31 gennaio 1923. Durante violenti scontri tra squadre fasciste, nazionalisti e antifascisti, rimasero uccise tre persone innocenti e molte altre ferite in maniera più o meno grave. A novanta anni di distanza la cittadina non dimentica i martiri di quello che fu subito definito l’Eccidio di Bernalda. Per quel giorno, a Bernalda erano stati fissati i raduni delle squadre d’azione fasciste del materano e delle camicie azzurre nazionaliste. Il piano dei gerarchi fascisti era quello di dare dimostrazione di forza e compattezza in una comunità che ancora non recepiva le nuove istanze ideologiche. A differenza di altri centri materani tra cui Matera, Irsina, Ferrandina, Pisticci e Montescaglioso. Bernalda era ancora insensibile al fascismo, sostenuto da pochi aderenti, mentre era stata istituita una attiva sezione del Partito Nazionalista, da parte di ex combattenti, socialisti riformisti e quale ardito. Per diffondere il fascismo, giunsero a Bernalda, all’alba del 31 gennaio 1923, le squadre d’azione, con i loro capimanipolo, di Irsina, Potenza, Pisticci, Laurenzana, Craco, Taranto e Ferrandina. Ma quella che poteva essere una manifestazione pacifica di propaganda si tramutò ben presto in un violento scontro che si estese nelle vie e piazze principali. La cronaca degli avvenimenti è ancora molto viva nella memoria della comunità. Di mattino le squadre nere percorsero le vie del centro abitato e poi fu benedetto il gagliardetto ed inaugurata la nuova sezione del fascio, mentre di pomeriggio l’esplosione di un colpo d’arma da fuoco provocò uno scontro fra fascisti e nazionalisti, la cui sede venne assediata e occupata. Alcuni esercizi commerciali furono saccheggiati, le case perquisite dai fascisti alla ricerca dei loro rivali e alla fine, il bilancio fu pesante: dopo due ore di violenti scontri si contarono una trentina di feriti, mentre persero la vita Giuseppe Viggiano, padre dell’ex sindaco, Pasquale Gallitelli e Maria Di Stasi, colpita a morte mentre stava allattando il suo neonato. L’eco dei tragici fatti di Bernalda giunse fino a Roma e Mussolini pretese chiarezza sull’accaduto, affidando l’inchiesta al funzionario del Ministero degli Interni Paolo Di Tarsia. Gli inquirenti cercarono di individuare i colpevoli, alcuni furono prosciolti, altri condannati a pene lievi, altri ancora usufruirono dell’indulto. La stampa nazionale e locale diede ampio spazio ai fatti di Bernalda, fornendo tuttavia versioni molto contrastanti in relazione al colore politico di ogni testata. E già l’anno seguente, non si parlò più di quanto era accaduto a Bernalda, ormai fascistizzata. Anche la pace e la successiva intesa fra fascisti e nazionalisti era ormai un fatto compiuto.
Giuseppe Coniglio