Rossanna Travascia: “I “Promessi Sposi” di Parabita del XVIII secolo: due innamorati e un curato”. Di seguito la nota integrale.
Alessandro Manzoni, nello scrivere “I Promessi Sposi”, pare si sia ispirato alla vera storia di due sfortunati fidanzati di Parabita, un paese in provincia di Lecce.
Un giovane, Saverio Ferrari dei Duchi di Parabita, è innamorato di una bella fanciulla del popolo, Rosaria Cataldo. Al matrimonio si oppone il fratello maggiore, il Duca Giacinto, il quale ha potere di veto in tutto il suo feudo su quanto non ritiene opportuno o conveniente. Il punto che ricorda i Promessi Sposi è il matrimonio clandestino, il quale, ricalca la scena del povero don Abbondio quando si trova davanti Renzo e Lucia con i testimoni per pronunciare la fatidica frase: questa è mia moglie… questo è mio marito. Il matrimonio dei fidanzati salentini non viene riconosciuto e la sfortunata sposa si rifugia in un convento. La curia dichiara non valido il matrimonio dei due “promessi sposi”: “Questo matrimonio non s’ha da fare!”. Manzoni dice, infatti, di essersi ispirato per la sua composizione a un manoscritto, alludendo, forse alla storia o al manoscritto dell’Arciprete di Parabita, di cui, si ipotizza, potrebbe aver ricevuto una copia in seguito alla lettera inviata al Duca nel 1820. Questa supposizione è confermata dal ritrovamento di questa lettera conservata nell’Archivio di Stato a Roma in cui lo scrittore racconta di essere venuto a conoscenza, di questa storia di famiglia del 1780 e da qui essersi ispirato, pur modificandone contenuti e trama, per la stesura del suo celeberrimo romanzo in cui una patetica storia d’amore ha un lieto fine: ecco il “sugo” di tutta la storia!