Nel centesimo anniversario della battaglia di Caporetto lo storico materano Giovanni Caserta ricorda due materani coinvolti, il cappellano Padre Marcello e il colonnello Ignazio Pisciotta.
Di seguito la nota integrale.
Esattamente cento anni fa si verificava la famosa rotta o disfatta di Caporetto, che costò all’Italia una valanga di profughi e di morti. Furono fatti prigionieri novemila soldati e centocinquanta ufficiali. Si parlò di tradimento, cui seguì, da parte del generale Cadorna, un provvedimento di fucilazioni per decimazione. Un materano, padre Marcello Morelli, cappellano militare, così rappresentò la fila dei profughi: “O teorie / lunghe di carriaggi / rotolanti nel fango,/ rombanti sui ponti/ come carri di morti!”. Parlò di “tormenta”. Per fortuna, superato il Tagliamento, sostituito Cadorna con Armando Diaz, si organizzò la resistenza sul Piave. Qui la tradizione assegna ad un materano un ruolo importante. Si tratta del maggiore poi colonnello dei bersaglieri Ignazio Pisciotta che, pur mutilato di un braccio, non chiese il congedo. Durante la battaglia del Piave, anzi, non potendo combattere, si narra che, armato di secchiello, pennello e colore, sui muri scrivesse, a più riprese, frasi del genere: “Meglio vivere un giorno da leone che cento anni da pecora”, “Tutti eroi! O il Piave o tutti accoppati”… Siamo in grado di offrire ai nostri concittadini le foto con le due scritte. Lo facciamo non certo per celebrare, nell’Europa unita, una vittoria che tanto costò, ma per piangere sui milioni di morti, fra i quali 265 materani, quasi tutti contadini e analfabeti, lanciati contro un nemico di cui non si conosceva l’esistenza e la natura di nemico. Alcuni di loro non avevano superato nemmeno i vent’anni.