L’ex docente Domenico Gallipoli in una nota rende omaggio ai maestri che svolsero la loro attività nelle campagne del nostro territorio negli anni del secondo dopoguerra attraverso testimonianze dirette raccolte dagli stessi docenti. Di seguito la nota integrale.
Ciao Maestro. Così si rivolgevano a lui gli scolari delle elementari della Scuola “Pascoli”. Li accoglieva con il suo sorriso bonario e rassicurante ogni mattina, da quando si era reso disponibile a vigilare sull’attraversamento delle strisce pedonali antistanti l’edificio scolastico. Paolo, questo il suo nome, aveva iniziato la sua quarantennale carriera in una scuola di campagna. Alloggiava in una casetta spoglia, in cui in inverno l’odore della legna che bruciava nel camino impregnava i muri e la biancheria di ricambio che portava dalla casa di città. Anche l’aula era spoglia, riscaldata d’inverno dal braciere che la mamma di una bambina aveva messo a disposizione. I bambini arrivavano la mattina correndo e scherzando tra loro, rubicondi in viso. Qualcuno durante la prima ora mostrava uno sguardo stanco, talvolta piegava la testa sul banco. Il maestro all’inizio pensava che il tutto dipendesse dalla noia che poteva aver suscitato una sua lezione. Poi si rese conto che alcuni arrivavano a scuola dopo aver svolto qualche ora di lavoro nel governare gli animali; così si spiegava anche quell’odore di letame che le scarpe portavano in classe insieme al fango. Ricordava anche la scena che si ripeteva nei minuti di pausa: chi addentava due fette di pane che imprigionavano delle rape o dei peperoni o delle rotelline di salsiccia, chi gustava dei fichi secchi farciti con mandorle; l’odore del letame per un po’ lasciava il posto a ciò che le mamme premurose avevano preparato per i propri figli. Quante volte il maestro aveva osservato …. con un po’ di acquolina in bocca i suoi alunni durante la pausa. Ricordava con commozione l’atteggiamento dei genitori, rispettosi della scuola e del maestro, a cui affidavano i figli nella speranza che un giorno potessero svolgere un lavoro più remunerativo e meno faticoso. “Signor maestro” dicevano rivolgendosi al maestro “se mio figlio si comporta male, dategliele; a casa avrà il resto”. Era un modo per dire al maestro “ti affido mio figlio, mi fido di te e di quello che fai per lui”. Questi primi anni di insegnamento li ricordava con dolcezza, come ricordava i volti degli alunni e dei loro genitori. All’inizio si era sentito a disagio nel passare dalla città e dai suoi rumori alla campagna ed ai suoi silenzi. Poi non solo si era abituato ma aveva acquistato il suo equilibrio che lo faceva sentire in pace con se stesso e con il mondo circostante. La città, dopo che le scuole di campagna erano state abolite, lo accolse in seguito al trasferimento. La Scuola “Pascoli” aveva visto svolgersi l’attività del maestro Paolo per oltre un trentennio. Certamente era tornato nella sua città, ma aveva stentato molto ad abituarsi all’ambiente, alle relazioni, agli atteggiamenti, molto più formali e molto meno spontanei rispetto a quelli che aveva vissuto in campagna. A scuola aveva conosciuto colei che sarebbe diventata la compagna della sua vita. Da pochi mesi l’aveva lasciato solo; se n’era andata in silenzio una mattina senza soffrire, con un’espressione di sorriso , forse un modo per salutare per l’ultima volta Paolo. Gli restavano i figli, che vivevano lontano. Con il tempo le visite ai genitori erano diventate sempre più rare, limitate alle feste sacre del Natale e della Pasqua. “I ragazzi hanno i loro amici, non vogliono venire, mettono il muso…” Insomma il senso di solitudine aveva invaso la vita di Paolo, soprattutto dopo la scomparsa della moglie. Aveva deciso, perciò, di svolgere questo lavoro volontario davanti alla Scuola che lo aveva visto stimato maestro. La mattina arrivava nei pressi dell’edificio ben prima degli alunni. Li vedeva rincorrersi con gli zaini ondeggianti sulle spalle fragili, gridare …. insomma fare tutto quello che i bambini di tutto il mondo fanno. Da un po’ di tempo, però, assisteva a scene di mamme che depositavano in tutta fretta i figli per poi riunirsi a chiacchierare, spesso a sparlare dei maestri, poco distante o sedute in un bar. Cominciava a vedere alcuni bambini che si isolavano e smanettavano sui telefonini, magari mandandosi messaggi tra loro pur stando a meno di un metro di distanza. Vedeva talvolta genitori che, dopo aver ripreso i figli all’uscita,criticavano aspramente gli insegnanti con espressioni non solo irriguardose ma anche volgari ….. con un seguito sui social(di questo strumento lo aveva reso edotto un nipote); Paolo aveva capito, dalle frasi e dalle espressioni esagitate dei genitori, che questi si comportavano comestrenui avvocati difensori dei figli, sempre pronti a giustificare le loro mancanze nello studio e nel rispetto delle regole. Aveva capito, con tristezza purtroppo il maestro Paolo, che la scuola era cambiata, che la società era cambiata, chealcunimaestri svolgevano il lavoro come impiegati alle prese con pratiche da evadere,che in questa situazione i figli erano diventati l’anello debole del sistema. Tutto questo non impediva al maestro di colloquiare con gli alunni prima che la campanella invitasse ad entrare. Chiedeva loro dei compiti assegnati, li “interrogava”, forniva spiegazioni semplici per argomenti poco chiari ad alcuni …. Insomma continuava …. a fare il maestro, il tutto con una dolcezza nel viso che illuminava quei brevi momenti. Ogni mattina gli alunni erano accompagnati nell’attraversamento della strada all’entrata ed all’uscita dalla scuola. Il maestro Paolo era diventato un’istituzione, faceva parte integrante, si potrebbe dire, della Scuola “Pascoli”. Una mattina gli alunni non lo videro, si guardarono attorno come per chiedersi il perché di quell’assenza. “Forse è ammalato” dissero alcuni, “Forse è andato a fare un viaggio” dissero altri. L’assenza si prolungava, fino a quando qualche genitore diffuse la notizia che il maestro Paolo non c’era più. Quella gioia sfrenata e rumorosa che aveva prima contraddistinto l’arrivo degli alunni a scuola scomparve di colpo: i volti dei ragazzi si fecero tristi, i genitori meravigliati stentarono a capire che i propri figli erano tristi perché avevano perduto un amico, il loro amico, il maestro Paolo. Alcuni alunni, dopo averne parlato nelle classi, decisero di affiggere davanti all’edificio scolastico un cartello “Ciao maestroPaolo, ti vogliamo bene”.