Il pisticcese Mattia Albano è un nuovo sacerdote della Diocesi di Matera-Irsina. L’ordinazione sacerdotale è avvenuta nel pomeriggio nella Basilica Cattedrale di Matera per imposizione delle mani e la preghiera consacratoria dell’arcivescovo di Matera-Irsina Monsignor Pino Caiazzo durante la celebrazione eucaristica che ha coinvolto numerosi sacerdoti della diocesi. Alla cerimonia hanno partecipato anche il presidente della Provincia di Matera, Piero Marrese e il sindaco di Pisticci, Viviana Verri.
Mattia Albano nasce a Matera il 5 marzo 1993. Ha frequentato il Liceo Classico “Giustino Fortunato” di Pisticci e nel 2012 entra nel Seminario Maggiore Interdiocesano di Basilicata. Il 3 gennaio 2016 viene ammesso tra i candidati all’ordine del presbiterato e diaconato da mons. Salvatore Ligorio, arcivescovo di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo, in qualità di amministratore apostolico di Matera-Irsina. Il 15 settembre 2018 viene ordinato diacono nella chiesa di Sant’Antonio in Pisticci dall’arcivescovo di Matera-Irsina mons. Antonio Giuseppe Caiazzo. Il 17 giugno 2019 conclude il percorso di studi conseguendo il Baccalaureato in Sacra Teologia presso l’Istituto del Seminario Maggiore di Basilicata. Ha svolto la sua attività pastorale nelle parrocchie di San Giovanni Battista in Ferrandina, San Michele a Pomarico, Maria SS Annunziata in Scanzano Jonico, SS Pietro e Paolo in Pisticci. Da diacono è stato nominato collaboratore della parrocchia San Rocco in Montalbano Jonico dove tuttora svolge il suo ministero.
Michele Capolupo
L’omelia per l’ordinazione sacerdotale di Mattia Albano preparata e letta durante la funzione religiosa da Monsignor Pino Caiazzo
Il 03 giugno del 2016, la Congregazione per il Culto Divino, per espresso desiderio di Papa Francesco, ha elevato la memoria obbligatoria di S. Maria Maddalena al grado di festa liturgica. Decisione che il Papa prese durante il Giubileo della Misericordia per sottolineare la rilevanza di questa donna che mostrò un grande amore a Cristo e fu da Cristo tanto amata.
Carissimi genitori e familiari di Don Mattia, carissimi confratelli nel sacerdozio, diaconi, religiosi e religiose, comunità del Seminario Teologico di Potenza con il Rettore e l’equipe formativa, autorità, popolo santo di Dio, in particolare voi pisticcesi della Parrocchia di S. Antonio e di Montalbano, questa sera siamo in festa nel ringraziare il Signore che ci fa contemplare l’opera da lui compiuta in Maria di Magdala, simbolo della misericordia e del perdono ricevuto. In questa festa la nostra Chiesa di Matera – Irsina vive la gioia di meditare sull’opera di Dio che ha scelto il nostro Diacono Mattia per inondarlo della sua grazia e santità ed essere nella Chiesa discepolo, presbitero. Come per Maria Maddalena, così per Don Mattia contempliamo la misura della misericordia divina. Egli agirà nel nome e nella persona di Cristo Capo (in persona Christi capitis), per il bene delle anime. “Solo Cristo è il vero sacerdote, gli altri sono i suoi ministri” (San Tommaso D’Aquino, Commentarium in epistolam ad Hebraeos, c. 7, lect. 4).
La nostra santa racchiude ben tre figure che portano il nome di Maria: la peccatrice perdonata, la sorella di Lazzaro e Marta, una discepola proveniente da Magdala, presenti in tre diverse scene evangeliche che si sovrappongono.
La prima donna è Maria di Magdala. L’evangelista Luca dice che fu liberata da Gesù da sette demoni. Alcuni Padri della Chiesa la collegano alla prostituta che, entrata nella casa di Simone il fariseo, lavò i piedi di Gesù con le sue lacrime, asciugandoli con i capelli. Secondo Giovanni invece, l’episodio è collocato a Betania, e vede protagonista Maria, sorella di Lazzaro e Marta, che unge i piedi di Gesù con l’olio prezioso del nardo.
Tutte e tre le donne sono state identificate nella stessa Maria Maddalena: prostituta pentita, sorella dei suoi amici di Betania, presente ai piedi della croce e destinataria dell’annuncio della risurrezione.
Tutti siamo chiamati al pentimento, a riscoprire la fraternità, a fare esperienza della risurrezione di Cristo per essere annunziatori della stessa. Il sacerdote, come D. Mattia, è scelto tra peccatori che incontrano la misericordia di Dio, vivono la comunione fraterna e annunciano la buona novella del Vangelo. È collaboratore del Vescovo, in una Chiesa particolare: egli riceve “dal Vescovo la responsabilità di una comunità parrocchiale o di una determinata funzione ecclesiale” (CCC 1595). Forma con gli altri presbiteri un ‘unico presbiterio diocesano’, in comunione e sotto l’autorità del Vescovo, a cui promette obbedienza (cfr. Presbyterorum ordinis, 8).
Il vangelo della festa liturgica ci presenta l’apparizione di Gesù a Maria Maddalena. È una scena piena di angoscia, di tristezza, di lacrime e di dolore, così come si vive nelle nostre case quando bussa la morte. Sono momenti in cui sembra che tutto non abbia più senso: resta solo il conforto di recarsi presso la tomba, sostare, piangere. Solo il silenzio e il pianto consentono di ritrovare l’intimità con la persona cara al di là della nuda e fredda pietra.
Maria Maddalena cerca nel giardino del cimitero l’amico Gesù che la morte le aveva rubato per cui aveva perso il senso della vita. Quanto è vissuto dalla Maddalena succede ad ognuno di noi quando perdiamo un amico, un fratello, un figlio: sconvolge l’esistenza. Il sacerdote, che non si abitua mai al dolore, vive, soffre, condivide, sostiene, malgrado anche lui sperimenta sentimenti di tristezza e disperazione. Come nella prima lettura del Cantico dei Cantici, Maria Maddalena ci viene presentata come una nuova Eva nel giardino del sepolcro. C’è nel suo cuore tanto affetto e amore per lo Sposo che non trova. Eva diffuse la morte dove c’era la vita; Maria Maddalena annunciò la Vita da un sepolcro, luogo di morte.
Vorrei sottolineare alcuni aspetti di questa scena.
Maria Maddalena piange, ma cerca. Il suo dolore è doppio perché vede che il sepolcro è aperto e non c’è il corpo di Gesù. Lì aveva lasciato l’ultima volta il corpo della persona amata. Il sacerdote, uomo che raccoglie il dolore degli altri e lo conserva nel cuore, per grazia, è capace di far scoprire che l’amore è più forte della morte e della sconfitta. Maria di Magdala è figura della comunità, della Chiesa, è Sposa che cerca lo Sposo e non lo trova. Come Maria Maddalena, il prete si reca al sepolcro perché chiamato ad accompagnare ogni credente nel passaggio da questa vita a quella eterna. La forza dell’amore di Cristo che lo abita lo spinge ad agire ed operare per dire che la morte non è la fine di tutto ma l’inizio di tutto.
La Maddalena ci viene presentata come una delle poche persone che accompagnano Gesù lungo il suo calvario, assistono impotenti al suo soffrire e morire. L’amore è più forte di qualsiasi avversità. Come Maria, il sacerdote è innamorato di colui che lo ha chiamato, ma come prima gli angeli e poi Gesù chiedono alla Maddalena: “perché piangi?”, così lui asciuga le lacrime della disperazione, della solitudine, dell’ingiustizia, dei fallimenti, per riportare ogni uomo verso quel Gesù conosciuto e amato fin da piccoli. Il prete, come le tante Maria Maddalena, si inchina e guarda nel sepolcro vuoto, privo del corpo freddo e senza vita, e alza gli occhi verso i cieli infiniti dell’eternità. È questa la strada che indica soprattutto quando si è incapaci di riconoscere Gesù vivo. La Maddalena vede Gesù ma non riesce a riconoscerlo.
A questo punto Gesù pone un altro interrogativo: “Chi stai cercando?” La risposta della Maddalena mette in evidenza che sta cercando quel Gesù che appartiene al passato, ingoiato dalla morte. Nel brano del Vangelo proclamato, il “sepolcro” è citato cinque volte (nell’intero brano nove volte). L’evangelista vuole sottolineare come sia per la Maddalena che per i discepoli l’idea di Gesù morto è un dato di fatto. Questo le impedisce di riconoscerlo nonostante stia parlando con lei: “Se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto ed io andrò a prenderlo!” Il ministero del presbitero è unico: stando accanto ad ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito, cura le ferite e apre alla speranza, sull’esempio del Maestro: “Nella sua vita mortale egli passò beneficando e sanando tutti coloro che erano prigionieri del male. Ancor oggi come buon samaritano viene accanto ad ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito e versa sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza” (Prefazio comune VIII). E nella V preghiera Eucaristica B diciamo: “Rendici aperti e disponibili verso i fratelli che incontriamo nel nostro cammino, perché possiamo condividere i dolori e le angosce, le gioie e le speranze e progredire insieme sulla via della salvezza”.
Maria Maddalena riconosce Gesù quando la chiama per nome: “Maria!”. Quella voce è familiare, la risente dopo più di tre giorni e non esita a rispondere: “Maestro!”. Improvvisamente irrompe la forza dell’amore che è vita: le lacrime di dolore diventano lacrime di gioia. È già risurrezione! La voce del sacerdote è quella del Maestro che apre alla speranza e alla comunione con Gesù: è lui il Salvatore che cambia la vita. È Lui che ci trasforma, per cui saremo sterili se non viviamo l’intimità con il Signore ma ci leghiamo ad un suo rappresentante. Allo stesso modo, la fecondità del ministero sacerdotale si ha realmente quando si è capaci di allargare gli orizzonti del servizio e di non legarsi ad una determinata comunità o ruolo. “Comporta che (noi sacerdoti) non vogliamo imporre la nostra strada e la nostra volontà; che non desideriamo diventare questo o quest’altro, ma ci abbandoniamo a Lui, ovunque e in qualunque modo Egli voglia servirsi di noi” (Benedetto XVI, Omelia, giovedì santo 2009).
È a questo punto che Maria Maddalena riceve una missione ben precisa: “Ma va’ dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro”. Deve annunciare ai fratelli che Gesù è vivo. Questo è il cuore della missione per ogni cristiano. Il sacerdote annuncia che Cristo è risorto. Ogni volta che celebra un sacramento, è Cristo presente, vivo, che vince la morte e apre alla vita nuova. Ogni volta che celebra le esequie, la luce del cero pasquale posta davanti al feretro annuncia che la morte non ha il potere di spegnere la speranza nel buio del dolore. Il sacerdote è l’uomo di Dio che annuncia che Cristo ha distrutto la morte ed è vivo per sempre. Così la missione del sacerdote è:“ecclesiale perché nessuno annuncia o porta se stesso, ma dentro ed attraverso la propria umanità ogni sacerdote deve essere ben consapevole di portare un Altro, Dio stesso, al mondo. Dio è la sola ricchezza che, in definitiva, gli uomini desiderano trovare in un sacerdote” (Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per il Clero, 16-3-09).
Tutta la scena che abbiamo rivisitato presenta, nel giardino del sepolcro, l’incontro di Maria di Magdala con il Risorto. L’evangelista Giovanni fa chiaro riferimento al Cantico dei Cantici che tratteggia: il desiderio dell’innamorata, la ricerca nella notte, la domanda alle guardie, l’incontro con l’amato. L’unica cosa che cambia Giovanni è il finale. Infatti nel Cantico la sposa dice: “lo strinsi fortemente”, mentre Gesù, lo sposo, dice a Maria Maddalena: “non mi trattenere”. Così la missione del sacerdote è: “comunionale, perché si svolge in un’unità e comunione che solo secondariamente ha anche aspetti rilevanti di visibilità sociale. Questi, d’altra parte, derivano essenzialmente da quell’intimità divina della quale il sacerdote è chiamato ad essere esperto, per poter condurre, con umiltà e fiducia, le anime a lui affidate al medesimo incontro con il Signore” (Benedetto XVI, o.c.).
Alla luce di quanto detto riusciamo a cogliere e rileggere la prima lettura e tutto il libro del cantico dei Cantici, attraverso questa sintesi: “Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, [15] Fontana che irrora i giardini, pozzo d’acque vive e ruscelli sgorganti dal Libano. [16b] Venga il mio diletto nel suo giardino e ne mangi i frutti squisiti. [5,1a] Son venuto nel mio giardino, sorella mia, sposa, [6,2a] Il mio diletto era sceso nel suo giardino [11] Nel giardino dei noci io sono sceso, per vedere il verdeggiare della valle, per vedere se la vite metteva germogli, se fiorivano i melograni. [7,12] Vieni, mio diletto, andiamo nei campi, passiamo la notte nei villaggi. [13] Di buon mattino andremo alle vigne; vedremo se mette gemme la vite, se sbocciano i fiori, se fioriscono i melograni: là ti darò le mie carezze!”
Carissimo Don Mattia, in queste frasi è condensato il tuo ministero sacerdotale. Innamorato di colui che ti ha chiamato, in questi anni di formazione, attraverso l’impegno dei tuoi superiori e professori, hai maturato il tuo “Sì” per essere di Cristo e della sua Chiesa. Non potrai coltivare la diversità delle piante nel giardino della vita, se ti mancherà il desiderio di stare con lui, di cercarlo, di adorarlo. Sei chiamato ad essere la fecondità di Dio non nella carne ma nello spirito, affinché ogni bambino, ragazzo, giovane, adulto, anziano che incontrerai possa sentire l’alito dello Spirito che, attraverso te, innalza verso le altezze dell’eternità. Desiderio che diventa contagioso amando la Chiesa nella quale sei nato e alla quale guardi come Sposa che, pur peccatrice, cerca l’amore della sua vita: lo Sposo, Gesù, l’Alfa e l’Omega, il Vivente, il Primo e l’Ultimo.
Ti affidiamo a Maria, Madre di Gesù e Madre nostra, a S. Maria Maddalena e ai nostri santi protettori. Sii un prete santo, innamorato di Cristo e della Chiesa, capace di fare innamorare, allo stesso modo, i cuori dei fratelli che da oggi sarai chiamato a servire.
† Don Pino, Arcivescovo
La fotogallery dell’ordinazione sacerdotale di Mattia Albano (foto www.SassiLive.it)