Antonella Pagano a Nepi, con un nuovo “Cantiere della Bellezza”. Di seguito l’intervista all’artista e poetessa materana.
Da diversi decenni lavora al Cantiere della Bella Parola, come dice lei, per fertilizzare i Cantieri della Bellezza che apre dovunque vada, questa volta a Nepi, antichissima città del Lazio. Ce ne vuole parlare?
Innanzitutto narrerò di quanto già ai primi anni 2000 feci a Matera, parlo di Januarius in Palazzo Ferraù-Bernardini. L’oggi è povero di riti e con la perdita dei riti si va perdendo tutto il pensiero che li sostanzia, che fermenta nei rituali e che si moltiplica nel succedersi del tempo. Januarius era il grande rito in cui facevo incontrare: artisti, poeti, pittori, scultori, danzatori, attori, cantanti, pensatori e curiosi, giovani e meno giovani che arrivavano da tutta la Basilicata e anche dalla Puglia. Nel fondo più fondo di me sapevo che occorreva coniare la nuova parola, meglio: “la Bella parola”. Frequentando molti circoli letterari e culturali in Lucania e in Puglia con puntate in Roma, Bologna, andavo consolidando la certezza che toccasse ai poeti proteggere l’incertezza umana, ancor di più oggi d’incertezza planetaria in tempi ancora più conflittuali. Poesia e arte sanno darci il respiro più alto, fertilizzano di autenticità il quotidiano e ci offrono il modo meno stupido di stare al mondo. La parola come l’arte è cibo per la mente e per l’anima, vieppiù lo è la parola poetica. Non mi piaccio tutta sola dinanzi al computer! Non mi piace l’Umanità di singoli soli dinanzi al computer! La parola è terapeutica! La bella parola è toccasana! Alimenta il territorio intimo e dell’anima, perciò è felicità.
Da qualche anno parla di P.I.F., cos’è?
Vorrei si esplodesse di P.I.F., Prodotto Interno di Felicità, piuttosto che essere schiacciati da un prodotto interno lordo e sigle, sigle e codici da memorizzare, che già di per loro ci rendono tristi. Mi si dirà: e allora? Semplice: non lasciamola a pochi, men che meno a maldestri o a chi usa la parola in malafede, ne fa proiettili, pugnali: riappropriamocene! Questo il primo messaggio che aliterà nel cielo sopra l’isola di tulle su cui mi siederò a Nepi, accompagnandomi con i miei campanelli, ossia con tutto il sacro, il pastorale e il magico che ho coltivato e raccolto nella magica terra lucana per abbracciare di P.I.F. tutti gli artisti, gli studiosi e gli ospiti della bella dimora e di tutto il cielo sopra via Garibaldi a Nepi.
Perché ha scelto Nepi?
In verità questa volta ho risposto all’appello dell’antropologa Francesca Serra. E’ Lei che ha messo insieme artisti e studiosi peculiarmente impegnati, artisti portatori di antichi saperi e al contempo proiettati oltre questo tempo ancora indefinibile, ‘strano’ per molti e che, invece, amo chiamare prodromico del ‘Nuovo Evo’ o già: Nuovo Evo. E’ lei che ha fatto la magìa intrigando il padrone della dimora, già Generale, oltre che accademico, il Prof. Paolo Capitini. ”Aprire una casa significa aprire un cuore. Significa fare dimora di cura e di bellezza. E soprattutto creare quell’atmosfera che i danesi chiamano higge, la segreta arte di dar cura e felicità”, dichiara la Prof.ssa Serra. E poi Nepi fa tutto il resto; infatti la sua Storia inizia ben 542 anni prima di Roma. Da Nepi son passati Longobardi e Saraceni, i nobili Vico e i Colonna, gli Orsini e gli Anguillara, la Santa Sede non meno. Allorchè nel 1455 salì al Soglio pontificio Alfonso Borgia, le vicende di quel territorio e dei nepesini presero ad intrecciarsi alle vicende della famiglia spagnola dei Borgia. Bella nei suoi vicoli e nelle sue case-torri medioevali, fiera del suo castello -dono del Cardinal Rodrigo Borgia, poi Papa Alessandro VI, a sua figlia Lucrezia-, Nepi trabocca di storia. Come non esserne affascinata? Come non rispondere se non con entusiasmo all’appello della dottoressa Serra, fra l’altro una delle massime studiose di Ildegarda di Bingen, oggi anche Alchimista del 3° Millennio? Un territorio in cui la storia sa perpetuarsi e creare nuove fascinazioni… situo qui un altro dei miei “Cantieri della Bellezza”.
Con la sua inesauribile vena creativa e i suoi campanelli in quale luogo speciale porgerà la sua performance?
Proprio in cima alla terrazza del Palazzo storico di via Garibaldi, là dove più vicino è il cielo e la terra si mostra nella sua veste più lussureggiante. Il Generale Capitini ha messo a disposizione la sua dimora, sì come donna Annarosa Bernardini lo fece a Matera. Di lassù gli orizzonti si sovrappongono, di là la boscaglia, di qua il placido orizzonte di colline così come Massimo D’Azeglio lo dipinse (l’opera la si può ammirare nella Galleria civica d’arte moderna e contemporanea di Torino), proprio il D’Azeglio -grande politico e paesaggista-. Su quella terrazza v’è uno sperone rettangolare che si slancia nel vuoto, ha il tetto a pagoda e vi si accede attraverso un cancelletto a due ante in ferro battuto…un piccolo antro di fata che ho colmato di tulle rosaglicine su cui ho disseminato le mie valigine colme di campanelli, i miei florileggìi, il palo della pioggia, l’armonica a bocca e… le mie sillabe innamorate. Potrà ammirare il luogo e me stessa nelle foto della grande fotografa Sabrina Genovesi, pluripremiata a livello nazionale ed internazionale, occhio e animo che gestiscono luci e ombre con preziosa maestrìa.
Mi ha parlato della cornice del suo pensiero, ma non mi ha enunciato l’essenza della sua presenza in un simposio di studiosi, artisti e pensatori. Elude la domanda?
In verità cercavo le parole più giuste. Mentre la ringrazio per l’intervista, …penso all’urgenza di dover dare i colori alla nostra vita. E’ questa la ragione per cui sarò a Nepi, importante quanto grande è la gioia di incontrare tanti artisti con cui confrontarmi ed evolvere. Il Nuovo Evo, che non siamo stati in grado di far nascere e che una brutta proteina -prendendo a schiaffi i cuori e le anime- sotterrando antiche sapienze, spegnendo cuori che palpitavano abbracci che non potremo ritrovare- e’ riuscita a far esplodere; dicevo: il Nuovo Evo…voglio ardentemente sperare che sia nuovo per davvero. Che noi donne e uomini di questo tempo si sappia farsi nuovi. Occorre un surplus di discernimento per saper abbandonare le muffe, le palandrane, le vecchie inconcludenti parole, le azioni nichiliste; deve trattarsi di un solido discernimento per salvare la sostanza attiva del passato e comporre le nuove sillabe…altrimenti significa che stiamo lavorando alla deriva umana e culturale in atto già da tempo, significa che abortiremo altri mostri. Occorre un surplus di carattere e determinazione, e soprattutto un amore forte e appassionato per la Terra e la Vita. E occorre anche smettere il viver commerciale…il sol pensare all’altro come possibile cliente, utente, consumatore pro nobis. E’ insieme, è illuminandosi a vicenda che si può partorire luce e insieme reimparare a leggere la luce che sgorga dall’interiorità…la luce che non mente e sa bene cosa significa rispetto di Se’, dell’Altro e dell’Ambiente. E’ questa la strada da lastricare e da indicare perché si colmi il mondo di istigatrici e istigatori di Bellezza.
Come diventare istigatrici e istigatori di Bellezza?
Facendosi nuovi….cantare una nuova vita chiede vene e arterie generose…occorre un menarca nuovo di zecca per benedire decenni nuovi di vita e maturare! E…volvere lie ve men te! Scalerò il Montserrat…la cremagliera…la sua musica ferrosa trasmetterà alle vertebre l’armonia amorosa. Solcherò il mio mare, questo Mediterraneo in cui seppellire quel che di me è stato. Lui tesserà ciò che di me sarà.…Vivrò sulle sue onde, la mia aurora sarà luminosa…infinitamente. Solcherò il mare e…..tornerò!…Questa rivoluzione colma l’utero mio. Quel che nascerà avrà cuore di cristallo. Oje né nà né… Oje né né nààààààà….Oje né né nààààààà Oje né nà né. Oje né nà né… Oje né né nààààààà…Oje né né nààààààà Oje né nà né.
Sta chiudendo l’intervista con questa nenia?
No. Questo mio sillabar cantando come antica nenia, sillabar di lutto o di ninna nanna…no, non chiudo così ma con uno degli incontri che ho fatto a Nepi e che porterò sempre con me. Occorrono Uomini, Studiosi, Artisti che al quesito: come vive Lei? Vive della sua arte o fa un altro mestiere per campare? Rispondano: « vivo di sogni ». Questo mi ha risposto il grande pittore Romano Cialimbruschi. Straordinario ritrattista, anche il più straordinario pittore d’acqua che io conosca. Alterna periodi d’infaticabile pittura a migliaia di chilometri a piedi per l’Europa. Lui che, fatti centinaia di chilometri, bussa ad una porta e chiede un tetto, «non un letto, solo un tetto », e quando viene accolto stende il suo sacco a pelo in terra e dorme, per tornare a pellegrinare all’indomani. Così si va incontro alla vita, all’acqua, al monte e al piano, agli orizzonti e agli universi microscopici e ciclopici. Così si tesse di fresco l’anima. Questa è apertura alla vita. Al grande sogno che è la vita! Al grande rito che è la vita! Il mio grande rito, il grande rito donato a ciascuno di noi. Di questo faccio l’architrave sulla soglia del mio Cantiere della Bellezza a Nepi e… suono tutti i miei campanelli.