Basilio Gavazzeni: “Il ragazzo e l’anno nuovo”. Di seguito la nota integrale.
Per il ragazzo è stato un anno maledetto il 2022, a causa del desiderio del nulla e della prevaricazione che l’umanità non respinge. Lui non è di quelli per i quali, ciò che succede, succeda pure come succede. Con determinazione strizza in pugno la vita. Ama il padre, bruno, taciturno, un po’ ingenuo, al quale talvolta, alla milanese, dà del pistola. Preferisce accompagnarsi con la madre, dolcissima, dalle palpebre leonardesche. L’hanno spinto al largo, i due, senza remissione. Non gli si sottraggono, ma il figlio maggiore se la sfanghi, perché l’altro figlio già preme dietro, meno provveduto.
Al ragazzo non manca una dote sicura: il buon senso, che è la punta dell’intelligenza. Ha disinvoltura per agire con autonomia, e sedere – lui dice culo – di bronzo, per inchiodarsi negli studi intrapresi. Il fisico temprato gli permette, la notte, di guadagnare qualcosa, come tavoleggiante, in un bar, perciò di sostenere le rimesse parsimoniose che gli giungono da casa. Dalla babele di opinioni che attraversa, gli pare di capire che il nostro è un periodo di tramonto, che l’Italia, nonostante si gonfi come un tacchino, sia in degrado, che l’Europa stessa sia al margine della geopolitica. Detesta, tuttavia, il malumore e lo spirito di resa che annebbiano molti coetanei. È fermo il suo proposito di esser parte dei migliori. Ragion per cui, con l’anno nuovo, procederà a una franca scrematura dei cosiddetti amici. Non gli piace essere un giovane-massa, una persona “normale”.
Coltiva un affetto: una soccorrevole ragazzetta di carnagione color latte. Pulita come poche. Piacerebbe a sua madre. Se Dio vuole, condivideranno insieme il cammino. A lei tocca redarguirlo quando alza la voce sopra le righe e lo prende certo umor furibondo. È che lui non si piega all’ingiustizia, soprattutto se affligge gli indifesi e, in particolare, i giovani. Capita che pianga sugli ucraini martirizzati e combattenti: come, fanciullo, ogniqualvolta vedeva Marcelino pan y vino.
Nella capitale del Piemonte, dopo studia Ingegneria elettronica, si muove nella topografia di esiguo raggio fra il Politecnico e la Mole Antonelliana, il Museo Egizio e il Valentino. Proprio per una sgambata. Mangiare chilometri lo ritiene una pratica perditempo, un po’ ridicola, se non la ordina il medico. Quando la coscienza lo punge, corre alla Consolata, dove trova un gioiello di Madonna e confessori con la sinderesi.
Sarà un anno impegnativo questo incipiente. Se lo morderanno stanchezza e monotonia, il ragazzo si corroborerà col pensiero del nonno che, adusto fronte crespa tenace, dissoda quei quattro ettari solatii così in pendenza che, a malapena, il trattore vi si arrischia, pur di ricavare un contentino di economia, anche per lui, il nipote che ha allevato, e non perde un colpo, vivaddio, se si tratta di applicare comprendonio a problemi sottili. Il ragazzo, però, deve tener a bada la mente stipata di semi: vi danzano e si inseguono, ma non generano rapporti fruttuosi. Fantasticherie. Non si può impigrire a straniarsi dietro il vano brulichio di un caleidoscopio.
Occorre girare la chiave della ragione per aprire il forziere del mondo reale. Su un righello di legno ha tatuato in lettere capitali: “Prima di tutto, autodisciplina”. E un proverbio cinese: “Non prendete troppo sul serio la stupidità”. La ragione ordinatrice alla quale aspira non è quella umana con cui il ‘900 e i due decenni del 2000 hanno conseguito ripetute débâcle, senza mai cercare un efficace rimedio. È invece la ragione “allargata”, bagaglio di pietas, forza, consiglio, scienza e sapienza, di cui è stato Maestro Joseph Ratzinger, alias Benedetto XVI, di cui la Chiesa universale e gli uomini di buona volontà celebrano riconoscenti l’a Dio. Il ragazzo, dal fondo della sua vita anonima ancor tanto inesperta, prega di aver accesso alla verità intera, l’antidoto alla morte appostata a tampinare i compagni fatui, elettroencefalogramma piatto, che si abbandonano a eccitazioni e insensatezze.
Domani ritornerà a Torino. Ciao nonno, adusto, conservati; ciao papà, pistola che sei; un bacio, mamma, sulle tue palpebre leonardesche; ciao fratellino, fa’ la tua parte. Mi attendono le lezioni al Politecnico, il tavolo i testi e gli strumenti di lavoro, e la soccorrevole ragazzetta di carnagione color latte che mi farà rigar dritto. Te Deum laudamus.