Sulla emergenza sanitaria riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta dei Vescovi della Conferenza Episcopale di Basilicata. Di seguito la nota integrale.
Carissimi,
ciò che avremmo voluto fosse soltanto un triste ricordo, si è ripresentato seminando paura, morte, impotenza. I contagi a causa del Coronavirus non stanno risparmiando nessuno: da Nord a Sud continuano ad aumentare in modo esponenziale.
Come Vescovi di Basilicata sentiamo il bisogno di rivolgere anzitutto un pensiero di vicinanza nella preghiera e di ammirazione a tutti gli infermi per come stanno vivendo questa prova. Anche se immediatamente ci sfugge il senso di questo momento di dolore e di fatica, la nostra fede ci attesta che “tutto concorre al bene per coloro che amano Dio” (Rm 8,28). Cristo Signore, Pastore delle nostre anime e Medico Celeste, non farà mancare a nessuno la speranza che viene da lui, egli che è in grado di “compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi” (Eb 4,15).
A voi medici, infermieri, operatori sanitari, farmacisti esprimiamo la nostra gratitudine e la nostra vicinanza. La testimonianza generosa di dedizione che state offrendo è sotto gli occhi di tutti. Molti vostri colleghi hanno sacrificato la vita esponendosi in prima persona. Siete voi che, attraverso la vostra competenza e la vostra dedizione, assicurate ai nostri ammalati la delicatezza di una prossimità, di una parola buona, di un conforto. Soprattutto in questo momento, voi siete il segno di come le motivazioni, la forza interiore, il non passare oltre siano alleati fondamentali per la guarigione. Il servizio che voi rendete, se in prima istanza è a vantaggio della salute delle persone, dall’altra alimenta e sostiene la speranza delle famiglie e promuove il bene della nostra amata Regione in un frangente così delicato e incerto.
Qui si colloca anche la fede di tanti di voi come degli stessi ammalati: essa dà ragioni di vita, sostiene nel dolore e accompagna verso la morte, nella certezza che nulla di quanto fatto di bene andrà perduto.
Il santo medico Giuseppe Moscati scriveva ad un suo collega dottore: “ricordatevi che, seguendo la medicina, vi siete assunto la responsabilità di una sublime missione?”. Di quale missione si tratta? “Il dolore va trattato non come un guizzo o una contrazione muscolare, ma come il grido di un’anima, d’un fratello, a cui un altro fratello, il medico, accorre, con l’ardenza dell’amore, la carità”. Il dolore fisico cela un grido dell’anima, la domanda di salute palesa una richiesta di salvezza. “Gli ammalati sono le figure di Gesù Cristo”, diceva ancora Moscati, e “negli ospedali la missione delle suore, dei medici, degli infermieri è di collaborare a questa infinita misericordia, aiutando, perdonando, sacrificandosi”.
Il nostro pensiero non può non andare alle famiglie che vivono col fiato sospeso la situazione dei propri cari ricoverati negli ospedali o ospiti presso le nostre RSA. Pensiamo a voi che non potete assicurare l’affetto della vicinanza a chi è in un letto di dolore o è costretto a vivere in isolamento. Pensiamo a chi è in attesa di un tampone e non sa in che modo potrà immaginare il suo futuro immediato e quello più remoto.
In questo momento, il nostro sguardo di pastori non può non andare a quanti sono costretti a subire una limitazione del proprio diritto a lavorare pur di salvaguardare il bene più grande della salute di tutti.
Come non pensare ai bambini, ai ragazzi e ai giovani che vedono mortificata la loro possibilità di portare avanti gli impegni scolastici a motivo dei casi di positività che si registrano in una classe o in un intero istituto?
Come non raggiungere con il nostro ricordo affettuoso chi vive quest’ora così preoccupante nelle case circondariali presenti sul nostro territorio lucano?
Il nostro pensiero abbraccia tutte le istituzioni civili e militari che hanno il gravoso compito di discernere il bene per tutto e di far rispettare quanto concordato.
Non possiamo non ricordare l’impegno profuso con generosa dedizione dai tanti sacerdoti delle nostre comunità parrocchiali che si sono fatti carico di assicurare la propria presenza in tante situazioni assicurando non soltanto il conforto che deriva dalla fede ma anche il sostegno che deriva dalla carità.
Un grazie sincero ai tanti volontari che nei nostri Centri d’ascolto, nelle Caritas diocesane e parrocchiali non hanno fatto mancare la loro disponibilità perché tanti potessero essere accolti e sostenuti in un momento così faticoso.
A tutti assicuriamo il nostro affetto e la nostra preghiera perché possiate sempre sentirvi accompagnati e incoraggiati dai vostri pastori che seguono con apprensione l’evolvere della situazione sanitaria.
“Noi, però, non siamo come quegli altri che non hanno speranza” (1Ts 4,13). Ci conforta la Parola della Scrittura. La nostra speranza non deriva da una generica fede nella vita ma da una vita nella fede. Il nostro compito, parafrasando le parole di Giorgio La Pira, è quello di essere “debitori della speranza” gli uni per gli altri.
A tutti la nostra paterna benedizione e il nostro incoraggiamento a perseverare nel bene.
I Vostri Vescovi