Mercoledì 25 maggio 2016 alle ore 17 presso la sala del Museo Ridola di Matera sarà presentata la prima audio-guida – “Domenico Ridola e la ricerca archeologica a Timmari”, realizzata dall’associazione Energheia e dalla classe 2.0 dell’Istituto Comprensivo “G. Pascoli” -, ed avente come oggetto la mostra dedicata a Domenico Ridola e agli scavi, da lui condotti oltre cento anni fa, sulla collina di Timmari.
Nel dettaglio, a fronte di un progetto educatico denominato Atelier del libro digitale ideato e realizzato dall’associazione Energheia nel corso dell’anno scolastico 2015-’16, d’intesa con il Polo Museale di Basilicata, il Museo Archeologico “D. Ridola” museo2e dell’Istituto Comprensivo “G. Pascoli”, in particolare dagli alunni della classe I D 2.0, scelta dal Ministero della Pubblica Istruzione come classe pilota in Regione Basilicata per un progetto digitale, guidati dalla Professoressa Franca Venezia. I ragazzi hanno imparato i primi rudimenti della realizzazione di un libro elettronico. Le azioni hanno riguardato anche uno studio ed una visita alla mostra dedicata alle Figure rosse e al materiale esposto nelle sale del Museo. Nel contempo, alla realizzazione di una guida elettronica, scaricabile con un qr code all’ingresso della stessa, gli alunni hanno realizzato un percorso audio dei pannelli che ne illustrano nel dettaglio l’andamento cronologico e la storia dei rinvenimenti.
Nel dettaglio la serata, alla presenza dei docenti della scuola e degli alunni, con i loro familiari, si svolgerà attraverso una serie di attività che vderanno la proiezione di un breve videoclip sul percorso didattico realizzato; un balletto degli alunni della I D coordinati dalla Professoressa Palma Domenichiello, che ne ha curato la scenografia e i costumi, fino alla presentazione di una mostra temporanea – che sarà allestita per alcuni giorni – di dipinti su tufo raffiguranti volti di santi delle diverse chiese rupestri presenti nel materano, realizzati dagli stessi alunni.
La mostra
I corredi tombali, esposti nella mostra, provengono dagli scavi avviati da Domenico Ridola nel 1902. Le fonti antiche raccontano di popoli italici, lucani e sanniti che, spostando le proprie aree di influenza, giungono in territorio apulo-lucano
Il comprensorio collinare di Timmari sorge, a circa 440 m sul livello del mare, nella media valle del fiume Bradano, 12 km ad ovest di Matera ed è costituito dalle alture di Monte Timbro, Monte Serrone, la Montagnola e dai due terrazzi sommitali di San Salvatore e Camposanto.
L’abitato era organizzato da nuclei insediativi costituiti da gruppi di abitazioni affiancate da sepolture, alternati a spazi liberi, secondo un modello noto in età arcaica sia nelle aree apule che all’interno della Basilicata. La collina di camposanto, presenta una densa occupazione soprattutto fra l’età arcaica e quella ellenistica – tra la metà circa del IV e gli inizi del III sec. A. C.
Le tombe di camposanto, tutte ad inumazione, sono del tipo a fossa o a cassa. Rimane ignota la posizione dei corpi: difficile ipotizzare la piena continuità con il costume funerario tradizionale (defunti posti in posizione contratta sul fianco) o l’adozione della deposizione supina, abituale per lucani e sanniti, forse riconoscibile in un rilievo d’epoca.
Sulla base degli oggetti deposti, a connotare gli uomini sono soprattutto armi e cinturioni. Talora a questi elementi si associano gli strigili, usati per ripulire il corpo dopo le attività ginniche. Rarissimi sono gli ornamenti femminili. Per il resto, i corredi funerari sono costituiti principalmente da una grande quantità di recipienti in ceramica.
Molti dei vasi rinvenuti rimandano alla pratica del banchetto. Tra le forme presenti, ed in particolare fra quella decorate a figure rosse, compaiono crateri, hydrai, spesso anfore e pelikai. Risultano meno frequenti boccaletti, oinochoai e choes questi ultimi collegabili a festività sacre in onore di Dioniso. Per bere erano utilizzati skyphoi e cup-skyphoi- lekanai e piatti rimandano invece al consumo di cibi o alla sfera domestica e femminile. Tra i recipienti di particolare rilievo vi sono le ollette (dette anche kantharoi), di tradizione indigena, prodotte già in età arcaica, ma con tecniche diverse e solo in seguito assimilate all’interno del repertorio a figure rosse. Nell’ultimo terzo del IV sec a. C. il numero dei vasi inizia gradualamente a diminuire, sebbene le forme essenziali vengano conservate, es. crateri e pelikai. La ceramica a vernice nera, spesso sovradipinta, arricchisce il servizio da banchetto. Sempre a vernice nera sono prodotte le lucerne, probabilmente connesse alla stessa pratica sociale. Altre forme (parzialmente rivestite, decorate da bande dipinte e da motivi vegetali) sono probabilmente prodotti locali. La presenza di ceramica da fuoco si allinea ad un costume funerario diffuso in area bradanica, e non solo, forse ricollegabile a pratiche rituali legate al culto di Dioniso. Il materiale ceramico a figure rosse proviene in una prima fase dalle botteghe del keramikos di Metaponto, in seguito da Taranto. I vasi di maggiori dimensioni, di elevato livello tecnico e decorativo, sono destinati quasi esclusivamente ai corredi emergenti.
Le scene includono nella grande maggioranza dei casi solo due personaggi, uno maschile, l’altro femminile. Talora i due generi sono rappresentati rispettivamente da un satiro ed una menade, rimandando così alla sfera di Dioniso. In numerosi altri vasi, ad una donna è affiancato un erote alato.