Lo storico materano Gianni Maragno in una nota illustra le nuove tipologie abitative nella Matera di Primo Novecento: il ‘progetto per case popolari”. Di seguito la nota integrale.
Nella prospettiva del crescente inurbamento, agli inizi del ‘900 l’attenzione per le condizioni di vita nelle città, che in quel periodo si andavano costituendo e ampliando, fu ritenuta una urgenza da molti governi europei, Italia compresa. Numerose furono le leggi approntate o realizzate in materia di previdenza e assistenza; si crearono così i presupposti per un più adeguato sistema di stato sociale, successivamente noto e diffuso con la denominazione anglosassone di Welfare.
Per quanto riguarda la situazione della Basilicata, è interessante proporre una serie di documenti (atti amministrativi, ma anche stralci da reportage di periodici a tiratura nazionale) relativi ai fabbisogni abitativi della Città di Matera e alle ripercussioni legate in qualche modo alle scelte operate.
Con una lettera inviata alla Sottoprefettura di Matera il 9 novembre 1916, l’Amministrazione della Cassa Depositi e Prestiti e degli Istituti di Previdenza – Direzione Generale della Cassa Depositi e Prestiti e delle Gestioni Annesse comunicò da Roma alla Delegazione del Tesoro di Potenza la spedizione di due mandati di pagamento, con beneficiario il Comune di Matera, riguardanti il prestito concesso allo stesso Ente con Regio Decreto del 2 agosto 1912.
Quattro giorni dopo, il Regio Commissario chiamato ad amministrare il Municipio di Matera, inviò una lettera al Prefetto di Potenza, con oggetto: Mutuo per la case popolari, invitandolo, come già per altre occasioni, ad intercedere presso il Delegato del Tesoro di Potenza, affinché quest’ultimo inviasse al ricevitore del Registro di Matera i due mandati di riscossione per il pagamento a saldo delle case popolari costruite, risparmiando al Commissario Governativo e al Tesoriere Comunale una missione a Potenza “per riscuotere una tenue somma, che ammontava a L. 2.468,19 complessive”.
Terminava così l’iter per un lotto di case popolari a Matera. Il Progetto di costruzione di case economiche per il rione popolare di Matera era stato redatto nel Novembre 1909 dal Servizio Generale del Corpo Reale del Genio Civile, XII Compartimento, Ufficio di Potenza e progettato dall’Ingegnere di I classe con il Visto dell’Ingegnere Capo Reggente .
Si avviò così un percorso che avrebbe in seguito e per diversi anni caratterizzato l’architettura e lo sviluppo della città di Matera. Furono proprio i parlamentari lucani a battersi a favore di leggi e provvedimenti in materia di previdenza: tra questi, Pietro Lacava, Emanuele Gianturco, Michele Torraca, Francesco Saverio Nitti. Anche sulla spinta dei loro interventi il governo incoraggiò l’edilizia popolare con la legge del 31 maggio 1903, n.254, comunemente ricordata come “Legge Luzzati”. Questo primo provvedimento legislativo poi trasfuso, con le successive modifiche, nel T.U. approvato con R.D. 27 febbraio 1908, n. 89, va ricordato, non tanto per gli incentivi di carattere fiscale, piuttosto modesti, quanto per aver chiaramente indicato l’insieme degli organismi autorizzati ad operare nel settore dell’edilizia popolare, e cioè le Cooperative Edilizie, gli Enti, successivamente definiti Istituti Autonomi per le Case Popolari, e gli Istituti per le Case degli Impiegati dello Stato.
Il problema della casa per le classi meno abbienti, drammatico in tutto il Regno, assumeva per la Città di Matera (per la maggior parte dislocata nei “Sassi”), i caratteri di una emergenza infinita, come attestano le relazioni delle autorità e le inchieste giornalistiche (di cui si propongono stralci).
Angosciante è la sensazione di degrado e insalubrità registrata per le abitazioni di Matera in una comunicazione del 4 marzo 1921 :
Il Cav. Santomauro commissario al Comune di Matera relazione sull’opera svolta; nominato il 16 gennaio 1919 ed ottavo fra Commissari Regi e Prefettizi, che avevano amministrato prima di lui.
Le abitazioni fanno spavento. Chi non vi è abituato non può rimanerci per più di dieci minuti. Nella casa, per lo più di un vano solo, se pure provvista di qualche apertura, oltre ad abitarvi la famiglia, vi è l’animale da lavoro, il maiale, le galline e i conigli. L’aria è addirittura irrespirabile. Non vi è fognatura, né pozzi neri, manca l’acqua. […] Le acque luride e le immondizie si versano in tutte le ore sulle strade, i maiali e le galline completano l’opera.
A distanza di qualche anno, preoccupante appare ancora il tenore di quest’altra descrizione del settembre 1928 :
[…]la popolazione rurale abitante nel capoluogo di provincia, […]è alloggiata in numerose caverne scavate nella nuda pietra e sovrapposte le une alle altre, come le celle di un’arnia, nel cosidetto “sasso”. […]Le caverne ricevono aria e luce soltanto dalla porta e quindi l’aereazione e l’illuminazione vi fanno assoluto difetto, tanto più che quelle popolazioni rurali, vuoi per miseria, vuoi per altra ragione, raramente fanno uso di illuminazione artificiale.
[…] È facile immaginare la sporcizia e il lezzo di queste povere dimore dove le famiglie dei contadini di Matera passano la maggior parte della giornata. Aggiungasi che le grotte sono malsane e lasciano insudare umidità, che i viottoli davanti alle case sono carichi di immondizie e di scoli di acque luride provenienti dai piani superiori e si avrà, in tutta la sua desolante miseria, un quadro abbastanza esatto della situazione.
Pur con gli interventi succedutisi nell’arco di quasi quarant’anni, con l’avvenuto spopolamento dei Sassi e la sistemazione nei nuovi quartieri abitativi della Città, la situazione non sembra essere migliorata, scorrendo il resoconto, a volte crudo e irriverente dell’inviato di un settimanale nazionale del Marzo 1966 :
Se l’India ha fame, in Lucania gli uomini vivono come le bestie. Gli indiani a Matera.
[…]Sotto alcuni aspetti sociologici le condizioni dei “cavernicoli” di Matera sono più tetre, più toccanti di quelle indiane.[…]È opinione diffusa che i “sassi”siano disabitati, dopo l’esodo di qualche anno addietro di alcune famiglie verso dimore più accoglienti, più ospitali, in zona chiamata “Serravenerdì” . Non è esatto. Se alcuni riuscirono a dare l’addio alla zona più depressa d’Italia, altri sono stati lasciati dalle autorità in queste
tombe dell’indigenza. Ottocento famiglie, nonostante il mutuo di altri cinque miliardi depositato non si sa da quale parte, rimangono ancora ad abitare sepolte nei “sassi”. […]La casa rimane il primo, vero e grande problema che non può più ammettere dilazioni per quasi ottocento famiglie che vivono nella sporcizia, nel sudiciume, in vere e proprie stalle, senza l’indispensabile acqua, senza alcuna traccia di fognature. A questo quadro debbono aggiungersi condizioni sanitarie che portano a frequenti malattie, non escluse quelle veneree quale logico risultato della coabitazione e della miseria.
Al netto di polemiche e valutazioni di parte, se Matera è oggi una città affascinante ed unica nel suo genere, una porzione di merito spetta a quei primi provvedimenti in campo urbanistico nel primo Novecento; si deve proprio alla pianificazione in materia di case popolari, funzionali per la organizzazione di una città sul piano, che essa con l’abbandono – pur contraddittorio e non coordinato – dei Sassi, ha potuto decorosamente accogliere i “fuorusciti” degli antichi quartieri. Inoltre, in maniera imprevista, l’abbandono per oltre 60 anni dei Sassi ha consentito di preservare quelle caratteristiche di ‘città troglodita’ che tanto hanno influenzato le scelte per la designazione di Matera a Capitale Europea della Cultura nel 2019. Ma il rapporto di coesistenza tra queste due espressioni di struttura urbana deve ancora maturare negli abitanti.
Nella fotogallery il frontespizio del computo metrico e il progetto di costruzione di case economiche per il rione popolare di Matera