La Shoah non è stata né il primo né l’unico genocidio del XX secolo, il cui monito “mai più” viene messo in discussione dal Ruanda del 1994, un genocidio dei nostri tempi, il primo della società globale. Il massacro di oltre 800.000 tutsi e hutu moderati non è mai stato un “conflitto tribale”, come all’epoca qualcuno provò a definirlo, ma un genocidio che ripercorre molte delle modalità dello sterminio nazista degli ebrei, di cui è un “figlio maggiore”.
Dal cuore dell’Europa al cuore dell’Africa, la meccanica dei due genocidi si può confrontare con somiglianze stridenti, comprese le responsabilità di una parte dell’Occidente che in Ruanda, cinquant’anni dopo la Shoah, si ritrova meno sicuro dei suoi antidoti politici e culturali. I due genocidi costituiscono un percorso a specchio ricco di riscontri inaspettati e inquietanti, che rende ancora più attuale la terribile lezione della Shoah e svela menzogne e ipocrisie del nostro tempo.
Così ebrei e ruandesi si sono spesso riconosciuti reciprocamente, vittime di accanimenti che con i primi hanno reso possibile l’inimmaginabile, e con i secondi hanno dimostrato che anche l’inimmaginabile è ripetibile.
Ognuno di loro porta ieri un destino di vittima e oggi di testimone, e le rispettive letterature scientifiche e dei sopravvissuti a volte si guardano come in uno specchio, altre, per quanto raramente, addirittura si ritrovano nelle stesse pagine.
Domenica 29 gennaio 2017 alle ore 18 presso la sede dell’associazione Etnie – culture sena frontiere, saranno affrontate argomentazioni, tra differenze e moniti comuni, per due popoli, due continenti, due epoche, che paiono trovare nella Shoah e nel genocidio ruandese una sorta di sventurato filo comune. Fra i relatori saranno presenti Giuseppe Coniglio, storico-saggista e Maria Teresa Sisto che evidenzierà alcune problematiche relative allo sterminio ruandese. Subito dopo l’incontro-dibattito seguirà la proiezione di un film-documentario.
Antonio Caramuscio, presidente dell’associazione Etnie, riferisce sull’importanza di questo evento che attraverso l’impegno e il sacrificio personale e dei soci e il partenariato con Archeoart cooperativa costituisce uno degli appuntamenti fissi delle attività Culturali dell’Associazione, soprattutto nel territorio pisticcese che è stato sede di un centro confinario – Centro Agricolo – vero e proprio carcere a cielo aperto, dove transitarono circa 1700 deportati, in gran parte operai e artigiani, provenienti da tutte le regioni italiane.
Gen 27