Nella chiesa di San Luigi Maria da Montfort al rione Agna di Matera Monsignor Pino Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina ha consegnato a padre Antonio Spadaro S.I. il Premio nazionale “Città cristologica”, giunto alla sua quinta edizione e promosso dalla Fondazione Lucana Antiusura “Monsignor Vincenzo Cavalla”, diretta da Padre Basilio Gavazzeni, già parroco della chiesa di San Luigi Maria da Montfort. Alla cerimonia ha partecipato il sindaco di Matera, Domenico Bennardi.
Il Premio ha onorato quest’anno la rilevante produzione letteraria, sotto il segno di Cristo, del direttore della “Civiltà Cattolica”, il glorioso quindicinale di cultura adesso “Rivista Internazionale dei Gesuiti”.
Come è tradizione, all’uditorio il premiato Antonio Spadaro ha offerto una riflessione di sostanza. Con lui, grande conoscitore di papa Francesco, si è concordato il tema: «Fiamma nella notte: la fratellanza alla luce dell’enciclica Fratelli tutti (e non solo)». Fiamma nella notte. Sette parole per immaginare il futuro è il libro di padre Spadaro appena pubblicato dalle Edizione Ares.
Ai presenti la Fondazione Lucana Antiusura “Mons. Vincenzo Cavalla” ha donato la strennetta natalizia 2021, Dante e l’Economia Civile di Cristina Montesi.
Michele Capolupo
Di seguito la motivazione del premio scritta da Padre Basilio Gavazzeni presidente della Fondazione Lucana Antiusura “Monsignor Vincenzo Cavalla”
Il Premio nazionale «Città cristologica», promosso dalla Fondazione Lucana Antiusura «Mons. Vincenzo Cavalla» e giunto alla quinta edizione, viene assegnato ad Antonio Spadaro S.I. per la sua azione e la sua opera complessive di servitore della Parola. Padre Spadaro da un decennio dirige la gloriosa «Civiltà Cattolica» che esce ogni quindici giorni da 172 anni. Con il suo «Collegio degli scrittori», corrispondendo ai segni dei tempi, l’ha innalzata a «Rivista Internazionale dei Gesuiti» edita in otto lingue.
Padre Spadaro è il giornalista più vicino al pensiero se non alla persona di Papa Francesco. Di lui ha pubblicato confidenze rilasciategli in lunghe interviste da cui nessuno può prescindere quando voglia comprenderne l’autentica tempra di uomo e Pastore.
A pochi sfugge l’influente presenza nei social network di Antonio Spadaro, teologo e saggista, maestro di
cultura fraterna e dialogante dove si stagliano le frontiere del futuro.
Molti inclinano ad affermare, come Tête d’or, un personaggio di Paul Claudel, che «la parola non è che rumore e i libri non sono che carta». Antonio Spadaro, invece, nella sua pratica letteraria, rifacendosi a uno dei massimi teologi del Novecento, il gesuita Karl Rahner, testimonia che c’è una differenza sostanziale tra parole «farfalla infilzata» e parole «conchiglia». Le prime, «senza mistero», appartengono alla banalità. Le seconde «evocano il mistero luminosissimo della cose». «In esse si avverte l’eco del primo giorno della creazione», le parole primigenie di Adamo.
Doni di Dio sono in modo precipuo le parole «conchiglia» dei poeti. Per questo l’africano Engelbert Mveng cantava: «Oh parla, parla soltanto, / rivestici della tua parola. / E noi saremo la tua Voce di collina in collina, / d’oceano in oceano, di continente in continente, / dall’una all’altra terra, da una razza all’altra […]: / nient’altro che respiro della tua Voce, Signore».
Si sa che le parole non parlano e non si difendono da sole, in particolare proprio quelle inermi dei poeti. Grazie, padre Antonio per il buon combattimento ermeneutico che, ad esempio, sostieni attorno alle parole “conchiglia” di autori quali Pier Vittorio Tondelli, Flannery O’Connor , Raymond Carver, ma anche di un Nikos Kazantzakis.
«Esercizi spirituali», li definisci, ricorrendo al titolo del «Padre Maestro» Ignazio di Loyola, sotto lo scoppio perenne, silenzioso e salvifico del Logos.
È la ragione per cui ti è assegnato il nostro Premio legato al contrasto e alla prevenzione dell’usura, in una città il cui nome, nel mondo, è stato accompagnato da quello di Cristo, e che di Cristo ha il dovere di essere testimone fedele.
Biografia Antonio Spadaro
Antonio Spadaro, 56 anni, teologo e saggista di rango, da un decennio dirige il quindicinale di cultura “La Civiltà Cattolica” divenuta «Rivista Internazionale dei Gesuiti». Il Premio, istituito nel 2013, è stato finora assegnato a Max Gallo (2013), a Domenico Canciani e Maria Antonietta Vito (2014), a Sara Magister (2018) e a Cristina di Lagopesole (2019).
E’ membro della Pontificia Accademia dei Virtuosi al Pantheon, fa parte del «Board of Directors» della Georgetown University (Washington), è esperto di letteratura americana (Nelle vene d’America. Da Walt Whitman a Jack Kerouac, 2013), ha fondato l’associazione culturale «BombaCarta». Fra i suoi titoli anche Cyberteologia. Pensare il Cristianesimo al tempo della rete (2012). Da ultimo, ha pubblicato Creature di caldo sangue e nervi. La scrittura di Rymond Carver (2020) e, solo un mese fa, Fiamma nella notte. Sette parole per immaginare il futuro. Il Premio gli sarà consegnato a Matera, sabato, 18 dicembre, nel corso di una sobria celebrazione.
Il Premio nazionale “Città cristologica” è stato istituito nel 2013 ed è giunto alla quinta edizione. La prima volta è stato assegnato allo storico Max Gallo, dell’Académie française. Nel 2014 è toccato ai coniugi Domenico Canciani e Maria Antonietta Vito, appassionati specialisti di Simone Weil, nel 2018 a Sara Magister, accreditata studiosa di Caravaggio, e nel 2019 alla mistica e fluviale innografa Cristina di Lagopesole.
Fedele all’ispirazione originaria, il Premio intende onorare opere di scrittura, singole o complessive che, in maniera esplicita o anche indiretta, esaltano la figura di Gesù Cristo.
Davanti ai richiedenti trafitti dai debiti, usurati o a rischio d’usura, la Fondazione Lucana Antiusura denuncia che i predoni e, non di rado, gli stessi predati sono resi ciechi e schiavi dalla ricchezza ingiusta (Lc 16,9), idoleggiata mammona (Lc 16,13), come Cristo la chiamava con un lemma fenicio-aramaico. La Fondazione ricorda pure che la reciprocità sostanzia l’invocazione Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori (Mt 6,12). È chiaro: il condono-perdono dei nostri debiti-peccati (hoba’), da parte del nostro Creditore più reale e temibile, cui grazie a Cristo, invece, possiamo rivolgerci come al Padre nostro, anzi aramaicamente abba’ (babbo, papà) (Mc 14,36), dipende dal puntuale condono-perdono che concediamo ai nostri fratelli debitori.
Solo perché riconosce queste verità, la Fondazione è leale quando discute sia delle piccole usure private o delle congreghe malavitose, e della smisurata usurocrazia del capitalismo finanziario-patrimoniale, sia della prevenzione e del contrasto che riesce a contrapporre, e dei nuovi paradigmi che urgono all’economia mondiale. Senza tale radicamento sarebbe come Sancio Panza che pretende di far trottare il suo asino frustandosi la schiena.
La connotazione cristologica è riferita a Matera, dove ventisette anni fa la Fondazione è sorta, terza del genere in Italia dopo quelle di Napoli e Torino, sostenuta dalle Istituzioni e dalla società civile, per rispondere costruttivamente alla sfida usuraria consumata con un attentato dinamitardo contro la chiesa parrocchiale di Sant’Agnese nel 1994.
Il grande poeta e gesuita Gerard Manley Hopkins (1844-1889) scriveva che Cristo agisce in diecimila luoghi, / amorevolmente in membra, amorevolmente in occhi non suoi, / rivolto al Padre attraverso i tratti dei volti umani. Vogliamo che non agisca proprio a Matera che ha una particolare connessione con Lui?
In realtà il nome di Matera, per la prima volta, in Italia e oltre i confini, è circolato insieme a quello di Cristo, sia pure inteso in maniera culturale, con Cristo si è fermato a Eboli (1945), il capolavoro di Carlo Levi. In seguito le facce dei Materani non omologate dallo Zeitgeist e il loro singolare paesaggio betlemmita e gerosolimitano sono stati divulgati dal meglio tra i film cristologici, Il Vangelo secondo Matteo (1964) di Pier Paolo Pasolini. Mel Gibson, da par suo, infine, in maniera sconcertante ma indimenticabile, con The passion of the Christ (2004), ha fatto il resto, accrescendo l’aura cristica della nostra città agli occhi del villaggio globale.
Nel 2013, in esergo al regolamento del Premio, era riportato un monito di Cristo: […] Si hi tacuerint , lapides clamabunt (Lc 19,40). Che le pietre parlino, lo scriveva già il poeta Marco Anneo Lucano (39-65 d.C.) nella sua Pharsalia (618). È evidente, raccontano la loro genesi, la loro natura, le loro proprietà chimiche e fisiche, l’entropia che le sgretola, e come gli uomini si rapportano con loro.
Di che cosa parlano le pietre di Matera? Da decenni ormai cedono pazientemente i loro segreti a coloro che le interrogano con pietas e sapienza. Così sappiamo che, nei primi secoli del cristianesimo, qui giunsero anche monaci di cui si conosce appena l’identità di gruppo; ampliarono gli spechi che la materna calcarenite in tempi immemorabili aveva offerto a “uomini-nonostante”, parimenti anonimi, in cerca di riparo; e dedicarono a Cristo, a sua Madre e ai Santi un considerevole numero di luoghi di culto ipogei. Le nostre pietre testimoniano che, per secoli, fra le asprezze di una esistenza inenarrabilmente miserabile, uomini e donne sussurrarono o gridarono: Crust m’j aijt’m ti (Cristo mio aiutami tu), la giaculatoria che ritroviamo sulle labbra di quanti vissero l’esodo dai Sassi al principio degli anni Sessanta e anche su quelle dei loro figli.
Da Simone Weil abbiamo imparato che le persone invocano di essere lette diversamente. È lecito ritenere che anche le pietre, a fortiori le nostre, invochino una lettura che oltrepassi la loro sostanza minerale e fungibile. Oggi, forse, le nostre dovrebbero lamentare che gli si proponga soltanto di divenire pane, per mere soluzioni materiali, proprio la tentazione che Cristo respinse. Non di solo pane vivrà l’uomo (Lc 4,4), rispose al diavolo, Lui che di pane s’intendeva se, poi, ha voluto divenire per noi pane transustanziato.
La fotogallery della cerimonia di premiazione (foto www.SassiLive.it)