L’ingegnere materano Alessandro Catena ha inviato alla nostra redazione una riflessione sull’enorme flusso di informazioni trasmesse sui social network per l’emergenza Coronavirus, con evidenti difficoltà da parte dei cittadini di poterne verificare la veridicità. Di seguito la nota integrale.
Non credo che dimenticheremo mai questo periodo. La nostra quotidianità è permeata da un flusso costante di informazioni, veicolate da un catalizzatore di cui nessuno ormai può più fare a meno: Internet. Inutile rivendicare i vantaggi competitivi di un’informazione libera e alla portata di tutti, perché il problema non risiede nell’eccezionale strumento ma nel modo distorto in cui viene utilizzato. A questo punto diviene quanto mai doveroso annoverare i nostri “fantastici” social. Menziono quello che ormai utilizzano anche le nostre nonne, o quasi: WhatsApp. Qualcuno di voi starà pensando: “WhatsApp è una piattaforma di scambio di semplici messaggi”, ma non è così, anzi non è più così, poiché quest’ultima, grazie alla sua esponenziale evoluzione, è divenuta a tutti gli effetti una piattaforma di condivisione. Non possiamo definirla uno strumento di mero svago. Chi di noi, infatti, non la utilizza quotidianamente come strumento di lavoro? O per lo scambio di informazioni giornalistiche? O ancora per chiedere una consulenza professionale? Tutti i siti prevedono l’ormai celebre icona della cornetta verde per condividere.
Ed ecco un’altra parola critica: condividere. Questo termine, oggi sulla cresta dell’onda grazie ai social network, ha perso la sua accezione etimologica di “possedere assieme” per abbracciare quella social, appunto, di pubblicare, comunicare. È un termine che ha intrinsecamente racchiuso al suo interno un concetto altamente democratico: ciascuno di noi, alla stregua della più alta carica dello Stato o di un premio Nobel, può esprimere la “sua”. Fantastico! Fin qui nulla da eccepire. Ma, in tempi di Coronavirus, questo ci sta creando non pochi problemi. Infatti stiamo assistendo al proliferarsi di una psicosi, già di suo acuita dalla gravità delle evidenze scientifiche, che è costantemente rinvigorita da una quantità di falsità che colpiscono al cuore la nostra comunità, in quanto riguardanti persone e luoghi che noi conosciamo e che siamo abituati a frequentare sin da piccoli.
È su WhatsApp, infatti, che sono state divulgate le peggiori falsità, quali ad esempio il paventato documento contenente la lista delle vie di Matera “contagiate” dal Coronavirus, o le presunte positività al CoVid-19 di personagginoti della comunità materana.
Qual è il mio appello? Non possiamo certamente lanciare un hashtag #NonCondivideteCazzate, anche perché non sortirebbe alcun effetto, ma possiamo responsabilizzarci e arginare quel manipolo di imbelli che si nascondono dietro una tastiera senza firmarsi e che diffondono il panico. La soluzione? Non avere un approccio superficiale quando riceviamo un documento, un video, un’immagine o un audio, e contare fino a dieci prima di condividere un qualsiasi file con il nostro gruppo “Classe V C”, “La febbre del sabato sera”, “Quelli dell’aperitivo” … Sento spesso ripetere ai miei coetanei che non ha più senso cercare di cambiare un Sistema che ha delle dinamiche consolidate. Continuo a ribadire che non sono d’accordo, e che se ciascuno di noi desse il proprio contributo potremmo non solo cambiare ma addirittura stravolgere dei meccanismi della Società evidentemente errati, dalla Politica alla Finanza…ma questa è un’altra storia.
Alessandro Catena