La Maschera Pomaricana denominata alla “Psogn” è stata ideata da Anna Bonavista, realizzata in collaborazione con Maria Rivecca e Mimma Pantone, ed è stata presentata a Pomarico, il 28 febbraio 2017 , nella Corte del Palazzo Marchesale Donnaperna, all’ interno del programma carnevalesco, organizzato dal “Comitato Carnevale Titina Falotico”.
L’idea nasce pensando all’ antichissimo ”rito della pisatura” , le cui origini si perdono nella notte dei tempi.
In estate, si viveva la “magia della raccolta del grano, perché ogni gesto ogni istante di quelle ore di Giugno e Luglio, erano vissute come momenti di grande attesa e conclusione di un anno faticoso di lavoro. Il contadino, dopo la mietitura a mano con la falce, e dopo che i covoni (l’ jeregn) erano stati esposti al sole per parecchio tempo, prima della “pisatura”, preparava l’aia (l’ere’) in una zona pianeggiante, ben esposta al sole e al vento, e qui sistemava in cerchio i covoni.
Per la “pisatura” si utilizzavano asini o muli che venivano preparati facendo indossare la capezza, che serviva al contadino per guidarli, successivamente, gli animali da lavoro, venivano bendati su un occhio, o su entrambi, in modo da evitare che le povere bestie soffrissero di capogiri.
Però, la vera e propria “pisatura” iniziava quando il contadino, al centro dell’ aia, intonava canti tradizionali “alla Psogn”, o esclamazioni di incitamento, mentre utilizzava la frusta o similari (u winghj) verso gli animali, in modo da fargli assumere un’ andatura con un ritmo deciso e costante. I canti tradizionali “alla Psogn”, consistevano in cantilene in versi, che i contadini rivolgevano all’ animale per spronarlo a collaborare nel lavoro, con il proprio padrone in un clima di armonia.
I canti parlano di una tenera e simpatica complicità tra il mulo e il suo padrone che, attraverso il canto, entrano in uno stato di reciproca comprensione e conforto. Il Carnevale parla soprattutto di questo, dello scambio dei ruoli tra ricco e povero, tra maschio e femmina, tra sovrano e schiavo, tra vivi e morti, tra animali e uomini. Un grande intreccio dove gli schemi sociali e naturali, vengono sovvertiti un po’ per scongiurare, un po’ per ben augurare quello che la primavera ha in riservo: la rinascita della natura e soprattutto un buon raccolto.
Questo è ciò che abbiamo voluto trasferire all’ interno della nostra maschera a “Psogn”, con grande creatività.
Il costume è stato assemblato con materiali poveri come la juta, la paglia, il grano, che rispecchiano i colori della vita, della natura e della terra.
La casacca creata con sacchi di juta, fili di paglia e strisce colorate, ricorda i sacchi di grano ed il vestito logoro e povero dei contadini; il campanellino, i ferri di cavallo e la bisaccia colma di grano, invece erano indossati o calzati dai muli o asini; la maschera presenta l’insieme di alcuni tratti fisiognomici del volto del contadino e della testa del mulo, bendata da uno straccio , detto “jucchj chieus” (occhi chiusi), che ancora ricorda un oggetto utilizzato sulla testa del mulo per evitare, durante la pisatura, che lo stesso avesse capogiri, dopo lunghe ore passate a girare in tonto; infine il cappello utilizzato per ripararsi dal sole, sorregge le spighe dorate intrecciate. L’uomo e il mulo che con le loro vite si fondono tra loro nelle giornate della pisatura, creano un “intreccio” uomo-animale, raffigurato dal grano intrecciato sul capo, simbolo del lavoro, della fatica e della creatività umana. Le spighe intrecciate, nella loro bellezza ed armonia, si ergono verso il cielo. Esse racchiudono i preziosi chicchi di grano, che prima di nascere a primavera, restano sepolti sotto terra, rappresentando il passaggio dall’ inverno alla primavera ed il risveglio della natura, che vince il buio e l’immobilità della stagione fredda, e sin dall’ antichità sono sempre state il simbolo di rinascita, di fertilità, di abbondanza e di fecondità.