Il Circolo Cultura e Arte di Como in collaborazione con l’Istituto di Storia Contemporanea Pier Amato Perretta, organizza un incontro aperto al pubblico in Como via Cairoli 14/16 per il Venerdì 3 marzo 2017 alle ore 18 il Circolo Cultura e Arte di Como in collaborazione con l’Istituto di Storia Contemporanea Pier Amato Perretta, organizza un incontro aperto al pubblico in Como via Cairoli 14/16 dedicato a Pier Amato Perrretta.
“Un lucano che ha fatto storia a Como” è il titolo dell’evento culturale. Interverranno lo scrittore materano Gianni Maragno e Giuseppe Calzati Presidente dell’Istituto di Storia Contemporanea Pier Amato Perretta. Un incontro in cui oltre a raccontare le vicende storiche vi saranno anche notizie inedite della vicenda, che vide come protagonista Pier Amato Perretta, a cui è dedicata la piazza della ex. Banca d’Italia. Di seguito due articoli dello storico materano Gianni Maragno dedicati a Pier Amato Perretta.
La Basilicata e un eroe sconosciuto: Pier Amato Perretta
È da poco trascorsa la ricorrenza delle Giornate della Memoria e, ancora una volta, in Basilicata non si è provveduto ad onorare la memoria di Pietro Amato Perretta, meglio ricordato come ‘Pier Amato’; va precisato, in ogni caso, che non attenua il disagio per questa spiacevole trascuratezza l’annotare che il nostro personaggio, nato a Laurenzana il 24 febbraio 1885, si trasferì ben presto fuori regione.
E pensare che la sua famiglia aveva offerto un notevole contributo alla causa risorgi-mentale: il padre di Pier Amato prese parte alla insurrezione di Potenza del 1860, in-coraggiato anche da sua moglie, convinta partecipe degli ideali della Carboneria, con altri suoi familiari che avevano patito carcere e persecuzioni.
Pier Amato completò i suoi studi a Napoli nel 1906, laureandosi a soli 21 anni con il massimo dei voti e la lode in Giurisprudenza; conscio della propria preparazione, partecipò al Concorso nazionale per la magistratura, risultando il secondo vincitore per l’Italia e potè in virtù di ciò essere destinato alla Corte d’Appello di Napoli quale uditore giudiziario.
Nel 1910 sposò Gemma De Feo, dalla quale ebbe quattro figli: Lucio, Fortunato, Vittoria e Giusto.
Perretta si contraddistinse subito per il proprio impegno in favore della tutela dei diritti individuali, con un’impostazione dottrinale e professionale moderna e progressista; tra i suoi primissimi scritti un rapporto sulle inadeguate tabelle ufficiali di alimenta-zione dei carcerati e sul
regime detentivo della segregazione.
Fin dai primi anni di attività maturò una concezione propria della libertà come un giusto equilibrio tra fondamenti individualistici e solidaristici e condusse la propria esistenza in piena coerenza con tali principi, anche quando ciò determinò conflitti con l’ideologia dominante, assurgendo ad unico baluardo contro la violenza del Regime.
La sua strenua difesa in favore delle libertà lo portò di frequente a criticare l’operato del Governo, soprattutto in tema di indipendenza e riforma della magistratura in re¬lazione alla corretta applicazione delle norme di giustizia. Questo impegno dovette costargli molto caro, tanto da subire, per esempio, l’allontanamento da Locorotondo, dove ricopriva il ruolo di Pretore, alla volta di Conselve, in provincia di Padova, e successivamente di Como. Non ebbe mai timore di scontrarsi con la complessa macchina governativa, che non gradiva ingerenze di qualsiasi genere e tacciò di illegittimità e inappropriatezza i comportamenti del giovane magistrato. Con spontanea schiettezza Pier Amato ribadì in ogni sede che la propria attività intellettuale, non violava alcun diritto e non mancava a nessun dovere: se manifestata al di fuori delle proprie funzioni rientrava nei limiti della libertà di pensiero e di stampa consentiti dalla legge e dai regolamenti.
Il prestigio della Magistratura ed il sistema di equilibrio tra i poteri dello Stato, fu¬rono gli argomenti che il pretore di Laurenzana espose nell’intervento al II Congresso della Magistratura tenutosi a Milano nel 1913, che gli valse la considerazione di gio¬vane capace e agguerrito, inducendo il direttore della rivista “La Magistratura”, il lu¬cano Vincenzo Torraca, ad aprirgli le porte della redazione nell’organo ufficiale dei magistrati. Pier Amato accettò ed intraprese la collaborazione con entusiasmo. Suc-cessivamente fu eletto nel Consiglio Centrale dell’Associazione Generale dei Magistrati Italiani, ottenendo nello scrutinio la maggioranza assoluta.
Scoppiata la guerra, nel 1915 partì alla volta del fronte con il grado di sergente dei bersaglieri; rimase in zona di combattentimento fino al 1917, quando, promosso tenente, fu desti¬nato al Tribunale di Guerra del XVI Corpo di Armata, nella sede di Valona in Alba¬nia; nominato capitano, da maggio 1918 ad ottobre 1919 operò presso il Tribunale Militare Marittimo di Napoli.
Terminato il conflitto e ripreso il suo incarico, nel febbraio del 1921 Perretta fu pro-mosso giudice e assegnato al Tribunale di Como. Nella città lariana avviò collabora-zioni giornalistiche con testate di area antifascista, come “Volontà”, che pubblicava scritti di illustri intellettuali, quali Croce, Gobetti, Parri, Amendola, Calamandrei.
Il fermo convincimento nei principi libertari non ammetteva condizionamento alcuno e nei suoi scritti avanzò critiche severe anche sulla politica economica del Governo Mussolini. A questi era dedicato, infatti, l’articolo Il viandante smarrito, nel quale l’esclusiva responsabilità della deriva economica ed istituzionale irreversibile del Pae-se era attribuita al Dittatore in unione con il partito fascista, il ministro Rocco e la Confe¬derazione degli industriali.
La risposta veemente del Ministro Rocco non si fece attendere e fu emesso un prov-vedimento per la rimozione del Magistrato da Como per altra sede: Perretta venne destinato (nonostante il criterio di inamovibilità dei magistrati, che poteva essere at-tuato esclusivamente nei casi di incompatibilità o menomato prestigio) a Lanciano. Il giudice lucano contestò la decisione del Ministro sotto l’aspetto formale e sostanziale, in quanto arbitrario, e rifiutò di raggiungere la sede di destinazione, rimanendo a Como. Ma l’azione governativa proseguì con l’accondiscendenza di un addomesti¬cato Consiglio Superiore della Magistratura, che confermò il provvedimento. Questa decisione, tuttavia, non fu accolta passivamente da Pier Amato, anzi, fu subito inoltrato il ricorso al Re, nel quale specificava che in caso di conferma della punizione si sarebbe lasciato decadere da magistrato, e al contempo diffidava il Guardiasigilli Rocco.
Nonostante la situazione difficilissima, non si astenne nemmeno in questi frangenti nel ribadire alle autorità governative la sua indipendenza intellettuale e po¬litica dichiarando : non sono fascista, nè filofascista, e non vi è alcuna probabilità che lo di¬venti fino a quando durerà la lode e la tutela della violenza, fino a quando i nati della stessa terra si chiameranno “dominati” e “dominatori” e non già soltanto “fratelli”.
Definitivamente estromesso dalla magistratura, Perretta si iscrisse all’Albo degli Av-vocati della Provincia di Como, esercitando nello studio del collega onorevole Angelo Noseda, già Sindaco socialista di Como. Qui dopo aver subito intimidazioni fasciste fu arrestato insieme a Don Primo Moiana (sacerdote fondatore della sezione comasca del Partito Popolare Italiano nel 1919). Nel gennaio del 1926 un decreto della Commis-sione Reale degli Avvocati di Como sospese il Perretta dall’Albo, a cui si aggiunse un provvedimento di Confino di Polizia per la durata di due anni del Pre¬fetto Maggioni di Como. Pier Amato venne inviato a Laurenzana, in considerazione delle misere condizioni economiche della famiglia. Nel suo paese natio Perretta trascorse un mese in at¬tesa che il ricorso avanzato tramutasse i 2 anni di confino a Laurenzana in 3 anni di domicilio coatto a Como, in quanto padre di 4 figli in condizioni di forte disagio eco-nomico.
Gli anni ’30 furono molto difficili per Pier Amato che dovette subire molte violenze ed intimidazioni per le quali denunciò per abuso di potere il questore di Como. Gli anni ’40 furono funesti per la famiglia Perretta, il figlio Giusto venne fatto prigioniero dagli inglesi a Sidi el Barrani e per lunghi mesi i genitori non ricevettero sue notizie, nel 1942 invece sul fronte greco-albanese morì il figlio Fortunato.
Queste avversità, tuttavia, non fiaccarono la volontà di Pier Amato, che il 25 luglio del 1943, in occasione dell’arresto di Mussolini su ordine di Vittorio Emanuele, incon¬trò i rappresentanti dei partiti antifascisti comaschi al fine di riorganizzare la vita pubblica con criteri democratici. Perretta, che più di ogni altro impersonava i valori democratici, l’8 settembre di quell’anno tenne in occasione di una manifestazione di operai un pubblico comizio nella Piazza Duomo di Como, dove, alla presenza di cen¬tinaia di persone, con molto coraggio invitò la popolazione a recarsi in Prefettura e al Distretto Militare per chiedere la consegna delle armi, costituire la Guardia Nazionale e avviare la lotta contro fascisti e tedeschi. Dopodichè, postosi a capo del corteo, si recò in Prefettura. Non si ottennero risultati, ma i fascisti cominciarono una spietata quanto infruttuosa caccia contro Perretta, che, fiutato il pericolo, si rifugiò prima a Cremona e poi in Toscana. Dal febbraio del 1944 si trasferì a Milano, dove svolse atti¬vità clandestina con lo pseudomino di Amato. Instaurò rapporti molto stretti con le avanguardie operaie e maturò la scelta di iscriversi al Partito Comunista. In quel periodo accettò l’incarico di raccogliere e trasferire denaro e materiali vari in favore della resi-stenza comasca e di reclutare uomini per combattere in montagna. Entrò a far parte della Giunta Militare che operava a stretto contatto con il Comitato Militare di Libe-razione Nazionale.
La sua solerte ed intensa attività generò sospetti tra i fascisti milanesi: la delazione di un comandante dei GAP (Gruppo di Azione Patriottica) lo consegnò nelle mani delle SS naziste. La sera del 13 novembre 1944 le squadre repubblichine fecero irruzione nel rifugio di Perretta, che saltò da una finestra nel tentativo di sfuggire alla cattura, ma fu raggiunto da una raffica di mitragliatore che lo ferì gravemente. Trasportato all’Ospedale Niguarda, rifiutò di sottoporsi all’intervento che avrebbe potuto salvar¬gli la vita. Consapevole del grave stato di prostrazione causato dalle ferite, preferì la¬sciarsi morire nel timore di non riuscire a sopportare le angherie dei torturatori, che avrebbero potuto estorcergli informazioni sui suoi compagni partigiani. Spirò a Mi¬lano la mattina del 15 dicembre 1944.
A testimonianza del rispetto e dell’affetto nei confronti di Perretta, i compagni di resi-stenza vollero intitolargli la Brigata Garibaldina Sap di pianura (Squadra di Azione Patriottica). Anche la città di Como, nell’immediato dopoguerra, intese onorare il suo sacrificio, tributandogli una solenne commemorazione funebre, a suo tempo non au-torizzata dal Regime fascista, e mutando il nome della Piazza Italo Balbo in Piazza Pier Amato Perretta, sito dove ancora oggi è collocato lo stabile della Banca d’Italia, e che costituisce la zona più elegante nell’assetto urbanistico della città lariana, posizionata tra Piazza Cavour con l’affaccio sul lago e la suggestiva Piazza Duomo.
Nel 1983 è stato inaugurato, proprio sul Lungo lago cittadino un monumento alla Resi-stenza antifascista in Europa, sul quale è incisa questa frase di Perretta: Questa tre¬menda esperienza avrà giovato a qualcosa? S’impone una rieducazione profonda e costante, al¬trimenti nemmeno questa lezione servirà.
Nel dicembre del 1998, l’Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione di Como, ha modificato la sua denominazione in Istituto di Storia Contemporanea “Pier Amato Perretta”.
Con l’auspicio che la Regione Basilicata possa recuperare la memoria di questo suo onorevole figlio, l’estensore di questo contributo ha già posto mano alla realizzazione della sceneggiatura per un film che narri le vicende e gli ideali della vita di Pier Amato Perretta, affinché diventino patrimonio condiviso di quanti hanno a cuore i valori di democrazia e di libertà.
Gianni Maragno
L’indipendenza della magistratura da altre forme di potere, in generale, e dall’esecutivo, in particolare, è stata frequentemente sottoposta nell’Italia democratica a forti tensioni e accesi contrasti, poi, di massima, rientrati con opportuni ed equilibrati chiarimenti.
È oggetto di larga attenzione proprio in questi giorni, sulla stampa e sui media, l’eccessiva e discutibile acredine con la quale viene proposta la infervorata polemica che vede coinvolti, da una parte, i magistrati “con le loro associazioni di categoria” a difesa dell’autonomia in nome della giustizia e della libertà, e, dall’altra, esponenti di gruppi parlamentari e di rappresentanti di alte cariche dello Stato, forti “a volte anche delle volontà popolari”, spesso intransigenti e mal disposti nel valutare comportamenti e strategie politiche confliggenti con gli ordinamenti espressi dal potere legislativo e tutelati dalla Costituzione, che l’apparato giudiziario è tenuto a far rispettare.
In questa opposizione di poteri, indebolire una parte a vantaggio dell’altra comporta scompensi difficili da recuperare nel delicato sistema di equilibri previsti dalla Costituzione, con inevitabili ripercussioni sulla qualità ed integrità di quanti sono chiamati a garantire un’equa distribuzione delle risorse dello Stato ed un sano e corretto svolgimento delle mansioni quotidiane di ogni cittadino. Spesso, poi, i comportamenti dei contendenti finiscono per essere inutilmente strumentalizzati.
Seppure in una diversa temperie politica e ideologica, la Basilicata si dimostra terra contrassegnata nel passato da solido impegno civile e irremovibile fedeltà ai principi di giustizia e democrazia.
La storia ci ha consegnato con i suoi intangibili documenti i rischi, l’oppressione, le drammatiche conseguenze del Fascismo in Italia. La dittatura scoraggiò qualsiasi forma di dissenso alle sue imposizioni, ma qualche magistrato, nostro corregionale, tenne la schiena dritta e denunciò con grande coraggio malcostume, corruttela, inadempienze ed incapacità del potere.
È opportuno ed esplicativo riprendere un articolo del periodico “La Separazione” del 23 giugno 1923, di seguito riportato, nel quale Pier Amato Perretta, magistrato insigne, nativo di Laurenzana, esprimeva il suo punto di vista sul regime fascista e riassumeva il ruolo e la figura del Duce con un appellativo, decisamente inconsueto per quel personaggio e in quegli anni:
Il viandante smarrito.
[…] Nessuno vuole preoccuparsi. Tutti intendono avere almeno l’aria di divertirsi, come gli stenterelli che portano a passeggio il loro appetito. Perciò la nostra voce è molesta. Diciamo nettamente che si sta male e che presto si starà peggio, mentre gli scienziati ufficiali si infervorano reciprocamente a trovare nuovi indici del benessere economico. Intanto il Capo del Governo preferisce parlare di Lorenzino dè Medici, anziché della lira perché questa – se pure sarà coniata col fascio littorio – sarà sempre riluttante ai suoi ordini e più docile verso il dollaro e la sterlina. La volontà di Benito Mussolini, cadute le illusioni taumaturghiche, sfrondata dei ricordi demagocici sull’importanza del castigo e del premio, si va esaurendo nelle gite, nelle cerimonie e nei vaticini. Egli sembra un viandante smarrito che parli con se stesso a voce alta, per avere il coraggio di proseguire. Non ha trovato nel potere quello che non trovò nel suo desiderio di ribellione. Comprende la sua impotenza, ma si ostina ad esaltare l’opera sua e dei suoi seguaci, come se dal semplice ordine di polizia potesse scaturire l’ordine economico e finanziario. Sulla crescente miseria italiana si leva qua e la il rumore dei banchetti di mille coperti, in onore di qualche avventuriero, quasi a celebrare il preferito lavoro delle ganasce. Gli innocenti plotoni dei balilla sgambettano perfino nelle feste dello Statuto e si mischiano agli uomini d’arme, come nelle orde barbariche; le mamme sorridono e temono solo di vederli tornare con i calzoncini pieni. La lesina cincischia le magri carni dei servizi pubblici. La popolazione di tutto il Paese aumenta ogni anno di mezzo milione, mentre si ignora la quota di capitalizzazione. Nessuno si azzarda a fare il calcolo della ricchezza nazionale per metterla a confronto degli 88 miliardi di debito pubblico. L’impossibilità di emigrare aggrava lo squilibrio del Mezzogiorno ed anche il Settentrione comincia ad allarmarsi del grave pericolo. La Confederazione dell’industria … studia, ma vuole prima “individuare le cause che ostacolano lo sviluppo industriale in quelle regioni”, cioè confessa di ignorare quale sia il rimedio. Prima della guerra l’impiego dei capitali stranieri, specie tedeschi aveva potentemente contribuito ad irrobustire la nostra economia. Oggi, nonostante le leggi allettatrici, dobbiamo provvedere più direttamente ai casi nostri, e non è facile impresa, pur avendo fatto il bel gesto di autorizzare la sottoscrizione in Italia di un prestito di duecento milioni all’Austria. È doveroso constatare, senza alcuna ostilità, che finora il Capo del Governo non ha avuto alcuna di queste intuizioni economiche che servano a valutare un uomo di Stato. Si sono fatti da alcuni nei confronti napoleonici, così come in Francia gli strilloni del re adoperavano l’olio di ricino ed il catrame. Ma bisogna ricordarsi che a Napoleone I non sfuggì mai l’importanza dei fatti economici e se ne occupò spesso personalmente, senza delegare il compito ad un qualsiasi Rocco o ad un bravo De Stefani. Così volle ed attu, mentre era primo console, la Banca di Francia e comprese la possibilità di fare di Anversa un “entrepot” dell’Europa occidentale, incoraggiando i primi lavori per migliorare il porto, approfondire i canali e sviluppare i magazzini. Sinora il fascismo si può paragonare ad un servizio di carabinieri e di militi sulla piazza di un mercato. È necessario non solo che i militi non vengano alle mani fra loro, ma che il mercato si arricchisca di merci, si animi di contraenti; altrimenti a sorvegliare il vuoto ed il silenzio, basta il custode dei cimiteri a caroviveri ridotto. Occorre meditare ed agire, spronare tutta la volontà a ricercare le cause del benessere del popolo e non accrescere il disagio con una numerosa oligarchia di affamati. […]
Coinvolge e si definisce come modello educativo il comportamento del giudice di Laurenzana, sia per i privati cittadini che per coloro che sono gravati da impegno istituzionale o svolgono un ruolo ufficiale. Sotto l’aspetto giudiziale, si sottolinea la funzione inalienabile della magistratura per individuare colpe e responsabilità e ristabilire una corretta condizione. Ma rifulge la qualità civile della oggettività dei fatti e dell’equilibrio del loro inquadramento, non avulso, per competenza di conoscenze e capacità di esprimerle, dal contesto di riferimento: economia, politica, storia, tutto concorre alla formulazione del giudizio, che si mostra attento e, quantomeno, rispettoso anche nei confronti del colpevole, ritagliando una definizione che descrive l’incombenza degli eventi sul Dittatore e la sua inabilità nel poterli e saperli affrontare.
A seguito di questo duro intervento contro il Duce, il Guardiasigilli Rocco dispose il trasferimento di Perretta; fu la prima di una lunga serie di rappresaglie, alle quali reagì con coraggio fino all’ultimo istante di vita.
La città di Como, dove il Magistrato Pier Amato Perretta trascorse gran parte della sua esistenza, con riconoscenza ha dedicato una piazza e intitolato il Museo della Resistenza a lui “un uono in difesa della libertà”.
Gianni Maragno