Basilio Gavazzeni: “Sale e luce come Papa Francesco”. Di seguito la nota integrale.
All’ambone, dopo aver proclamato il Vangelo, il celebrante volge un momento lo sguardo al Cristone che, con le ferite ancora accese, balza risorto davanti alla grande croce sul presbiterio, e attacca l’omelia.
È la quinta domenica del tempo ordinario. Nella prima lettura, dal libro del profeta Isaia, il Signore assicura che la luce di chi soccorrerà gli indigenti brillerà fra le tenebre, sorgendo come l’aurora. Nella seconda lettura, san Paolo, lui, intellettuale di genio formatosi alla scuola del celebre rabbàn Gamaliele, scrive ai Corinzi che la sua sapienza è solo “Gesù Cristo”, e “Cristo crocifisso” e che nella predicazione ha rinunciato agli stratagemmi della retorica, per contare solo sullo Spirito, così che la loro fede sia fondata solo sulla potenza di Dio. Nel Vangelo secondo Matteo, Gesù, sigillando il Discorso della Montagna, al deciso presente indicativo “voi siete” ripetuto due volte associa alcune immagini appartenenti all’esperienza e accomunate da un penchant a oltrepassarsi: quelle del sale che serve a dar sapore, della luce vocata a illuminare e di una città in altura per forza in vista.
Cristo, sale della terra, luce del mondo, vertice della Rivelazione, invita i discepoli a rivestirsi del suo essere-per-gli altri. Il presente indicativo “voi siete” in realtà è un presente ottativo inclinato all’imperativo “voi siate”. Singoli e popolo santo di Dio, i cristiani oggi devono insaporire la pasta del mondo con la sapienza di Cristo, irradiarne la luce ed essere il monte visibile della sua pro-esistenza.
Ma come corrispondere a questa investitura in giorni di confusione, tenebre e violenza?
L’omileta sottolinea che l’autenticità cristiana risiede nel legame indissolubile di parole e opere. È necessario che lo splendore della Parola si congiunga alla concretezza delle opere che compiamo. A pieno diritto possiamo dire che il nostro sale non è scipito e la nostra luce non è celata, soltanto se ci adoperiamo a recuperare alla dignità ogni escluso e aboliamo ogni forma di ingiustizia e di prevaricazione; se, come Cristo crocifisso, facciamo della passione per i fratelli la passione della nostra vita.
L’omileta non può non riferirsi alla testimonianza di Papa Francesco in visita alla Repubblica Democratica del Congo e alla Repubblica del Sud Sudan, nel cuore dell’Africa.
La prima, con una popolazione di 95.784.841 abitanti, ha per capitale Kinshasa, il francese per lingua ufficiale, 4 lingue nazionali e più di 400 lingue tribali. I cattolici sarebbero il 51,9% della popolazione. V’è una Chiesa fattiva, che non tace mai contro le ingiustizie e per la difesa dei valori. Pagando caro in abusi e martiri. L’est della Repubblica è infestato da ribelli armati la cui violenza si abbatte in particolare sulle donne. Nel bacino del Congo, la Repubblica con altri cinque Paesi condivide la seconda foresta pluviale più grande del mondo e possiede giacimenti di una cinquantina di minerali di cui alcuni rari. Tuttavia i congolesi patiscono disoccupazione, povertà, difficoltà di accesso all’acqua potabile, mancanza di servizi e di infrastrutture efficienti.
La Repubblica del Sud Sudan, invece, con una popolazione di 10.748.278 abitanti, ha per capitale Giuba, l’inglese per lingua ufficiale, cui aggiungere l’arabo e 64 lingue tribali, un’economia che dipende interamente dal petrolio. I cristiani sarebbero il 60,5% della popolazione. Il Paese sprofonda in una guerra fra clan che è causa di 4 milioni di sfollati e 2 milioni e mezzo di emigrati. Il 75% della popolazione (9 milioni di abitanti) ha bisogno di soccorso. I diritti sono violati, soprattutto quelli delle donne e dei bambini. Le Chiese cattolica episcopale e presbiteriana sono unite nell’impegno improbo e gravoso per la pace, la riconciliazione e lo sviluppo.
Alle martoriate popolazioni di questi Paesi, il Papa porta “la carezza di Dio” che non ha nulla a che fare con un pallido spiritualismo. Nel rapporto esemplare con autorità, rappresentanti delle religioni, popolazioni e, in specie, con le vittime della violenza, il Papa caldeggia opere di pace e di giustizia: la rinuncia all’iniquo sfruttamento del ricco sottosuolo da parte di speculatori stranieri e autoctoni; la deposizione delle armi imperversanti e delle vendette; il perdono e la riconciliazione fra le innumerevoli etnie; un’amnistia del cuore; il rispetto per le donne e per i bambini; l’ospitalità agli affollati e ai profughi; la cura delle vittime; la scolarizzazione … Ineludibili le sue parole di lacrime e di purezza acuminata, diamanti di magistero volti a suscitare risposte performative.
All’omileta, dopo aver indicato simile testimonianza, non resta che concludere. Il singolo cristiano e il popolo santo di Dio non sono segregati in una Tebaide, ma camminano nella storia. Il “voi siete” inteso come “voi siate” ingiunto da Cristo e collegato alle immagini del sale e della luce ci impone di incarnare la cultura dell’incontro e della giustizia, di essere seminatori di speranza fra i duri e menzogneri meccanismi di qualsiasi contesto sociale, nonostante la complessità prismatica dell’ora.
La crocifissione che Cristo accettò per amore e che fu perpetrata da potenti e da sapienti secondo il mondo si perpetua nelle crocifissioni attuali dell’uomo. Non ci è permesso svicolare da questa verità oggettiva, sbandierando parole sublimi marchiate dall’ ipocrisia e dall’alienazione, catturate dalla malizia dei dominatori.
Al problema di Dio postoci da non pochi che esternano agnosticismo e ateismo, al culto e alla gloria che il Padre attende da noi, le risposte sono uomini e donne insieme che mostrano, come Cristo in croce, mani, piedi e costato trafitti per amore e dedizione agli altri. Il vero culto di Dio è l’amore per l’altro. E, in questo terzo decennio del terzo millennio, oggi che la specie umana per la prima volta nella storia può divenire l’artefice della propria autodistruzione, il vero culto di Dio e la sua gloria è salvare ogni essere vivente sulla terra. Non è giusto che rimaniamo fuori della storia drammatica che soggioga tanti uomini. Facciamo la nostra parte con creatività, almeno fra le persone e i casi del mondo circostante! Dio ci aiuti!
Si ritira l’omileta. Con l’assemblea sosta nel silenzio liturgico.
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