La scrittrice e poetessa lucana Maddalena Bonelli ha inviato alla nostra redazione un intervento dedicato alla festa della mamma che si conclude con una poesia dedicata alle mamme del sud.
Voglio dedicare una lettera e una poesia a mia madre e a tutte le mamme del sud di quel sud profondo e antico, di cui si conserva ancora una traccia, dove scarseggiavano carezze e l’amore materno viaggiava veloce con schiaffi ed esempi piuttosto che con baci, abbracci e parole mielate.
Amore e tesoro erano termini sconosciuti le carezze ruvide come ortica, perché i “figli si baciano nel sonno”, ma l’affetto era sincero e genuino come il pane impastato a mano e con lievito madre, le nostre madri odoravano sempre di pane fresco e ci davano sicurezza anche se potevamo solo aggrapparci ai loro grembiuli mentre lavoravano.
Cara mamma Maggio era il tuo mese, il mese delle margherite che ti hanno dato il nome, il mese in cui nascesti, il mese della Madonna che veneravi con fede limpida e senza dubbi, il mese della festa della mamma e dei regali.
Regali che tu meritavi in abbondanza e hai avuto con parsimonia.
Se tornassi indietro ti porterei piante e fiori testimoni del mio affetto. Ti ho voluto bene e tanto, ma non te l’ho mai detto con parole dolci e affettuose, e da quando non sei più con noi mi rammarico tanto di non averlo saputo fare.
Ti ho voluto bene da neonata con l’attaccamento naturale di chi cerca il seno come fonte di vita, eti ho amata dello stesso amore quando con dispiaceremi affidavi al seno della mamma di latte perché temevi che il tuo seno, magro per troppa sofferenza e fatica, non potesse sfamarmi.
Era un amore nato dal bisogno di nutrimento e protezione, dalla spinta biologica che ti fa attaccare a chi per primo vedi e tocchi nel momento in cui apri gli occhi alla vita, con quell’imprinting che ti rimane inciso nel cuore e nella memoria fino alla morte e che si nutre della certezza che, finché quel volto ci sarà, ti sentirai protetto e unico al mondo.
Ti ho amata con il trasporto di una bambina che sotto la spinta della natura correva verso l’ombra protettiva della madre,verso le tue mani che cullavano e intrecciavano capelli o punivano se necessario, verso la tua voce che consolava e ammoniva e sapeva raccontare storie a volte tenere a volte truculente, capaci di formare alla vita dura.
E quell’amore è cresciuto nel tempo ed è maturato difronte ai tuoi sacrifici per far grandi e solidi i tuoi tanti figli, e si è tinto di nuove sfumature passando dal bisogno di latte e protezione al desiderio più adulto di intimità e confidenza.
Ti ho voluto bene anche nei conflitti adolescenziali, quando mi facevi rabbia per quella tua rassegnazione di donna sottomessa alle tradizioni:ti sentivo estranea al mio sentire e volevo allontanarmi dal tuo essere antica e superata. Ma non volermene perché è la natura che spinge i figli a tormentare i genitori per meglio spiccare il volo verso un io maturo e consapevole, o quasi.
Ti ho voluto bene con l’incosciente inconsapevolezza di chi si proietta verso un futuro diverso e migliore, fuori dalle mura di casa, via da stritolanti dinamiche familiari per poi ritrovarsi ancora, ma sul lato opposto, della strada già percorsa.
Ora so quanto fa male e setu fossi qui mi sforzerei di abbracciarti e chiederti perdono.
Se in qualche posto un barlume della tua coscienza sopravvive, vorrei che tu sapessi che anche nei momenti più aspri ti ho voluto bene con la solidarietà di una donna che condivideva con rabbia le tue lotte, in un tempo e in un luogo in cui la donna valeva molto meno di un uomo. Sentivo il tuo senso d’impotenza e volevo fare qualcosa perché tu ne uscissi fuori, ma percepivo anche la forza che ti aiutava a non fartene annientare, e parte di quella tua forza ora è anche mia.
E quando non eri più giovane ti ho voluto bene con gli stessi ruvidi strumenti con cui tu mi avevi amata, che solo avevo addolcito nell’amore per i miei figli, e mi pento di non averti abbracciata qualche minuto in più e con più trasporto.
Ora è troppo tardi per rimediare e me ne dolgo.
Se tu fossi ancora qui, per la festa della mamma, ti abbraccerei forte e ti confezionerei con più grazia e dolcezza e con parole gentili un regalo: una pianta di margherite, semplici, durature e forti come te.
Mi consola che la tua vita si sia spenta nell’amore appassionato dei tuoi nipoti, miracolosamente sbocciato in parole dolci e abbracci affettuosi che hanno dato profumo ai tuoi ultimi anni.
Versi tratti da “Da Giorni scalzi” – Raccolta di poesie di Maddalena Bonelli
Per sempre il mio cuore danzerà con te l’allegro canto del gioco della fune.
Le mamme del sud
Ho indossato il vestito di tutti i giorni,
quello con cui sono stata
più mamma che donna:
largo e comodo,
che si possa macchiare di colori
di ogni tipo e forma,
macchie di sugo quello buono
come lo faceva mia madre al sud,
macchie di giochi, lavori in creta,
pennarelli e pasta di sale.
Ho indossato ciabatte vecchie
a pianta larga, perché i miei piedi
hanno portato così tanto peso
e si sono deformati.
E ti guardo figlio mio,
con occhi stupiti,
mentre culli tua figlia.
Vorrei abbracciarti
per quel dolore
che a volte ti annega l’anima
nel fondo degli occhi neri.
Ma carezze e parole dolci
si sono ritratte
da quando mi hai
superato in altezza.
Era così un tempo,
la mamma del Sud:
con un senso del pudore
così forte
che persino con i figli
conteneva l’abbraccio.
L’amore lo metteva tutto
nel fare.
E oggi, in questo mondo lontano,
dove tua figlia balbetta
la lingua straniera che ci era ostile,
indosso il vestito consueto,
ripasso parole nuove
che lei mi ha insegnato
e impasto con lei
farina di grano duro.
Orecchiette o cavatelli?
Scegli tu.
Il sugo già gorgoglia pian piano.
Ti sentirai a casa, e mia nipote
tua figlia
ne assorbirà l’odore.
Forse ti strapperò un sorriso
o un bacio improvviso.
E se mi ferisci qualche volta,
lo dimentico
perché tu conti di più:
più del mio orgoglio,
più del mio tempo,
più della mia salute,
più del mio amore
più della mia stessa vita.
Sono tua madre.
Se sei felice, lo sono anch’io.