Il Natale e il suo significato nelle riflessioni di Marino Trizio.
Accade in Italia che alcuni dirigenti scolastici e sindaci, d’imperio decidano di impedire canti natalizi e presepi, motivando tale scelta con la laicità dello Stato e il rispetto per altre religioni, innescando in questo modo scontri e polemiche a non finire. Anche se scontri e polemiche si sono alquanto diradati, questa può essere una provocazione, uno stimolo a chiederci che cosa rappresenta il Natale per noi. Secondo lo scrittore napoletano Luciano De Crescenzo, in Italia ci si divide fra “alberisti” e “presepisti”, cioè fra coloro che festeggiano il Natale addobbando un albero e aspettando i doni da Babbo Natale e coloro che, invece, costruiscono un presepio e aspettano i doni da Gesù Bambino. In questo caso, riproducendo anche il luogo e i personaggi coinvolti nella nascita di Gesù, si dovrebbe connotare maggiormente il senso religioso di questa festività. Ma è proprio così? I miei nonni, mio padre e mia madre erano per il presepio. Erano entusiasti e convinti, mio padre li costruiva e ogni anno, ne faceva diversi, che poi regalava ad amici e parenti. Il suo presepio con il cielo stellato di carta lucida faceva da sfondo a montagne arricciate di carta verde e marrone in cui infilava rametti di pino o di olivo; vi costruiva poi casette e castelli in stile arabeggiante, aggiungeva il muschio, che noi ragazzi andavamo a prendere nelle campagne e che veniva messo tra gli anfratti e le grotte, mentre stagnola e specchietti diventavano ruscelli e laghetti. Poi venivano aggiunte le pecore bianche, sparse qua e là, e infine i personaggi: nella grotta Maria, Giuseppe, con il bue, l’asinello e la culla per Gesù Bambino, in alto i Re Magi per simulare la lontananza e un po’ ovunque massaie, venditori, pastori con le loro greggi, porcari con decine di rosei maialetti (solo crescendo ci siamo resi conto che questi non si conciliavano molto con la Palestina). Sembrava, insomma, più una sagra paesana che un presepio, ma a noi bambini piaceva esattamente per questo, ed eravamo felici. Nessuno di noi si faceva domande sulla legittimità di certe presenze, come l’uomo che arrostiva i maialetti o le “serte” di pomodori appese al muro di una verduraia. Poi, la sera della Vigilia in ogni casa si faceva la processione per ogni stanza, si cantava “Tu scendi dalle stelle” e si faceva nascere Gesù Bambino, si andava a messa e si giocava a tombola.
Certo, eravamo comunque ben lontani dallo spirito del primo presepio, creato nel 1223 da San Francesco a Greccio: in quel luogo, infatti, il Santo, di ritorno da un viaggio in Palestina, aveva voluto realizzare una vera rappresentazione della Natività, per far rivivere e sperimentare la dimensione sacra di quell’evento e il suo profondo messaggio. La nascita di una nuova vita, di una nuova generazione, che attraverso il Messia, arriverà sino al sacrificio estremo, per affermare l’uguaglianza tra ricchi e poveri affinché questa venga sconfitta, con la distribuzione della ricchezza, il rispetto dell’uomo, l’abolizione della schiavitù di ogni genere, sociale, culturale e economica.
Il tema della Natività, però, è indubbio che abbia fatto la Storia dell’Arte italiana ed europea per secoli, ed abbia segnato l’educazione e la crescita culturale del nostro Paese. Questo, pur con tutte le contraddizioni, non possiamo né dimenticarlo, né sottovalutarlo, né negarlo.
Certo, con il passare degli anni il presepio è diventato qualcosa di molto diverso dal principio ispiratore del Santo di Assisi. Basti pensare ai presepi napoletani di san Gregorio Armeno, dove, insieme a Gesù e Maria, si trovano improbabili pupi raffiguranti personaggi di più o meno effimera notorietà, da Maradona a Berlusconi, da Renzi a Gigi D’Alessio. Questo “pasticccio” molto poco ortodosso dà l’idea del modo in cui spesso è vissuta e sentita la religione cattolica nel nostro paese: distorsioni continue, adattamenti progressivi a posizioni di comodo l’hanno ridotta a qualcosa di ben diverso dal messaggio originale e dai suoi insiti valori.
Fino al punto di diventare perfino blasfemi, ammettiamolo. Strutturalmente blasfemi, scettici e anche ipocriti. La nostra fede è fatta ormai più di superstizione, di credenze popolari, di leggende metropolitane che di consapevolezza, di conoscenza, di meditazione, di comportamenti e di fede. Qualche prova? Noi abbiamo una moltitudine di santi (molti dei quali di santo non avevano nulla) uno e più per ogni giorno, uno e più per ogni professione o categoria. Riempiamo le nostre chiese delle loro statue che vengono venerate con modalità che a volte ricordano culti pagani. Altra immensa anomalia, siamo arrivati a ideare barzellette su Gesù, sulla Madonna, sullo Spirito Santo, su Dio, su tutti i santi. Mi chiedo e chiedo quale altra religione lo faccia. Questo senza voler mettere in discussione la libertà di stampa, di pensiero e di satira. Per non parlare, fin troppo facile di questi tempi, della bufera che sta scuotendo il Vaticano: gli scandali di questi ultimi giorni sull’uso disinvolto e cinico che la Chiesa ha fatto e fa dei soldi che prende con l’8 per mille e attraverso le più disparate fondazioni, sono sotto gli occhi di tutti. Ancora una riflessione: quanti ricevono in questi giorni a casa, soprattutto ora sotto Natale – richieste di soldi corredate da calendari patinati e cartoline colorate. Mi chiedo se non sarebbe meglio impiegare questo denaro in opere concrete, invece di spenderlo per chiederne altro. E che dire dei “presepi viventi”? Ce ne sono dovunque, anche nella nostra città ormai da qualche anno, per puro spettacolo, organizzato da una società privata, senza un bando pubblico che ne definisca i criteri, gli ambiti e i costi. Personalmente sono contrario a tali rappresentazioni, come a quelle che si tengono a Pasqua (Mater Sacra, questa realizzata con fondi pubblici) perché non hanno alcun significato e nessun vero legame con i messaggi e i valori della Natività e della Resurrezione. Tutto è diventato puro intrattenimento. Questa, però, è una opinione personale. Allora, suggerisco: se queste rappresentazioni/eventi, si devono tenere, se questi eventi devono diventare appuntamenti storicizzati, perché attirano turisti e viaggiatori, con tutte le ricadute positive su varie attività e per far apprezzare le bellezze suggestive della nostra città, perché il compito di organizzarle non viene assunta dall’Amministrazione comunale, affidandone, alle varie e brave compagnie teatrali materane la gestione? In questo modo gli introiti derivanti dal biglietto d’ingresso, servirebbero in parte per le spese organizzative e in parte riutilizzate per altre attività sociali e culturali o per finanziare le suddette compagnie teatrali nella loro produzione culturale. Qualcuno potrà obiettare che i Sassi non si possono trasformare in un sito di spettacolo continuo, ma devono essere vissuti e visitati per quello che sono. Certo, anche questo è vero e va tenuto nella giusta considerazione, ma allora è necessario che l’Amministrazione comunale si doti finalmente di un regolamento chiaro su ciò che si può o non si può fare all’interno dei Sassi per non creare continui disagi. Tornando al significato del Natale, noi che ci definiamo cristiani cattolici dobbiamo frequentare di più i luoghi e i momenti in cui professare seriamente la nostra fede e questi momenti fondamentali del messaggio evangelico, soprattutto professando quei valori, di tolleranza, di comprensione, di altruismo, di rispetto, di solidarietà e di partecipazione, che possano aiutarci a creare insieme una nuova realtà, una nuova vita nella direzione del bene comune.
Viviamo, invece, in una situazione pseudo-religiosa ignobile e ipocrita, ci comportiamo esattamente al contrario del lascito morale che Gesù ci ha lasciato: difficile amare il prossimo, visto che il prossimo nostro non è solo il parente, l’amico o il vicino di casa, ma è anche il Rom, il “vucumprà”, e forse perfino il pazzo terrorista dell’Isis… Religione impegnativa quella di Gesù, troppo esigente, con insegnamenti troppo difficili da capire e da seguire: dopo duemila anni è ancora troppo avanti a noi e al nostro grado di civiltà. Qualcuno obietterà che, il cristianesimo è più di quello che si vede, perché coloro che amano il prossimo lontano dal clamore mediatico sono tanti, come coloro che accolgono in casa senza alcun ritorno, per pura ospitalità, coloro che prestano senza interesse, etc. etc. e nessuno lo sa. Ci sono tanti posti nel mondo dove le comunità cristiane e non solo vivono un’intensa unità con la semplicità della vita. Ma non dobbiamo dimenticare che i cristiani sono uomini e ci sono pure quelli ipocriti, e sono tanti, attaccati al mondo e alle sue cose. Va anche bene fare le cose nel silenzio, ma oggi occorre rompere questo silenzio e farsi sentire, farsi ascoltare, battersi per cambiare la nostra vita e per non essere subalterni e soggiacere al “potere politico ed economico” che hanno l’unico scopo di rendere l’uomo schiavo per il benessere di pochi. Pensiamo e riflettiamo quanto sia attuale ciò che è scritto nel Vangelo secondo Marco nel Capitolo 11: “Andarono intanto a Gerusalemme. Ed entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e comperavano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si portassero cose attraverso il tempio. Ed insegnava loro dicendo: “Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti? Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri!”
Fare commenti è inutile, anche questo attualissimo messaggio, ripeto, è ancora troppo esigente, altro insegnamento troppo difficile da capire e da seguire: dopo duemila anni è ancora troppo avanti a noi e al nostro grado di civiltà.
La tolleranza non comporta la rinuncia a ciò in cui si crede o si ama, magari uno Stato, giustamente laico, invece di impedire, può proporre, nelle scuole, a chi ha altre fedi di illustrare i valori della sua fede quando arrivano le relative festività, così magari ci si conosce e ci si accetta di più e meglio.
Ed ecco che quando qualcuno, magari esagerando un po’ col rispetto del politically correct, cerca di mostrarsi attento anche alle ragioni dell’altro e del diverso, tanti di coloro che a parole si professano cristiani e dovrebbero mettere in pratica le parole di tolleranza, di pace e di amore universale di Gesù, si ribellano e manifestano intolleranza, chiusura, astio verso chi è in difficoltà o verso di chi viene ritenuto diverso da noi. Talvolta sembra quasi di percepire una voglia di violenza nell’aria, ogni scusa è buona per tirar su muri e aprire contenziosi. Ma così si corre il rischio di avvitarsi in un vortice di violenza e di cieco odio, che portano dietro di sé guerra e distruzione.
L’unico spiraglio di speranza che si intravede in questo momento è quello che ci offre Papa Francesco, con la sua fedeltà al messaggio evangelico, perché la politica, l’economia, sono ancora lontane da un serio cambiamento e da un interesse per il bene comune. Attraverso di esso, Papa Francesco, ci esorta tutti ad una vita più sobria, senza sprechi e sfrenato consumismo. I duri giudizi rivolti al mondo economico e al mondo della finanza sullo sfruttamento dell’uomo e alle multinazionali e capi di Stato per il rispetto della natura, della Terra, ormai in grande sofferenza, hanno fatto il giro del mondo. Ma chi ascolta? Tutti dobbiamo impegnarci per cambiare questa situazione e tutti insieme dobbiamo aiutarlo nell’opera che Egli, ancora tra tante difficoltà e resistenze della gerarchia ecclesiastica, sta compiendo dentro la Chiesa e fuori di essa, nelle periferie del mondo, al di la della religione di ognuno e di chi non segue alcuna religione, perché è in gioco il destino dell’umanità.
Auguro alla mia città un Buon Natale e un Buon 2016.
Marino Trizio
Dic 22