Sabato 7 e domenica 8 settembre 2019 in contrada Tre Ponti sulla strada statale 7 Pedale della Palomba nel Santuario Santa Maria della Palomba è in programma il 440° anniversario dalla celebrazione della prima Messa in loco da parte di Monsignor Sigismondo
Saraceno, Arcivescovo di Matera e Acerenza.
Di seguito il programma
Sabato 7 settembre 2019
ore 19.30 Rosario e veglia di preghiera in preparazione alla festività della Natività di Maria; a seguire Santa Messa della vigilia
Domenica 8 Settembre 2019
ore 16.15 adorazione eucaristica
ore 17.00 vespri;
ore 17.30 processione lungo il viale con il quadro della Madonna
al termine della processione, alle ore 18,00, Santa Messa solenne presieduta da Mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, Arcivescovo di Matera-Irsina;
Dopo la Messa concerto “omaggio a Maria” della Polifonica Totus Tuus – Direttore M° Cettina Urga
Breve storia del Santuario semirupestre della Palomba a cura del Rettore Padre Sergio La Forgia
Il Santuario semirupestre della Palomba è ubicato a pochi chilometri da Matera sulla SS. 7 Appia – Pedale della Palomba – in direzione Taranto attuale contrada “Tre Ponti”, mentre prima era chiamata “contrada detta di cava”. Superato un cancello e percorso un viale alberato si giunge al piazzale adiacente il sagrato della chiesa. Davanti agli occhi del visitatore si presenta la facciata romanico-rinascimentale dell’edificio, alleggerita da un rosone, e lo squarcio della Gravina, ai margini della quale la chiesa è stata costruita. Originariamente la chiesa di S. Maria della Palomba doveva essere “una chiesa o cappella remota e antica” come l’arcivescovo Sigismondo
Saraceno scrive nella bolla d’incorporazione della Chiesa al Capitolo Metropolitano, accennando alla primitiva grotta in cui si venerava
l’immagine della Madonna, probabilmente la cripta di un casale datata all’XI-XIII sec.
L’8 settembre 1579 l’Arcivescovo Sigismondo Saraceno, a seguito delle numerose guarigioni, la prima avvenuta il 4 luglio
1579, primo sabato del mese, in favore di “Rosa Genovese, idropica”, e le altre nei giorni e settimane successive quando “vi
furono frequentissimi miracoli con la guarigione di molte altre persone sia materane che forestiere” … “per cui si ebbe un
concorso di popoli che affluivano da tutte le parti”, celebrò per la prima volta la Messa nei pressi della “cappella remota e antica” e
decise di costruire la chiesa di Santa Maria della Palomba (prima pietra posta il 1° agosto 1580), inglobandola nella primitiva grotta
preesistente di cui ancora oggi si intravede una parete originaria dall’apertura in cui è tutt’ora conservata l’immagine venerata
(affresco della Vergine con Bambino datato tra il XI-XIII sec.), chiesa poi divenuta Santuario e che oggi ammiriamo.
La chiesa è stata realizzata in 5 anni insieme all’ampliamento di un’altra grotta posta nell’ala laterale e alla realizzazione di un
refettorio per i pellegrini, di una cantina, di una cucina, di una stanza isolata, sopra il refettorio, per i “procuratori” e una
cisterna. Nel 1647 venne anche costruita una neviera, quindi fu sistemato tutto il cortile antistante alla nuova chiesa. Dopo un
periodo di abbandono, nell’800 la chiesa fu adibita a rifugio dei pastori e dei loro greggi e soltanto nel 1939, con la nomina di
don Vito Fontana a “procuratore”, la chiesa venne riportata all’antico splendore e con Mons. Michele Giordano, poi
Arcivescovo di Napoli e Cardinale, il 10 aprile 1977 è stata elevata a Santuario della Diocesi e completamente ristrutturata e
consolidata tra il 1980 e 1985. Dalla primavera del 1986 sino al 24 novembre 1994 un piccolo e dinamico gruppo di monaci dei
“Servi di Maria”, ed in particolare padre Piergiorgio Di Domenico e padre Claudio Avallone, si attivarono per riportare una intensa
vita spirituale e continuare nel recupero del Santuario;
successivamente fu preso in custodia da don Angelo Tataranni che ha dato un forte contributo alla sua manutenzione ed al
recupero di una statua lignea oltre alla presa in affido dal 2016 di migranti nigeriani e libici provenienti da Trapani ed ora, dal 1°
ottobre 2017 il passaggio al nuovo Rettore, religioso Cappuccino, padre Sergio La Forgia che dal 15 gennaio 2018 risiede nel
Santuario nell’ex stanza del “procuratore” del ‘600, stanza di recente ristrutturata, e accessibile anche dall’interno del
Santuario dal refettorio per i pellegrini.
La chiesa si presenta con una facciata di stile romanico-rinascimentale, con tre archi ciechi su lesene e, nell’arco centrale, il classico rosone, che fu ricostruito dopo l’ultimo conflitto mondiale ad opera del mastro lapicida De Natale. In questo rosone possiamo vedere nei primi due cerchi concentrici la presenza di quattro angeli per cerchio che unendoli tra loro formano una
stella. Sul rosone, al centro, vi è la statua in altorilievo di S. Michele Arcangelo, che al fondo dietro la testa, a mo di corona, ha una grande conchiglia (segno che usavano i pellegrini, e facilmente reperibili nella cava di tufo presente nel sito della chiesa); inoltre sullo scudo vi è segnata una croce e nei quattro angoli fuori dalla croce vi sono incise quattro lettere poste ciascuna ad un angolo: sopra a destra una D e sotto una A, mentre a sinistra sopra una V e sotto una C. Non sappiamo cosa l’artista voleva indicare con queste lettere. Tra il rosone e l’architrave della porta d’entrata, sempre al centro, si trova scolpita ad altorilievo su un blocco di tufo, la rappresentazione della Santa Famiglia attribuita a Giulio Persio, notiamo nella rappresentazione, la Madonna che sorregge il Bambino
benedicente e guarda S. Giuseppe, che con la mano indica, sul lato sinistro, lo Spirito Santo rappresentato da una colomba, sembra per alcuni che questo abbia dato il nome alla chiesa. Secondo altri, invece, il nome “Palomba” sarebbe stato suggerito dalla presenza di uno stormo di colombi selvatici, trovati proprio nella grotta in cui fu rinvenuto l’affresco. Invece
più verosimile è la tesi del Procuratore don Vito Fontana che ben documentato su i documenti capitolari del tempo, dice: “Il titolo deriva
dall’unione indissolubile dei due culti che i nostri antenati vollero dare allo Spirito Santo ed alla Madonna, unione che fu raffigurata nell’alto rilievo che si vede sulla porta d’ingresso”, da qui il nome “Santa Maria della Palomba”.
Anche l’architrave della porta è decorata di simboli scolpiti, probabilmente lo stemma del Vescovo di Matera Sigismondo Saraceno: una testa di moro allude al cognome del committente (Mons. Saraceno), una mitra e la punta ricurva di un pastorale, la sua giurisdizione, un angelo, le anime da governare, ed un bue con una M, simbolo della città di Matera. A concludere
la facciata, c’è un campaniletto a vela che ha due arcate campanarie simmetriche e terminante a cuspide con i lati obliqui.
All’interno la chiesa ha una sola navata, a pianta rettangolare. Oltre l’arco trionfale si apre il presbiterio a pianta quadrata. Sulle quattro arcate laterali sostenuta da quattro pennacchi emisferici si erge un tamburo ottagonale su cui si eleva la volta a cupola, che è mascherata all’esterno da un tiburio. Nelle cappelle di destra, dentro le nicchie, presero posto sei statue in pietra policroma, realizzate da Giulio Persio, entro il 1588.
Partendo dal fondo della chiesa, la prima statua rappresenta S. Barbara, riconoscibile dalla torre che reca in mano come simbolo di martirio; segue la statua della Vergine con Bambino; la terza è S. Lucia, riconoscibile dal calice con gli occhi; la quarta è S. Leonardo, che reca in mano i ceppi (catene) ed è protettore dei prigionieri; poi la statua di S. Donato (o il santo
vescovo Eligio, secondo il Fontana) ed infine la statua di S. Gregorio Magno, rappresentato con la colombina della Spirito Santo. Mentre al seicento bisogna far risalire la decorazione pittorica che copre l’intera chiesa. Sui pilastri dell’arco trionfale, a tempera, abbiamo un Crocifisso (1610) e un S. Nicola (o S. Biagio, secondo il Fontana). Sul lato sinistro della chiesa sono
presenti, a partire dal fondo, la Vergine Assunta circondata dagli angeli ed in basso gli apostoli; Dio Padre; l’Arcangelo Michele che trafigge il demonio;
l’Immacolata Concezione. Al periodo compreso tra il 1650 e il 1652, quando fiorente fu l’attività decorativa, appartengono i medaglioni posti in alto, che raffigurano i S. Apostoli, ed elementi floreali. Risalente al ‘600 è la facciata del presbiterio che copre gran parte della pittura rupestre, lasciando in vista solo la Madonna e il bambino. Questa facciata presenta, due nicchie
laterali, a sinistra S. Pietro e a destra S. Antonio da Padova, l’Eterno Padre sopra l’effigie della Madonna e nella cupoletta Cristo risorto.
Avviandosi verso il lato destro del presbiterio, si accede alla originaria chiesa ipogea, in origine una “grotta che si trovava a destra dell’altare maggiore, già esistente, dalla quale fu esportata terra e pietre e nelle cui pareti fu fatto l’incavo”, ampliata nel 1583 in occasione della costruzione della chiesa, per accogliere il crescente numero di fedeli. Si presenta a navata unica con altari laterali che presentano una decorazione ad affresco: Partendo da sinistra dalla prima cappella, troviamo la rappresentazione
della Madonna del Rosario con S. Domenico e S. Caterina quasi del tutto rovinata, rimane ancora ben visibile la pittura dell’arcata con al centro l’immagine della Colomba dello Spirito Santo. Segue la cappella con la rappresentazione della Strage degli Innocenti, e nel dipinto sopra la figura dell’Eterno Padre che da una mano sorregge il mondo e con l’altra mano benedice con le tre dita, datata 1655. Nella terza cappella è raffigurata una Crocifissione tra i Santi Nicola di Bari e S. Vito martire, datata 1735; si nota ai piedi della croce un paesaggio, certamente raffigurante la città di Bari visto che il committente era un barese, infatti al lato sinistro in basso
del Crocifisso si legge: “Vito Gentile di Bari” e nell’arcata ancora una figura della colomba, segno dello Spirito Santo. Nelle cappelle di destra: una statua di una Madonna col Bambino, attribuibile alla scuola di Stefano da Putignano vissuto nel secolo XVI, con sulle pareti decorazioni floreali molto rovinate. Segue la cappella con la rappresentazione delle scene della vita di S. Orsola datata 1666, ai lati sono figurati gli Apostoli S. Pietro e S. Paolo, mentre al centro, in un medaglione, si ammira il busto di un giovane religioso che stando all’iconografia è Sant’Antonio da Padova.