12. Fattosi farmacista, Giuseppe voltò le spalle ai Sassi e andò ad abitare sul piano. Forse in Ginetto operò una forma di scrupolo per questo “tradimento”del nonno. Per questo, forse, volle fare il percorso al contrario. Si spiegherebbe, cioè, il suo costante affaccio sui Sassi, e il suo pietoso piegarsi sui suoi abitanti, al Pascoli apparsi quali “trogloditi”.
Nella fotogallery l’inaugurazione in via Ridola del busto di Giovanni Pascoli realizzato dall’artista materano Raffaele Pentasuglia (foto www.SassiLive.it)