Riportiamo di seguito il commento del professore materano Giovanni Caserta a “Donna Vincenza”, la Lirica di Anna Donata Nobile, per ricordare in occasione dell’otto marzo la figura di Vincenza Castria.
Lirica di Anna Donata Nobile, omaggio-ricordo di Vincenza Castria (28 febbraio 1922-4 settembre 1999).
“È una canzone – commenta Giovanni Caserta – nel senso epico- celebrativo. Potrebbe anche definirsi, meglio, “lamento” o “pianto”, come per i caduti per nobili battaglie sociali e civili. “Lamento” o “pianto” è anche il racconto di Francesca Armento, madre di Rocco Scotellaro; “lamento” o “pianto”, in “Le parole sono pietre”, è quello della madre sul feretro del figlio sindacalista Salvatore Carnevale, ucciso dalla mafia siciliana.
Vincenza Castria – ricorda ancora Caserta – fu grande protagonista, combattente nella lotta per la terra nelle campagne di Lucania. In un funesta mattina, purtroppo, il suo compagno e marito, Giuseppe Novello, a Montescaglioso, bracciante, cadeva sotto i colpi del mitra di un carabiniere. Era il dicembre 1949. Appena qualche mese dopo, sotto l’ urto di quel tragico episodio, veniva emanata la legge di Riforma Agraria. Era la prima grande vittoria contadina del secondo dopoguerra.
Rimasta vedova con un figlio, Vincenza Castria, unita a Ciro Candido, un nuovo onesto e generoso compagno, militò nel PCI e nell’UDI anche a livello nazionale, intensificando la sua battaglia per il Sud, quindi per la donna, lungo la sua intera vita. In riconoscimento delle sue coraggiose battaglie, le è stata dedicata una strada a Montescaglioso e una strada a Matera”.
Donna Vincenza
Sulle lastre di pietra del corso
riecheggiano i passi ferrati,
le voci di un lontano e stanco corteo.
Erano braccianti,
erano affamati e sospesi,
erano in attesa.
Nel sole infuocato della sera,
facevano ritorno
dai freschi campi,
pronti ad accogliere
la semina che ancora tardò.
Giunsero presto le gelide giornate.
L’ostilità sdegnosa, nella caligine della notte,
frenò in un colpo assordante
il coraggioso tumulto.
Dalla collina scesero rivoli scarlatti.
Giunse l’alba.
Il vento sollevò il denso e bianco velo
e sparse ovunque dolore e rabbia.
Non ci furono più le voci del corteo.
Le avevano portato via
quel giovane soldato forestiero,
a lei tornato
a condividere speranze.
I giorni che avevano sognato insieme
non conobbero più
i colori e i profumi dei fiori
e le gioiose melodie dei canti
che si sarebbero scambiati.
Vestiva di nero adesso.
E ritornava l’assenza di un uomo.
E ritornava l’intensità del ricordo
della bambina stretta al padre,
in un desiderato abbraccio
sfumato in sicuro abbandono.
Nelle sue tenere mani,
in dono per la vita,
un piccolo garofano rosso
ed ora un bambino da crescere.
Entrava nell’incerto futuro
da madre sola.
Non avrebbe fallito,
attingendo all’alchimia delle cure
di cui aveva goduto.
La sua forza era sorta
in quella grande casa,
originata dalla donna
che più non l’abitava,
maestra di tanti,
che in lei accese
l’amore per gli altri
l’amore per il sapere,
la strada che rende liberi.
A lei fu grata per sempre.
Quella casa,
dove tutto era accaduto,
non poté più accoglierle.
E la donna dedita ai lavori
e la sua piccola bambina,
destinata maestra,
tornarono
alla stanza del basso,
con lo sguardo sulla vallata
dagli ampi orizzonti.
Per sopravvivere,
accanto alla mamma
imparò duri mestieri.
L’incanto della campagna
e le pagine di un libro
addolcivano la fatica.
Una costellazione di donne diverse,
straordinariamente pronte
a strappare mitezza
ad una vita arcigna,
le aveva instillato
il germe dell’emancipazione.
Forte si fece sentire,
la benevola e riflessiva
giovane donna,
rimasta sola.
Urlò mestamente
l’urgenza del cambiamento
per la comunità intera.
Incontrò donne e uomini importanti,
senza averne timore.
Sbalordiva la sua sicurezza,
mentre invocava il diritto di tutti
al lavoro,
ad una vita dignitosa.
La cortina dei ruoli,
minata dal suo essere,
cominciava a vacillare.
La giovane donna
continuava incrollabile,
spinta com’era
dal valore di grandi ideali.
Solo l’azione di eroi e di eroine,
il loro coraggio fino al sacrificio
può cambiare le sorti di una terra
e della sua gente.
Le donne del mio paese provarono
a lottare per un campo soverchio
e furono private finanche della libertà.
I figli restarono soli,
in treno giunsero al Nord.
E fu il tempo della militanza condivisa
col nuovo compagno di vita.
Con lui il futuro incerto
prese le forme
di una quotidianità serena
sempre combattiva
per la giustizia sociale,
per il bene comune,
per l’uguaglianza.
Stupiva l’originalità e la bellezza
di quella coppia,
al pari protagonisti
dei fatti per un futuro migliore.
Se la Storia cancella le storie,
il vomere delle tracce
riporta alla luce
le vicende che furono l’aire dell’avvenire, restituisce loro tempo e spazio
e le fa parlare.
Come fiore di ginestra,
nel prosciugato tempo
del nostro stagnante
e aggrovigliato smarrimento,
abbevera la poesia
delle sue memorie
e porta moniti.
Ritorna attuale e innovatrice
nelle sequenze in bianco e nero
di una storica intervista
per sempre lei, donna del Sud,
lei, donna Vincenza.
Anna Donata Nobile
Anna Donata Nobile conclude così: “È stata la bellezza delle parole usate abilmente per comunicare la drammaticità delle sue emozioni, le parole libere nel narrare la propria vita e la dolcezza del tono pacato e determinato della voce nell’intervista a far nascere in me il bisogno di scoprire a chi fosse appartenuta questa voce fuori dal coro”.