Basilio Gavazzeni: “Altro che Cenerentola della Trinità”. Di seguito la nota integrale.
Alzarsi il mattino in giubilo pensando «oggi è la solennità della Pentecoste la festa dello Spirito Santo», quando l’ultimo telegiornale della notte ci ha confermato che la storia insiste a tralignare in barbara violenza, è attendere una magia risolutrice che non interverrà? Come sperare che la fioritura della pace germogli da tanto male e che si verifichi una catarsi dal tragico? La Chiesa spera. Non dubita mai che una metamorfosi all’ingiù possa convertirsi in metamorfosi all’insù. Con la grazia della Liturgia fa memoria dell’evento che, cinquanta giorni dopo la Risurrezione, trasformò undici Galilei analfabeti e tramortiti dalla paura nei primi Apostoli del Cristianesimo, mentre il mondo era sotto il calcagno di quei Romani che Simone Weil riteneva i nazisti dell’antichità. «Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano… e tutti furono colmati di Spirito Santo» (At 2,2.4). Chi è costui, dove stava prima, che mestiere – “ministerium” – è il suo? Ma è il Terzo della Trinità, identicamente divino al Primo, il Padre, e al Secondo, il Figlio Gesù, costituendo con loro un solo Dio. È solo nella rivelazione dilatata da Gesù che lo Spirito Santo compare e agisce scopertamente. Se ne possono, tuttavia, scorgere prefigurazioni fissate dalla parola “rȗah” che punteggia con frequenza l’Antico Testamento, parola ebraica in cui risuona il vento e il respiro. Nel giardino dell’Eden, il Signore Dio passeggia mentre alita la brezza serale (“rȗah”) (Gen 3,8). Con il “rȗah” fa abbassare le acque del diluvio (Gen 8,1). Il “rȗah” è il respiro di Dio che è spirito aleggiante sul nulla per creare (Gen 1,2). Il “rȗah” è l’alito che Dio soffia sull’uomo di polvere facendone un essere vivente (cfr Gn 2,7). Il “rȗah” è spirito vitale sia per Giobbe (Gb 7,7) sia per Qohèlet (Qo 12,7). Il Salmista professa che i cieli e le potenze invisibili sono opera del “rȗah” (Sal 33,6) e che i viventi, se viene loro sottratto, ritornano nella polvere (Sal 104, 29-30). Il “rȗah” implora il penitente del “Miserere”: «Non privarmi del tuo santo spirito» (Sal 51,13). Come dimenticare, infine, il passo di Isaia che Gesù ha adottato per sé stesso: «Lo spirito (“rȗah”) del Signore Dio è su di me…» (Is 6,1) e la visione di Ezechiele cui è ingiunto: «Profetizza su queste ossa. Così dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete …» (cfr Ez 37,1-14). Stacchiamo per un istante gli occhi dalle pagine sacre e fantastichiamo con ragionevolezza. Il “creator Spiritus”, senza dubbio in maniera diversa che nell’eletto perimetro d’Israele, spirò anche sui padri greci Eraclito, Platone, Plotino e Stoici e sui “giusti” della paganità che lo identificarono nel cosmo e in tutte le cose, fonte di ogni vita e, negli umani, di intelligenza e ricerca, giustizia e ordine, amore e bellezza. Ma, o Spirito del Signore Dio, “Pnéuma Kýrios” nel greco del Nuovo Testamento, è il caso che tu scopra le carte. Tu discendesti in forma di colomba su Gesù emerso dal battesimo nel Giordano (Mt 4,16). Di te Gesù parlò a Nicodemo in una notte bianca rimasta memorabile: «Se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel Regno di Dio. Quello che è nato da carne è carne, quello che è nato dallo Spirito è spirito» (Gv 3,5-6). E: «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene, né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,8). La sera di Pasqua, poi, il Risorto, dato agli Undici il suo “Shalôm”, più di un saluto augurale, e collegata al Padre la loro missione, «soffiò e disse loro: Ricevete lo Spirito Santo» e assegnò loro il potere di perdonare i peccati. Nell’ultima cena, tre giorni prima, Gesù ti aveva promesso loro cinque volte. Ti aveva definito Spirito di verità, profeta in avanti ma anche all’indietro, perché Lui disse che avresti preso del suo e l’avresti annunciato loro. O Spirito Santo, così fu. Da quel giorno che, con improvviso fragore quasi di vento impetuoso, riempisti il Cenacolo, gli Apostoli capirono quello che di Gesù non avevano capito, ne ricordarono quello che potevano aver dimenticato, lo proclamarono, ne scrissero e ne fecero scrivere nelle “Lettere Apostoliche” e nei “Vangeli”. O Spirito di verità, noi non pensiamo mai che questi testi furono il primo frutto della tua ispirazione, testimonianze indelebili della verità storica e sostanziale di Gesù abissalmente applicato a salvare l’umanità. O Spirito di verità non teoretica ma di comunione, tu fosti la guida e l’ardore di Pietro e compagni, uomini di nessuna cultura tranne che delle loro attività prima che seguissero il Nazareno, e del laureato e fuoriclasse Paolo che ai cristiani di Roma scriveva: «Voi avete ricevuto lo Spirito che vi rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà”, Padre» (Rm 8,15). Tu, chiamato Paraclito, letteralmente colui che è vicino e, perciò, Consolatore e Avvocato, hai poi assistito nei secoli la navigazione della Chiesa fra le tempeste più terrificanti, mantenendone alta la prora sopra i marosi. Segretamente hai anche contagiato l’intera realtà profana con la Risurrezione dell’Uomo Dio. Vi sono uomini che, come certi cristiani di Efeso a Paolo, dichiarerebbero: «Non abbiano nemmeno sentito dire che ci sia uno Spirito Santo» (cfr At 19,1s), ma hanno fruito dei tuoi doni. Nella selva oscura di questo tempo, “contra spem”, la Chiesa spera per tutta l’umanità. Alla concezione antica e sempre ritornante che la guerra è la levatrice della storia, contrappone che c’è un’altra storia che ha per protagonista Dio. Ti invoca, Spirito Santo, Spirito di riconciliazione, di unità e di pace. Noi t’imploriamo: «Veni, creator Spiritus».