Venerdì 29 gennaio 2021 alle ore 17, in modalità on line, nell’ambito del ciclo dei seminari “La città resiliente”, coordinati da Ina Macaione e Laura Pavia, per il Laboratorio di Fenomenologia dell’architettura, del Dicem dell’UniBas, è in programma una conferenza dal titolo “Architettura oscura e reificazione urbana” tenuta dal prof. Alessandro Meliscuratore di Comunità Resilienti, il nome del Padiglione Italia alla 17esima Biennale di Architettura di Venezia che si svolgerà dal 22 maggio al 21 novembre 2021.
Melis è architetto e docente dell’università di Portsmouth dove è anche direttore del Cluster for SustainableCities, Melis ha immaginato un Padiglione che ha per tema le sfide che attendono l’architettura in relazione al cambiamento climatico.
Per comprendere meglio i contenuti dellalecture ecco un estratto di una sua recente intervista:
“Studiare il tempo profondo – 200 mila anni o anche di più – ci evita di incorrere nella cosiddetta reificazione, cioè nella trasformazione di una astrazione in un fatto reale. Noi abbiamo dato per scontato che quello che abbiamo fatto negli ultimi duemila anni sia talmente legato alla nostra storia da non poter essere messo in discussione. Quello che invece possiamo imparare dalla biologia dell’evoluzione è che esistono tre parametri che sono stati finora sottovalutati, anche nella costruzione delle città e del nostro habitat, ma che potrebbero risultare fondamentali e che sono la variabilità, la diversità e la ridondanza delle strutture creative.
“Se è vero pertanto che nel tempo profondo riscontriamo che la diversità, la variabilità e la ridondanza sono strumenti essenziali per la nostra sopravvivenza e che quindi debbano essere utilizzati nella rigenerazione delle comunità e delle città in chiave di resilienza, dobbiamo anche tener presente che le conseguenze di una trasformazione in questo senso sono la diversificazione, la variabilità e la ridondanza delle società stessa. Voglio dire che non esiste – e non solo per ragioni etiche ideologiche – la possibilità di costituire una comunità resiliente senza che questa sia giusta e equa e aperta a tutte le sue componenti.
“Nella teorizzazione dell’architettura il problema viene ricondotto spesso alla forma e al funzionamento delle città piuttosto che alle persone che le abitano. Quando parlo di comunità come unità minime di intervento, non mi riferisco all’idea di spezzettare la società umana in piccole unità ma intendo dire che ogni insediamento, sia esso un villaggio o una megalopoli, ha gli stessi obiettivi che sono la costituzione di una comunità, la sua coesione e la sua resilienza. In questo scenario l’architettura può acquisire un ruolo strategico di ricostruzione delle relazioni e l’architetto è la figura in grado di lavorare alla rigenerazione di quei valori “unendo i puntini” di varie altre discipline.”
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