Si è conclusa a Matera la 69^ edizione della Settimana Liturgica Nazionale. Di seguito il testo integrale dell’omeliaa pronunciata stamattina nella cattedrale di Matera dall’arcivescovo metropolita di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo
mons. Salvatore Ligorio durante la Santa Messa conclusiva della 69^ Settimana Liturgica nazionale.
“Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi”. È l’apostolo Paolo a suggerirci l’atteggiamento più appropriato al termine di questi giorni di grazia vissuti qui a Matera in occasione della 69ma Settimana liturgica nazionale. Voi e noi siamo “stati arricchiti di tutti i doni”.
Davvero “Nessun dono di grazia più ci manca”. L’arte di saper rendere grazie Proprio l’incipit della Prima Lettera ai Corinti ci ricorda che c’è un’arte tutta da apprendere ancora a cui, forse, non siamo stati sufficientemente iniziati: l’arte di saper rendere grazie. Il cristiano non vive come se non ci fossero problemi, non dimentica i
gravi momenti di crisi che interessano tutti. Il cristiano tutto assume in un atteggiamento di accoglienza fiduciosa perché riconosce che ogni piega della sua storia, anche quella più nascosta come quella più contraddittoria, fa parte di una storia amata
da Dio che Egli sempre riscatta e ricapitola.
Non esiste un tempo da maledire se è vero che Dio stesso lo ha fatto suo, Egli che è l’Eterno, e ha disseminato in esso il desiderio irresistibile di un tempo sempre nuovo.
Dio stesso ha obbedito al tempo, il suo; ha dovuto, anch’Egli, attendere la pienezza del tempo trasformando attimi in una storia di salvezza.
Il rendimento di grazie nasce nel terreno del riconoscimento, nasce quando siamo in grado di esercitare l’arte del voltarci indietro, non tanto per indulgere verso un atteggiamento nostalgico quanto per recuperare il contatto con tutto ciò che ci precede.
La gratitudine sboccia là dove si ha la consapevolezza di essere accompagnati da qualcuno e perciò mai soli.
Essa, infatti, fiorisce solo se si è capaci di leggere la storia con sguardo di fede, se la si accosta con gli occhi di Dio. Quegli occhi, infatti, tutto riscattano: ogni frammento di tempo si trasforma in tessera preziosa di un mosaico che Dio va delineando e, perciò,
restituisce senso a ogni piccolo risvolto. L’esercizio della memoria rinnova la speranza, incoraggia di fronte alle difficoltà e
motiva la gioia. L’invito alla vigilanza Insieme al rendimento di grazie, il vangelo ci consegna l’invito alla vigilanza.
Il tempo che ci sta davanti è tempo della fiducia accordata da Dio a noi suoi servi. Egli parte e la sua assenza, mentre ci restituisce a una esperienza di solitudine, diventa occasione perché ciascuno di noi metta a frutto quanto gli è stato partecipato. Prima
ancora che esercitare cura e vigilanza su ciò che ci è affidato, è necessario vigilare sul proprio cuore: “Ma se quel servo dicesse in cuor suo…”. Quando il cuore, infatti, smarrisce la memoria di essere depositario di un dono che viene dal Signore, fa capolino la
tentazione di sentirsi affrancati da ogni responsabilità che si traduce con un atteggiamento di superiorità tanto da arrivare a spadroneggiare su beni e persone. Diventare capaci di purificare il proprio cuore è ciò che permette di vivere il tempo
non già con la paura di chi può essere sopraggiunto da un ladro che usurpa ma con la gioia di chi sa di voler vivere un incontro. Se non conosciamo il tempo della venuta del Signore, conosciamo, invece, quello del bisogno di chi ci è affidato. Altro è il vegliare,
altro il sorvegliare: si sorveglia in nome della paura e della legge, si veglia in nome dell’amore.
Vegliate… ossia scrollatevi di dosso quel torpore che non permette di riconoscere ciò che accade nel profondo della propria storia.
Vegliate… ossia vincete la tentazione di far sì che sia il capriccio di un momento a dettare le scelte del quotidiano.
Vegliate… ossia uscite da un modo superficiale di consumare l’esistenza e accettate la sfida di una ricerca, di un ascolto, di un confronto. La vigilanza, infatti, è ciò che ci permette di essere ancorati al nostro presente senza mai diventarne schiavi, ci rende
figli del nostro tempo ma non ci soggioga al contingente. È ben altro ciò per cui siamo fatti e verso cui siamo incamminati: l’incontro con il Signore. Il discernimento da compiere va fatto alla luce di quanto le prime generazioni di cristiani si domandavano: quid ad aeternitatem?
Alla luce della meta che ci attende tutto assume un volto nuovo: il tempo che ci è dato è vissuto nella responsabilità e nel rendimento di grazie.