Continua la presenza di scrittori illustri al padiglione Expo della Basilicata. Giuseppe Lupo, saggista e insegnante di letteratura italiana all’università Cattolica di Milano e Brescia, è stato tra i cinque finalisti della 49° edizione del premio Campiello 2011, con il romanzo “L’ultima sposa di Palmira”. “Sono qui per presentare il progetto di Mario Pomilio, scritto tra gli anni Cinquanta e Sessanta, sull’industrializzazione del Mezzogiorno: dall’Ilva di Taranto, alle riforme agrarie, alle speranze di uno sviluppo economico meridionale” – dichiara Lupo -, mentre parla dell’opera che rientrerà nella collana diretta da Raffaele Nigro, edita da Pino Barile. Lucano di Atella, Lupo, che vive a Milano da oltre trent’anni, vede la Basilicata come un enorme magazzino di storie, un laboratorio di contraddizioni che comprende processi di trasformazione sperimentati e altri non ancora raggiunti. “La mia regione rappresenta un mondo ibrido – sottolinea lo scrittore -, è l’ultima retroguardia di una tradizione orientale, fatta di albanesi e bizantini, che sulla dorsale appenninica incontra l’avamposto occidentale, un po’ come se fossimo in sella a un cavallo, con un piede che pende a Occidente e uno a Oriente”. In questo luogo, sconosciuto e misterioso, i fatti avvengono con maggior ritardo. “E’ la terra che non c’è, prevale il mondo basilisco o lucano? – si interroga Lupo -. E’ al pari della Palestina, regno di grandi esodi, che abbiamo dovuto abbandonare e non ritroviamo più”. Rispetto agli altri italiani, il lucano ha un’identità dispersa: se va a in giro per il mondo, cerca di mimetizzarsi, di rendersi invisibile, per quel suo carattere schivo, riservato, “preferisce nascondersi, prova vergogna per l’inflessione dialettale – osserva Lupo -, ma continua a suscitare interesse negli editori, soprattutto negli ultimi 25 anni, grazie a un’agguerrita pattuglia di scrittori come me, Nigro, Mariolina Venezia, Gaetano Cappelli e Andrea Di Consoli”.