Il Solenne Pontificale celebrato da Monsignor Caiazzo e da tutto il clero della diocesi di Matera-Irsina nella Basilica Cattedrale è stato il secondo momento programmato per questa edizione dei festeggiamenti in onore di Maria Santissima della Bruna, patrona della città di Matera. Festeggiamenti limitati alla parte religiosa per rispettare le norme imposte dal governo nazionale sugli assembramenti.
Di seguito l’omelia di Monsignor PIno Caiazzo durante la Santa Messa in Cattedrale, il programma del 2 luglio per la festa in onore di Maria Santissima della Bruna e la fotogallery della Santa Messa in Cattedrale (foto www.SassiLive.it)
Dopo la solenne liturgia delle 5.30 in piazza Duomo, secondo la tradizione chiamata “Messa dei Pastori”, durante la quale mi sono rivolto in particolare ai giovani, ci ritroviamo, in questo clima di festa in onore della Madonna della Bruna, a meditare sullo stile con il quale la Madonna ha visitato, sta visitando, visiterà il suo popolo e come il popolo materano ha riconosciuto, riconosce e riconoscerà sempre questa sua visita.
Attraverso l’incedere di Maria è Dio che vuole farsi conoscere. Nella visitazione della Madonna si rinnova la storia che Dio ha già scritto con gli uomini, rappresentata da Elisabetta che esprime l’attesa dell’umanità affamata di Dio. È questo il significato profondo della danza di Giovanni Battista nel seno di sua madre. Ma c’è anche la storia che Dio sta per portare a compimento attraverso Maria che ha nel suo ventre l’atteso: il cibo che sfama l’umanità.
È dal 31 maggio che la Madonna della Bruna, attraverso l’immagine dei Pastori, si è messa in cammino per la nostra città, partendo dall’Ospedale, luogo simbolo della sofferenza, della lotta contro il coronavirus, dopo essere stata in quella cappella, ininterrottamente, dai primi di marzo. La nostra Madonna ha visitato ogni comunità parrocchiale e ogni luogo di spiritualità della nostra città di Matera.
La visita della Madonna ha suscitato nei materani il desiderio profondo di andarle incontro per stare con lei in silenzio e ascoltare la voce del Figlio Gesù. Questo incontro ha consentito di aprire il cuore verso le esigenze, i bisogni, le necessità di tante famiglie che il Covid19 ha messo in ginocchio. Una città, quella di Matera, che nelle sue diverse espressioni, si è mobilitata cogliendo che fosse necessario l’apporto di tutti per aiutare a ricominciare.
Quanto sta avvenendo nel mondo non ha precedenti, almeno per le nostre generazioni. Lo cogliamo come un segno che ci richiama alle nostre responsabilità. La nostra vulnerabilità è evidente. Come Elisabetta, nonostante le rughe della tarda età, siamo chiamati, perché Dio lo vuole e ce ne dona la capacità e forza, a generare e partorire vita che spiani le montagne dell’orgoglio e colmi le valli della disperazione e paura. Questo ha fatto Giovanni Battista, preparando la strada al Signore. Questo siamo chiamati a fare noi in un tempo in cui non intendiamo lasciar cadere nell’oblio quanto è accaduto in Italia e nel mondo intero.
Non dobbiamo cadere nello stesso errore di Zaccaria (marito di Elisabetta) che, avendo dubitato delle parole dell’Angelo, rimase muto fino a quando non si compì quanto Dio aveva promesso. Non dobbiamo cadere nell’errore di continuare a vivere come se non fosse successo niente e come se Dio non avesse voluto dirci qualcosa. Il Covid19 non è una punizione di Dio ma certamente Dio si sta servendo delle nostre debolezze e fragilità come anche della nostra presunzione e dei nostri errori per parlarci. Se non comprendiamo il dire di Dio e non crediamo alle sue parole, rischiamo di rimanere muti, cioè assenti dalla realtà.
Mi ha sempre colpito la particolare attenzione che Maria ha avuto verso la cugina Elisabetta. Non solo parole di conforto, ma gesti che parlano da soli: la fatica del viaggio, quasi tutto a piedi, di 130 Km, l’assistenza della cugina fino alla nascita di Giovanni Battista, nonostante lei stessa vivesse la situazione di donna incinta. Vince la lontananza, affronta tutti i disagi del lungo viaggio ma anche i pericoli, non si lascia vincere dalla stanchezza. Nel suo cuore e nella sua mente c’è un solo pensiero: raggiungere Elisabetta. Non è stato facile, per lei giovane donna nubile e fidanzata, viaggiare da sola. Di certo avrà avuto il consenso di Giuseppe, suo futuro sposo, al quale avrà di sicuro detto e spiegato quanto avvenuto durante l’annunciazione. Giuseppe non parla mai, tuttavia partecipa direttamente all’azione del progetto di Dio che si realizza per mezzo di Maria sua sposa promessa.
Cosa spinge Maria a fare tutto questo? Lei è stata visitata da Dio, lei è abitata dal Signore, lei è inondata e avvolta dallo Spirito Santo, lei è innamorata dell’Amore divino che la possiede. Dio ha cambiato completamente la sua vita per cui Maria non agisce da sé ma è strumento dell’amore di Dio che porta nel grembo. Ciò che ha ricevuto dall’alto non si può nascondere, né considerare un semplice privilegio, ma impegno concreto verso gli altri: questa è la forza dell’amore che mette in movimento.
Il tempo che stiamo vivendo non ci sta togliendo qualcosa o qualcuno. Si avverte il vuoto quando non si coglie il linguaggio di Dio, quando, come Zaccaria, si rimane muti, cioè incapaci di agire ma capaci di pronunciare vane parole, chiacchiere, accusare, puntare il dito senza muoverlo per tenderlo verso chi ha bisogno. Eppure attorno a noi, forse più vicino di quanto possiamo pensare, ci sono tante Elisabette che, nel silenzio, vivono l’attesa di una visita nella solitudine di casa, nel letto del dolore, nei vuoti degli affetti andati via così presto, nella tristezza e nel pianto silenzioso di donne maltrattate, abusate e vendute lungo le strade, nelle famiglie distrutte e ridotte sul lastrico da usurai senza scrupoli, negli innocenti violati che gridano al cospetto di Dio, o immigrati sfruttati e mal pagati.
L’elenco delle Elisabette da visitare, presenti nella nostra città, sarebbe ancora molto lungo.
Dalla visita di Maria a Elisabetta impariamo come deve agire ogni credente per trasformare la visita di Dio in servizio ai fratelli e alle sorelle. Significa rispondere prontamente alle esigenze della Parola di Dio che si fa carne nei rapporti umani che si ricostruiscono tra le maglie di una umanità spesso sfilettata, bistrattata, capace di costruire mura che dividono, diversità che emergono e feriscono mortalmente la convivenza umana.
In questo incontro, Maria e Elisabetta, parlano il linguaggio di Dio perché si rivela attraverso lo Spirito Santo. Le due case, una a Nazareth e l’altra ad Ein Karem, nonostante la notevole distanza fra le due regioni quali sono la Galilea e la Giudea, attraverso queste donne si avvicinano: l’una visita l’altra e ognuna trasmette all’altra la ricchezza di Dio che cresce nel loro grembo perché benedetto.
Benedetta da Dio è la vita concepita nel grembo di una donna! È sempre benedetta, anche quando, secondo l’opinione comune, risulta non essere il frutto della volontà. Sia Elisabetta che Maria non hanno cercato quella gravidanza eppure l’hanno accolta, sapendo vincere ogni paura e resistenza: la vergogna perché avanti negli anni l’una, perché ancora non sposata l’altra; il mormorio della gente e dei parenti; la paura del futuro. Ciò che viene da Dio è benedetto e sacro e non può essere l’uomo o una legge a decidere se mettere fine ad una vita che fin dal suo concepimento è sacra. I nostri padri ci hanno insegnato che la vera ricchezza è il sangue, cioè la vita che viene accolta. Ogni negazione della vita attraverso l’aborto procurato è voltare le spalle a Dio e alla Madonna.
Maria, nel contemplare la bellezza e la sacralità della vita presente in lei e nella cugina Elisabetta nel cui grembo Giovanni salta di gioia, canta il Magnificat. Canto sicuramente conosciuto da tutti ma che è Maria che ci insegna come deve essere pregato e cantato. Chi sperimenta la misericordia di Dio è felice e canta che Dio è fedele sempre alle sue promesse.
Alla Madonna della Bruna, come popolo santo di Dio, noi tutti figli della città di Maria, Matera, ci affidiamo, perché nostra Madre.
Lei, difesa della nostra terra, continua a visitarci tracciando la strada da percorrere.
Alcuni storici ritengono che il nome Matera derivi da “Meteoron”. Si riferisce ad un’antica usanza, nei Sassi di Matera, che serviva per censire la popolazione. Secondo questi storici i materani mettevano fuori dalle proprie case dei lumini, che venivano contati e così sapevano quanti abitanti c’erano. Maria, stella del mattino in mezzo al “Meteoron”, cioè al cielo stellato, ci indica la via da seguire, suo Figlio, Gesù.
Altri storici ritengono che Matera derivi da “Mater”, cioè Madre. Lei, quale Madre nostra, invoca su di noi la potenza dello Spirito Santo per farci sentire la forza e l’amore del Padre che ci apre i nostri cuori alla contemplazione della vita.
Altri storici fanno derivare il nome Matera da “Me Terah”, cioè “Acqua pura”. Lei, concepita senza peccato originale, ci riporta alla sorgente dell’acqua pura, che è Dio, che disseta la nostra arsura e ci purifica.
Maria è il modello della comunità fedele che sa vivere e praticare la Parola di Dio. Nelle mani della Madonna della Bruna affidiamo la nostra comunità di Matera, con lei vogliamo camminare per tutti i giorni della nostra vita. Così sia.
✠ Don Pino
Programma 2 luglio per i festeggiamenti in onore di Maria Santissima della Bruna
ore 12.30 Apertura della Chiesa di Maria SS. Annunziata a Piccianello per la devozione dei fedeli alla statua della Madonna.
ore 19, Santa Messa presso Chiesa di Maria Santissima Annunziata, nel rione Piccianello, celebrata dall’Arcivescovo, Mons. Antonio Giuseppe Caiazzo;
ore 21, Preghiera del Santo Rosario presso la Basilica Cattedrale;
ore 22, Tre giri dell’Effige della Madonna della Bruna, scortata da una rappresentanza dei Cavalieri della Madonna della Bruna a piedi (potranno assistere i fedeli che hanno partecipato al Santo Rosario).
L’Arcivescovo, dal balcone del Palazzo arcivescovile, fa Atto di affidamento della Città e impartisce la benedizione.