Claudio Vino, grande appassionato della figura di Pier Paolo Pasolini, ha inviato alla nostra redazione le sue considerazioni sulla mostra “Il Vangelo secondo Matteo cinquant’anni dopo. Nuove tecniche di immagine: arte
Claudio Vino: “Pasolini a Matera tra filologia e voli pindarici”
Bella e interessante la rassegna che Matera ha voluto dedicare a Pier Paolo Pasolini “antropologo”. Quel Pasolini che preferì la barbarica polvere dei Sassi alla ormai contaminata Palestina,per raccontarci la profondità di un Cristo manicheo più integro della sua stessa tradizione. Filologica l’impostazione della mostra e la conseguente narrazione che accompagna il visitatore negli ambienti di Palazzo Lanfranchi, sede fisiologica per favorire un’intensa affabulazione con il poeta delle Ceneri. Immaginifici gli allestimenti che ridanno vita pulsante ai costumi di scena del Vangelo, fino alla sacrale esibizione degli strumenti tecnici che accompagnarono Pasolini nell’avventura lucana. E, però, altrettanto innegabile che è impossibile accettare l’improvvisa cesura rappresentata dalla sezione arti visive. La consapevolezza di quanto sia importante l’universo pittorico e figurativo in tutta l’opera pasoliniana, è fondamentale, ed è quindi indispensabile affrontando questo aspetto, trattarlo con totale onestà intellettuale. Non c’è spazio alcuno per arbitrarie interpretazioni scarsamente argomentate.Tutta l’opera pasoliniana (ma soprattutto il cinema) è concepita come un grande affresco ricco di suggestioni che vanno da Giotto, Rosso Fiorentino e Pontormo e giungono fino a Guttuso e a Vespignani. Alla luce di quanto detto appare un’evidente forzatura affiancare acriticamente Pasolini alla ricerca formale di artisti come Novelli, Perilli, Scjaloia, Carrino, Frascà, Santoro e Uncini, espressione del Gruppo Uno. Essi certamente rappresentano un momento importante della cultura italiana, ma lontano anni luce dagli insegnamenti di Roberto Longhi, che avevano contribuito non poco a strutturare la formazione spirituale e visionaria del poeta di Casarsa; quel Roberto Longhi a cui Pier Paolo doveva la sua “fulgurazione figurativa”che partendo dal trecento e passando da Caravaggio arrivava fino a Zigaina. La conferma dell’azzardato parallelismo ci viene poi da un artista, Fabio Mauri, che bene conosceva le dinamiche della ricerca sperimentale, ma altrettanto bene conosceva Pasolini con il quale diede vita ad un’empatica collaborazione artistica. Il 31 maggio del1975 presso la Galleria d’Arte Moderna di Bologna, documentato dal fotografo Antonio Masotti, Mauri proietta sul corpo di Pier Paolo il Vangelo; lo trafigge con le sue immagini crocifiggendolo con la sua stessa crocifissione. Tutto questo pochi mesi prima della tragica notte dell’ Idroscalo. Aveva preso corpo così una sorta di “poesia vissuta,” di cui aveva scritto lo stesso Pasolini a Sandro Penna nel ’70. Ed è questo evento (citato nella mostra di Matera) che come spesso i paradossi fanno , meglio ci fa capire come conflittuale fosse stato il rapporto tra Pasolini e la ricerca cosiddetta d’avanguardia. Ed è proprio Mauri che di Pier Paolo fu amico , a raccontarci che proprio in virtù di questa amicizia , Il poeta accettò il coinvolgimento in un’operazione linguistica proveniente da un ambito per Pasolini incomprensibile e avverso. Dice Mauri: “Pasolini, Sandro Penna, Attilio Bertolucci, poeti interessati all’arte persistono in un’antica tradizione figurativa di diffidenza per l’irrazionale dell’avanguardia. Guttuso è l’unico di cui comprendono il linguaggio verbale e le immagini. Ma un’antica amicizia ci consente di intrattenerci al di qua, al di à di un concetto di realtà…” “Amo Guttuso – scrive Pasolini che ama realmente la tradizione, di un amore netto, onesto e coraggioso: un amore che non lo inibisce mai – come ogni amore – e che anzi gli dà forza e impeto, togliendo ogni modernismo dalla sua modernità, ogni vano avanguardismo ai suoi esperimenti e alle sue violenze espressive.” Ma Pasolini non è cristallizzato nel tempo, aveva torto Calvino, non è nostalgico di nulla, è invece “…più moderno di ogni moderno “. Dice Pasolini : “Io (…) estraggo dal passato una forma di vita che contrappongo al presente, cioè attualizzo il presente”. E’ quindi interessato anche agli artisti contemporanei. Come Mario Schifano che nel 1985, a dieci anni dalla scomparsa dello scrittore ne dipinge il ritratto. Ma guarda anche a Vespignani, l’artista delle luci “sporche” da Torpignattara a S.Giovanni, da S. Lorenzo ad Ostia, tracciate con tratto bruciante e corroso. E a Piero Guccione pittore dei silenzi romani di Monteverde (dove abitò lo stesso Pasolini). Del Gruppo Uno, però, nessuna traccia nella irrompente poetica pasoliniana e nessuna affinità elettiva e spirituale. L’improbabile accostamento avrebbe avuto (nelle intenzioni del curatore), l’obiettivo di “raccontare attraverso la scultura contemporanea il dibattito sulle nuove tecniche di immagine che si riflette nello straordinario film di Pasolini.” Dispositivo laconico e forviante che disorienta l’incolpevole visitatore facendo di questa ultima sezione un’indecifrabile nebulosa. Un’operazione completamente estranea al corpo omogeneo della mostra che sembra provenire da altri luoghi dello spirito o forse solo da altri luoghi, voluta da chi ha deciso che questa operazione a Matera s’ha da fare.
Claudio Vino