E’ stato inauguraot in mattinata il trentunesimo anno accademico dell’Università della Basilicata. Riportiamo di seguito l’intervento del Direttore generale Lorenzo Bochicchio, la relazione del Magnifico Rettore Mauro Fiorentino e il saluto del personale tecnico amministrativo Michele Lavella.
Intervento del Direttore generale Lorenzo Bochicchio
Colleghi del Personale tecnico e amministrativo, Professori e Ricercatori, Magnifici Rettori, Sig. Presidente della Giunta, Sig. Viceministro dell’Interno, Chiar.mo Prof. Nicolais, Autorità tutte, Signore e Signori, cari Studenti, a voi anzitutto il mio ringraziamento per la partecipazione all’odierna cerimonia.
Ogni cerimonia di inaugurazione di un nuovo anno accademico riannoda le trame di una storia in divenire ed è, al contempo, momento di sintesi dei processi trascorsi ed incominciamento di attese e di percorsi futuri; e mai come questa giornata, che poggia sul crinale delle celebrazioni per il trentesimo anno dalla istituzione del nostro Ateneo e l’avvio di una nuova stagione accademica, segna una continuità ideale tra il nostro passato, recente e tuttavia pregno di significati, e quello che verrà.
Siamo sotto l’incedere di una crisi finanziaria e di un sincrono cedimento dell’economia reale, che inducono instabilità nel governo delle istituzioni e stemperano l’efficacia delle politiche pubbliche di risanamento, astrette, come sono, dalla necessità di muovere verso percorsi angusti, in una contrapposizione ideologica che forzosamente si ricompone in scelte programmatiche convergenti in quanto obbligate dalla crescente limitatezza delle risorse pubbliche.
Ed è sulla efficiente gestione di tali risorse che si gioca la partita del momento. Laddove il sistema universitario è diventato componente integrante dello Stato sociale, la insostenibilità delle forme di welfare rette per il presente e fondatamente garantite per il futuro da investimenti pubblici dispiegherà riverberi significativi sulla vita degli atenei. Il timore, dinanzi alla celere rimodulazione degli assetti geopolitici, che sospinge verso una condizione di incompiutezza le democrazie occidentali e le forme di mercato ad esse presupposte, è che la sorte delle università sia segnata in quanto e nei termini in cui essa è connessa al declino del sistema degli Stati.
In questo contesto appare quanto mai opportuno un richiamo alla nostra matrice identitaria. La molteplicità dei quadri assiologici di riferimento ricaccia i nostri modelli educativi verso paradigmi asseritamente migliori e tuttavia non sempre calzanti sulla complessità dei contesti nei quali si innestano. Il pensiero corre, per restare su temi di recente attualità, alla generale penalizzazione delle università meridionali. La giustapposizione tra un Nord più competitivo ed un Sud che arranca è una categoria ermeneutica e di lettura del nostro tempo che mai avremmo voluto utilizzare e, tuttavia, che si impone ex se solo che si guardi alle politiche pubbliche in materia di istruzione e ricerca. Ed allora non possiamo esimerci dal rilevare che l’innovazione del sistema universitario non può risolversi in una drastica cesura con il passato, dovendo invece tradursi nella sapiente ponderazione tra quanto deve essere perpetuato e quanto deve essere ripensato, nel rispetto di tradizioni, di culture e di atenei che tanta parte hanno avuto nella costruzione delle civiltà occidentali.
E’ la funzione culturale dell’università che sta indebolendosi e non per l’accentuata divaricazione delle specializzazioni disciplinari bensì per la destrutturazione del ruolo degli atenei nell’accezione di Studium generale e dell’idea di humanitas quale architrave di ogni forma di sapere, che riconosce nel progresso della conoscenza scientifica e nella promozione dei talenti un valore essenziale, una funzione sociale, un moltiplicatore di benessere nell’evoluzione dei popoli e delle comunità. L’implementazione di sistemi di valutazione e di accreditamento, la tensione verso atenei globali, il peso crescente della componente premiale nella ripartizione delle risorse pubbliche possono stimolare processi virtuosi nel sistema universitario ma non devono debordare nella costruzione di scenari di selezione di matrice darwiniana, a tutto detrimento dei contesti sociali meno competitivi e della funzione prima della formazione quale agente di mobilità sociale e di emancipazione umana e professionale.
Don Lorenzo Milani e la sua Scuola di Barbiana ci insegnano che “Se si perde loro (i ragazzi più difficili) la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati” (Lettera ad una professoressa, 1967).
Il momento non è facile. I trasferimenti statali in favore del sistema universitario negli ultimi quattro anni si sono ridotti di circa un miliardo. Nel periodo 2008-2012 il Fondo di Finanziamento Ordinario destinato all’Università degli Studi della Basilicata ha subito una decurtazione dell’8,22% (da 35.634.467,00 euro a 32.490.763,00 euro), con un ulteriore decremento per il 2013 del 5%; riduzioni tanto più rilevanti per chi ha scelto – come noi – di mantenere i livelli di tassazione studentesca bassi, seppure la normativa di settore incentivi l’integrazione di fonti di finanziamento endogene, che, in assenza di un solido tessuto imprenditoriale, dovrebbero alimentarsi in maniera preponderante di entrate contributive.
In un modello di autonomia responsabile, poste le risorse disponibili, le politiche di programmazione dovrebbero essere affidate alla capacità di autodeterminazione degli atenei. Se una contrazione dei trasferimenti può avere una sua dolorosa ragionevolezza in una fase di crisi strutturale del Paese, la negoziazione di ogni discrezionalità decisionale e la posizione di vincoli alla composizione della spesa non hanno motivo di essere. Ed invece la fissazione di limitazioni al c.d. turn over, l’incalzare di una produzione normativa schizofrenica e di scarsa qualità, assai stringente nelle prescrizioni ma generalmente inidonea a perseguire finalità di sistematizzazione della spesa e di contenimento di fenomeni di corruttela, sta mettendo in ginocchio il governo delle amministrazioni universitarie e inducendo un significativo depauperamento del corpo docente e delle professionalità di supporto alla didattica e alla ricerca, con ricadute immediate, tanto più evidenti negli atenei di modeste dimensioni, sulla sostenibilità e sulla qualità dell’offerta formativa.
In tutto questo si innestano – esempio virtuoso di interazione tra istituzioni pubbliche – gli accordi programmatici con la Regione Basilicata.
Dell’inizio di quest’anno è l’approvazione del “Piano dodicennale 2013-2024”, che impegna la Regione Basilicata in un importante progetto di sostegno finanziario in favore dell’Ateneo lucano (il Piano ha fatto seguito all’Accordo di programma sottoscritto con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nell’agosto del 2011). Nei mesi passati si è proceduto alla sottoscrizione dell’Accordo di programma triennale 2013-2015, di attuazione del predetto Piano, che traduce e condiziona l’intervento regionale al perseguimento di finalità ambiziose, nell’alveo di un più vasto programma di rimodulazione degli strumenti di governance delle istituzioni universitarie, prodromiche al miglioramento degli indicatori di attrattività di Unibas e alla riduzione dei flussi migratori ante e post lauream verso atenei e mercati del lavoro extraregionali.
Credo di poter dire che oggi l’Università degli Studi della Basilicata oggi versa in buone condizioni di salute. Non è questa la sede per elencare i risultati conseguiti, ma gli indicatori di maggior momento devo menzionarli.
Nel corso del 2013 abbiamo registrato un significativo incremento del numero degli immatricolati. Ad oggi – e i termini di iscrizione non si sono ancora chiusi – risulta un aumento dell’8% rispetto al dato definitivo delle immatricolazioni dell’anno passato.
Disponiamo di un alto valore dell’indicatore di sostenibilità economico finanziaria, che, su una platea di 63 atenei, colloca l’Università degli Studi della Basilicata al 7° posto a livello nazionale.
Abbiamo conseguito posizionamenti soddisfacenti nei rating nazionali per Qualità dell’Offerta Formativa e della Ricerca Scientifica, per indici di attrattività di ragazzi stranieri e provenienti da Regioni terze (con una percentuale di circa il 19% siamo la prima università del Sud Italia), per i livelli elevati di customer satisfaction di studenti e laureati (dati del Consorzio Alma Laurea).
Il merito va a quanti hanno operato con competenza e dedizione. Consentitemi, pertanto, di indirizzare un saluto al corpo docente, ai componenti degli Organi di governo, di gestione e di controllo dell’Ateneo, al Prorettore Vicario, prof. Giancarlo Di Renzo.
Un saluto ed un ringraziamento particolari li devo a Mauro Fiorentino, che oggi celebra la sua ultima inaugurazione accademica nelle vesti di Rettore, che molto ha dato al progresso e alla storia di questo Ateneo.
Un pensiero va ai Colleghi tecnici e amministrativi e alle Rappresentanze sindacali, con i quali ho condiviso un’altra stagione di grandi fatiche. Lungi dal produrmi in una elencazione di quanto fatto – come si userebbe ai Direttori generali in consessi di questo tipo – non posso tuttavia esimermi dal segnalare quantomeno i processi di maggiore rilevanza, per rendere merito a coloro che hanno investito passione ed energie nella costruzione degli stessi: ed allora, nel corso dell’ultima stagione accademica abbiamo completato in maniera esemplare l’imponente iter di recepimento della “Riforma Gelmini” e l’annesso processo di sistemazione dell’assetto statutario e regolamentare dell’Ateneo; provveduto alla istituzione di un sistema di valutazione della “efficienza e della sostenibilità economico – finanziaria” della didattica e della ricerca e di “assicurazione della qualità di Ateneo”; in questi giorni porteremo a compimento il defatigante percorso di implementazione della contabilità economico-patrimoniale e del c.d. “bilancio unico”, come delineato dal D.lgs. n. 18/2012; stiamo lavorando alla rimodulazione dell’asset organizzativo degli uffici centrali di amministrazione; abbiamo strutturato il primo Sistema di valutazione e di misurazione della performance del personale ed approvato il primo Piano della formazione di Ateneo, nel rispetto dei principi e delle prescrizioni di cui al D.lgs. n. 150/2009; abbiamo strutturato un nuovo modello di marketing istituzionale (su tutto, penso all’apertura dello store per la commercializzazione e la diffusione del brand di Unibas, alla costruzione di un nuovo piano della comunicazione, alla realizzazione del nuovo portale di Ateneo e dei siti web delle Strutture Primarie, in seno ad un più vasto programma di digitalizzazione e dematerializzazione dei flussi informativi); abbiamo costruito, attraverso un’opera di ingegneria giuslavoristica, un importante apparato di interventi socio-assistenziali a beneficio del personale tecnico ed amministrativo; nel quadro degli interventi finalizzati al potenziamento delle infrastrutture di servizio, segnalo l’inaugurazione della nuova Casa dello Studente a Macchia Romana, di concerto con la Regione Basilicata e con l’ARDSU; l’apertura della nuova biblioteca nel Plesso del Francioso; il considerevole potenziamento della dotazione impiantistica del Centro Universitario Sportivo e delle strutture al servizio degli studenti diversamente abili; stiamo, altresì, completando i lavori per la realizzazione di una nuova biblioteca e di aule a Macchia Romana; abbiamo appaltato i lavori di rifunzionalizzazione energetica del campus universitario ed avviato le procedure per l’affidamento, nell’ambito dei “Piani per il Sud”, dei lavori per la costruzione di una piastra attrezzata a servizio del centro congressi dell’area “ex Enaoli”, nonché dei lavori per la costruzione di una nuova Casa dello studente in Via Cavour, etc..
Su tutto questo, tuttavia – e non possiamo non ricordarcene – incombono gli esiti di contenziosi scaturenti da accadimenti molto risalenti nel tempo, che, laddove non dovessero trovare composizione, rischierebbero di mortificare i percorsi di crescita professionale di una parte considerevole della dotazione di personale tecnico ed amministrativo, con ricadute significative sul governo dell’Ateneo.
Il prof. Canfora, in occasione della recente inaugurazione dei nuovi locali della biblioteca nel Polo del Francioso, ha offerto una mirabile sintesi dell’evoluzione concettuale e semantica dell’utopia – già affetta da certa ambiguità nella primigenia formulazione di Tommaso Moro – che ha declinato nei termini di un paradigma, fors’anche inarrivabile, verso cui orientare i nostri aneliti e gli intendimenti di rinnovamento sociale; e l’attuale momento storico – che il predetto conveniva essere pervaso da un sentimento di profondo scetticismo – ci sollecita ad impregnare le nostre azioni della tensione verso idealità alte, perché siano animate da una fiducia cieca, ma non irragionevole, nella possibilità di futuro per i nostri ragazzi, perché ogni fatica sia sospinta dalla speranza, cieca anch’essa ma non irragionevole, che l’etica pubblica e il primato non condizionato del principio del merito, lungi dal risolversi in forme di vacuo eroismo, valgano ancora ad affermare istanze di giustizia sociale e a costruire la “felicità dei popoli”.
“Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande “I CARE” … me ne importa, mi sta a cuore”, riferiva Don Lorenzo Milani nella Lettera ai giudici. Ed è auspicabile che la stessa amorevolezza, lo stesso sentimento di affiliazione inducano la comunità lucana tutta a fare quadrato intorno al nostro Ateneo e all’avvenire dei giovani, nella consapevolezza che è necessario ripartire dal progresso dei saperi e dall’educazione all’etica pubblica per alimentare il coraggio di sognare, per conoscere il tenue sapore della speranza e per convincersi che vale ancora la pena spendersi per costruire un tempo più giusto ed un futuro migliore.
La responsabilità di edificare prospettive di vita per i nostri ragazzi e per la nostra Terra non può annacquarsi nelle difficoltà del momento, ma da queste difficoltà deve trarre nuovo slancio e nuovo ardimento; memori – secondo quanto ci ha insegnato un profeta della speranza – che “un vincitore è semplicemente un sognatore che non si è mai arreso” (Nelson Mandela).
La relazione del Magnifico Rettore Prof. Mauro Fiorentino
Caro direttore generale
Cari colleghi professori e ricercatori
Magnifici rettori e loro delegati
Ill.me autorità religiose, civili e militari
Ill.mo e Chiar.mo Prof. Luigi Nicolais
Vi rivolgo un saluto forte e caloroso e vi ringrazio tutti per essere qui in tanti, insieme a noi, a celebrare il Dies Academicus, un rito simbolico, spero non inutile, della vita universitaria.
E rivolgo un pensiero rispettoso al Presidente Emilio Colombo che ha partecipato a quasi tutte le cerimonie inaugurali dei precedenti anni accademici.
L’anno che va ad iniziare è l’ultimo che ho l’onore di inaugurare in qualità di Rettore dell’Università degli Studi della Basilicata. Il mio mandato, infatti, che per legge non è rinnovabile, si concluderà il 30 settembre del 2014. Ho anche per questo deciso di imperniare la mia relazione su pochi temi che ritengo essere, alla luce dell’esperienza che va a concludersi, particolarmente significativi, tralasciando resoconti annuali, pur forse importanti, che potrebbero però distogliere l’attenzione da detti temi.
Così come non mi soffermo sugli eventi che per tutto l’anno abbiamo promosso per sottolineare il trentesimo anno di età della nostra Università. Abbiamo tenuto, a tal riguardo, un profilo leggero, sia per rendere più consono il senso delle celebrazioni al momento di grande attenzione sociale che il Paese ci impone, sia perché abbiamo maturato la convinzione che la grande discontinuità che sta vivendo in particolare il sistema universitario ci richiede di disegnare un futuro che è principalmente condizionato dai nuovi scenari che si vanno delineando in Italia e nel mondo, pur in presenza degli importanti insegnamenti che provengono dalla lunga strada che il nostro ateneo ha percorso nei suoi primi trent’anni. Pur con questa convinzione, riteniamo però imprescindibili i valori che il legislatore pose alla base dell’istituzione del nostro ateneo, ispirati ad accompagnare il rilancio dei territori martoriati dal terribile sisma del 1980, valori che abbiamo inserito tra i principi ispiratori del nuovo Statuto di autonomia.
Qualche giorno addietro rilasciai, a valle dell’incontro voluto dalla Ministra Carrozza con i Rettori delle Università meridionali, una dichiarazione sulla quale vorrei tornare per fornire maggiori elementi a supporto. Ebbi a dire, in particolare: “rimane in me viva la preoccupazione che i problemi del Mezzogiorno continuino a non trovare adeguata percezione nelle linee programmatiche del governo”. Ed ancor più in particolare che “la mia opinione personale è che oggi manchi una mediazione politica attenta che, unica, può ricondurre a una piena osservanza dei principi costituzionali di sussidiarietà e uguaglianza, e al rilancio del fondamentale ruolo di presidio culturale e della legalità che le Università svolgono nelle aree più difficili del Paese”.
E’ ormai evidente che l’insieme dei (tanti) decreti emanati dal Governo in ossequio all’art. 5 della legge 240/2010 (Delega in materia di interventi per la qualità e l’efficienza del sistema universitario) sta, volutamente o meno, esaltando le differenze tra la quantità di risorse messe a disposizione dei singoli atenei e sta vieppiù limitando la possibilità che gli atenei più in difficoltà possano concretamente attuare strategie idonee per migliorare i servizi resi. Tenendo conto che ciò ha un riverbero immediato e diretto sulle popolazioni e sui territori, la questione richiede, prima che sia troppo tardi, un’adeguata attenzione.
Tra l’altro è anche oggettivo che in questo quadro, già preoccupante, a soffrire in maniera più marcata delle scelte del Governo, risulta il sistema universitario del Sud, proprio laddove esso stesso svolge un fondamentale ruolo aggiuntivo di presidio sociale e della legalità.
Proverò a dimostrare come sia fortemente probabile che, se si continuasse su questa linea, nel giro di pochi anni sarebbe proprio questo sistema a vedere molti dei suoi elementi essere messi nell’impossibilità di continuare ad operare.
Esaminiamo qualche dato. Il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) alle università statali è sceso dai 7.250 milioni di euro del 2008 ai circa 6.700 del 2013 e ai circa 6.500 (stimati) del 2014, con una perdita nel periodo pari al 14%.
L’FFO è sostanzialmente composto da una quota base e da una quota premiale. La prima è ripartita in base ad un modello di calcolo preesistente alla legge 240/2010, mentre la seconda viene distribuita in base ai Decreti Ministeriali emanati ogni anno dal Governo in ottemperanza al citato art. 5 della stessa legge. Così come previsto dall’art. 60 del decreto-legge n. 69/2013 (cosiddetto decreto del fare), convertito nella L. 98/2013, la proporzione della quota premiale sul totale dell’FFO, oggi pari a circa il 14%, aumenterà al 16% nel 2014 ed al ritmo del 2% annuo fino al massimo del 30%.
Le università statali che concorrono alla quota premiale sono 53 (alcune altre, infatti, beneficiano di deroghe), 21 al Sud, 15 al Centro e 17 al Nord. Nessuna di quelle in deroga si trova al Sud.
In queste 53 università sono risultati iscritti, nell’a.a. 2012-2013, tralasciando i pur numerosi studenti ancora iscritti ai corsi di studio pre-riforma (ante 3+2), 1.475.786 studenti, il 33% dei quali nelle università meridionali, il 35% in quelle delle regioni centrali e il 32% nelle sedi del Nord; con una domanda di formazione, quindi, che si ripartisce più o meno uniformemente nei tre territori.
Le risorse statali messe a disposizione di queste università si sono ripartite come segue.
La quota base dell’FF0 2011, pari a 5.469 milioni di euro è andata per il 31,7% a quelle del Sud, per il 36,6% a quelle del Centro e per il 31,6% a quelle del Nord. Queste percentuali sono rimaste sostanzialmente immutate nel 2012. E’ da notare che il ben noto squilibrio esistente tra le singole università con riferimento al finanziamento statale per singolo studente, variabile da poco più di 2500 euro/studente ad anche più di 6000 euro studente, è sostanzialmente riassorbito al livello delle tre macroregioni; sebbene emerga una leggera penalizzazione per le sedi meridionali a favore di quelle del Centro.
Ben diversa è la situazione per quanto riguarda la quota premiale.
Prima di dedicarsi alla relativa analisi, è forse utile rimarcare che essa in effetti, più che premiare, ha finora solo punito, nel senso che, non facendo riferimento a finanziamenti aggiuntivi, ha consentito, al più, alle sedi meritevoli selezionate in base ai parametri definiti con Decreto Ministeriale, di perdere meno delle altre, essendosi l’FFO complessivo ridotto progressivamente in questi anni di prima applicazione della L. 240/2010.
In ogni caso, la ripartizione della quota cosiddetta premiale ha dato luogo sin dalla sua prima applicazione ad un evidente squilibrio di carattere territoriale. Infatti mentre le università del Centro si sono attestate, in media, nel 2011 e nel 2012, su percentuali di finanziamento sostanzialmente indistinguibili da quelle della quota base, quelle meridionali hanno preso solo il 26,5% nel 2011 (contro il 31,7% sulla quota base) che è sceso al 26,1% nel 2012, mentre le università del Nord hanno “meritato” il 36,6% in entrambi gli anni, a fronte di un peso “di sistema” che, come detto, è del 31,6%.
In soldi, rispetto alle condizioni vigenti prima della L. 240/2010, circa 105 milioni di euro sono stati spostati, nel biennio 2011-2012, dalle università del Sud a quelle del Nord. Se nulla cambiasse nei prossimi anni in termini di finanziamento complessivo del sistema universitario nazionale e se, come sembra ineluttabile la quota premiale continuerà a crescere in termini percentuali fino al 30%, si raggiungerebbe il bel risultato di trasferire anche più di 100 milioni di euro all’anno (progressivi e aggiuntivi) dal sistema universitario meridionale a quello del Nord.
Mi chiedo e vi chiedo: ci siamo accorti che, in virtù di questo trasferimento annuo, per rispondere alla domanda di formazione degli studenti che oggi si iscrivono al Sud, considerando invariato il finanziamento statale per unità di studente (circa 3500 euro/studente) la già alta migrazione studentesca dal Sud verso il Nord dovrà crescere, dico crescere, allo spaventoso ritmo di circa 30.000 studenti all’anno?
Siamo certi che questo è ciò che il Paese vuole? O almeno che questo è ciò di cui il Paese ha realmente bisogno?
Purtroppo però, anche altre scelte del Governo sembrano concorrere nella stessa direzione. La più eclatante, che ha scatenato, tra l’altro, il malcontento esploso nei mesi passati, è relativa alla modalità con la quale, con riferimento al turnover, si sono imposti alle singole Università limiti diversi (D.M. n. 713 del 9 agosto 2013). A fronte di un limite di sistema, che consente a livello nazionale di reimpiegare per il reclutamento solo il 20% delle risorse derivanti da cessazioni del 2012, il decreto, discriminando in base ad un parametro di sostenibilità economico-finanziaria (c.d. ISEF), impone ad alcune università di non andare oltre il riutilizzo di pochissime unità percentuali e ad altre di salire ben oltre il limite di sistema, fino a superare anche il 200%.
Ma, ancora una volta, questo intervento conduce ad esiti molto differenziati nei territori.
Per chiarire la questione occorre premettere che, in ambito di reclutamento universitario, le risorse sono parametrizzate in termini di c.d. Punti Organico, essendo il P.O. pari al costo medio annuo di un professore ordinario. Così che un professore associato vale 0,7 P.O., un ricercatore 0,5, e via via a scendere per le varie categorie di impiego del personale tecnico-amministrativo.
Entrando nel merito, le università statali hanno perso, per cessazioni dal servizio nel 2012, unità di personale per un totale di 2.227 P.O. (766 al Sud, 857 al Centro, 605 al Nord). In ossequio al citato limite di sistema potranno assumere personale per un massimo di 445 P.O., ripartiti, in base al D.M. 713/2013 in 78 al Sud, 182 al Centro, 185 al Nord.
In pratica ci si ritrova con gli stessi squilibri evidenziati con riferimento alla distribuzione delle risorse finanziarie. Infatti. in termini di P.O. riutilizzabili. il Centro si attesta intorno alla percentuale media di sistema nazionale, mentre il Sud potrà reclutare solo per la metà del limite nazionale ed il Nord per un 50% in più. Se, ad esempio, per semplicità, pensiamo che con 5 P.O. si possono assumere, 1 professore ordinario, 2 professori associati, 3 ricercatori, per un totale, quindi, di sei docenti, oltre a tre funzionari tecnico-amministrativi, con le risorse da cessazioni 2012, le università del Nord, che hanno da utilizzare circa 60 P.O. in più rispetto al limite medio di sistema, potranno assumere circa 6×60/5=72 docenti, oltre a 3×60/5=36 unità di personale tecnico-amministrativo che, con una politica di distribuzione uniforme, sarebbero andati alle università del Sud.
Ancora una volta, se si continuasse con decreti analoghi anche negli anni a venire, nei quali è già sancito che il limite medio nazionale di turnover salirà, per le cessazioni 2013, al 50% e poi, dopo il 2016, progressivamente fino al 100%, la migrazione dal Sud verso il Nord, questa volta di docenti e non di studenti, si attesterebbe, nel volgere di pochi anni intorno ai 250-350 docenti all’anno, prima di cominciare a decrescere a seguito dell’incremento dell’indice di sostenibilità economico-finanziaria per effetto della significativa riduzione delle spese fisse degli stipendi non più pagati in virtù della grande riduzione di personale docente e tecnico-amministrativo.
Ed anche qui le Università potranno fare ben poco per correggere il tiro. Infatti, a meno di casi eccezionali quali quello della nostra Università, nei quali contribuiscono ad aumentare l’ISEF finanziamenti esterni di lungo periodo come quello della Regione Basilicata, l’ISEF stesso può essere incrementato solo aumentando le tasse studentesche. Ed è proprio qui che emerge un’altra enorme differenza tra Sud e Nord. Infatti, come anche evidenziato dal Sole 24Ore del 4 novembre u.s., la contribuzione media degli studenti paganti nel 2012 varia dai 1700 euro/anno del Politecnico di Milano ai 430 euro/anno della nostra Università. In questa speciale classifica, come si vede, siamo ultimi; ma ciò che più rileva a livello nazionale è che le 21 università del Sud sono tutte nelle ultime 33 posizioni.
Ne discendono differenze sostanziali ai fini della sostenibilità economica. Basti mettere a confronto, ad esempio, due piccole Università con poco meno di 9.000 iscritti, la nostra e quella dell’Insubria, che incassano rispettivamente contributi studenteschi, al netto dei rimborsi, pari a circa 4 e 15 milioni di euro all’anno (rilevazione MIUR). Oppure due università di media dimensione, quella del Salento (18.000 studenti) e quella di Modena e Reggio Emilia (19.000 studenti), rispettivamente con 13 e 23 milioni di euro all’anno. La situazione non cambia per i grandi atenei, dove ad esempio Genova con 34.000 studenti incassa più di 43 milioni di euro mentre Salerno, con 37.000 studenti, ne incassa solo 26 milioni, né per i mega atenei, laddove Bari, con 56.000 studenti introita poco più di 37 milioni e Milano, con 58.500 studenti, ne ricava quasi 102 milioni.
Credo che tutti condividano, tra l’altro, che il livello di tassazione sostenibile è assolutamente connesso al livello socio-economico e che le differenze che si riscontrano a livello territoriale siano fortemente correlate con quelle che si registrano in termini di reddito procapite o di contributo fiscale, e che esse, pertanto, si possono ridurre solo operando sulle molte distanze reali che esistono, complessivamente, tra le varie aree del Paese.
In definitiva tutto concorre, in maniera così coerente da sembrare voluta, a spostare numeri enormi di studenti, lavoratori e docenti dal Sud verso il Nord e a far gravare conseguentemente sul Mezzogiorno quella contrazione del sistema universitario che la Ministra dice di voler scongiurare ma che, come ha ammesso nell’incontro con i Rettori del Sud, sarebbe auspicata da una parte del nostro sistema politico.
Inoltre, non si può non rilevare che vanno nella stessa direzione gli effetti dovuti ad altri interventi del Governo quali la promozione delle borse di studio agli studenti meritevoli che vanno a studiare in un’altra regione.
Invece, in direzione opposta, ma se vogliamo ancor più mortificante per i giovani meridionali, vanno le graduatorie uniche nazionali per l’accesso ai corsi universitari a numero programmato obbligatorio che, nella loro prima applicazione, hanno oggettivamente sbarrato la strada in misura più forte agli studenti del Sud e obbligato molti settentrionali a studiare nelle Università meridionali.
E mi richiedo, siamo certi che questo è ciò di cui il Paese ha realmente bisogno?
Cosa pensi io in tal senso non ha reale importanza, pertanto non mi soffermo. Però sono certo del fatto che, di tutto ciò, non c’è una coscienza collettiva, e che è invece urgente, direi urgentissimo, che la si recuperi. Così come sono certo che le uniche azioni che potranno eventualmente invertire la china sono di natura politica.
E’ infatti obiettivamente troppo ipocrita pensare che le Università stesse possano fare qualcosa per correggere questa tendenza. Infatti, la quota cosiddetta premiale è distribuita in base a parametri di produttività scientifica e di efficienza dei servizi didattici che sono migliorabili solo con tempi ben più lunghi della scala annuale alla quale viene applicata in maniera additiva la penalizzazione finanziaria. In altri termini, il sistema punitivo-premiale viaggia ad una velocità molto più alta di quella alla quale le Università possano adottare correttivi.
Così come è assolutamente impensabile che si possa arrivare nel breve o medio periodo ad una tassazione studentesca omogenea in ogni parte del Paese.
Concordo con quanto affermato dai Rettori delle università meridionali sulla necessità che la meritoria e imprescindibile valutazione del sistema universitario adottata dall’ANVUR conduca ad introdurre efficaci sistemi di incentivazione che non si rifacciano ad una mera valutazione del passato ma che, invece, attribuiscano le risorse sulla base di risultati che gli Atenei si impegnano a raggiungere, in modo verificabile, anche con riferimento alla terza missione che svolgono nei territori.
Ma non credo che il sistema universitario stesso abbia al suo interno alcuna possibilità di imporre questa strada. Infatti, come si è visto, seppure in un contesto in cui l’intero sistema universitario sta soffrendo, a dispetto dello straparlare sui valori della conoscenza e dell’innovazione, di assurde riduzioni di risorse, la maggioranza delle Università sta comunque beneficiando o almeno non sta perdendo significativamente per le scelte governative, in un sistema che potrebbe condurle a riassorbire in non molti anni, a danno di altre, le risorse sottratte negli anni passati.
In definitiva è una parte del Paese, perché è di questo che si tratta, e non, come si vorrebbe far credere, una parte delle Università statali, che sta pagando molto più di altre il costo della crisi. In realtà, visto che il disegno concretizzatosi con la L. 240/2010 e con i conseguenti decreti attuativi pone le radici in una serie di riforme che iniziano alla fine degli anni ’90, vedi 3+2, requisiti necessari, etc., sorge anche il dubbio che non si stia solo pagando il costo della crisi ma che si stia assecondando una strategia che risiede concettualmente in quella cultura separatista, che non è solo leghista, che ha condizionato la scena nazionale negli ultimi venti anni.
I giochi sono affidati, quindi, forse per decisione incauta del Parlamento che approvò la L. 240/2010, nelle mani dei Governi, che, operando con ampia delega di legge, operano scelte che sfuggono al controllo parlamentare.
La questione, pertanto, è tutta politica. I partiti che sostengono i Governi devono prendere coscienza degli squilibri, sistematicamente crescenti, che i loro Ministri stanno contribuendo a determinare, ed intervenire conseguentemente. Se non lo fanno, dovrebbero in coscienza prendere atto che stanno soccombendo, con ogni probabilità, ad un disegno trasversale e lobbistico che li ha trovati impreparati.
Sia ben chiaro, tutto il sistema universitario ha accolto con favore l’avvio delle pur pesanti procedure di valutazione delle Università, alle quali tutte le unità di personale stanno dedicando grandi energie. Esse consentono di evidenziare in ogni dettaglio le criticità e le potenzialità del sistema, con riferimento sia alla ricerca che alla didattica, che alla terza missione, e potrà certamente contribuire ad innalzare il livello medio delle Università italiane. Ma, affinché ciò avvenga occorre porre maggiore attenzione alle specificità e ai ruoli che Atenei in contesti locali diversi possono svolgere per contribuire al meglio alla crescita complessiva del Paese.
Uno dei modi per ripartire potrebbe essere quello di assicurare un finanziamento, anche attraverso il sistema delle Regioni, mirato alla progressiva riduzione degli squilibri territoriali, utilizzando gli Accordi di Programma previsti dai commi 2 e 6 dell’articolo 1 della L. 240/2010, tra i migliori ma tra i più dimenticati della stessa legge. Questi dovrebbero consentire maggiori livelli di autonomia, da concertare con il Ministero, agli Atenei con i conti in ordine e con una buona qualità della didattica e della ricerca, anche, come cita la legge, “per favorire la competitività delle università, migliorandone la qualità dei risultati, tenuto conto degli indicatori di contesto relativi alle condizioni di sviluppo regionale”.
Vanno cioè messe a valore specifiche iniziative come quella legata all’innovativa legge della Regione Basilicata, che consente al nostro ateneo di avere un indice di sostenibilità economico-finanziaria tra i più alti d’Italia, e che ha già condotto alla stipula, nell’agosto del 2011, di un accordo di programma MIUR-Unibas-Regione ai sensi del citato comma 6.
A tal proposito, nell’augurare buon lavoro al neo Presidente della Regione Basilicata, dott. Marcello Pittella, lo invito anche ad impegnarsi ad avviare un dialogo con il Ministero per un rilancio dell’Accordo, che potrebbe e dovrebbe essere aggiornato per sperimentare percorsi di maggiore autonomia concertata, che valorizzino ancor di più l’ingente finanziamento regionale.
Ma anche l’ANVUR potrebbe contribuire ad evidenziare come l’efficienza e la qualità della didattica, così come quelli di terza missione, vanno correttamente correlate alle condizioni di contesto nelle quali le diverse università operano. Non si può, ad esempio, considerare come parametro prevalentemente premiante la capacità di mantenere studenti in corso senza considerare che in alcune università la stragrande maggioranza degli studenti comincia con l’obbligo di soddisfare gli obblighi formativi aggiuntivi previsti dalla legge.
Con riferimento più specifico alla nostra Università, occorre ribadire che, ben consci del livello di difficoltà del sistema universitario nazionale, aggravato in particolare da quanto esposto finora, ci si è pienamente calati nella sfida competitiva che le norme ci impongono.
In questo contesto, abbiamo superato la difficile fase di accreditamento ministeriale iniziale delle due sedi di Matera e di Potenza e di tutti i corsi di studio attivati nell’anno accademico 2012-2013, che abbiamo così potuto mantenere attivi anche quest’anno. Ci siamo impegnati, con la programmazione triennale 2013-2015, che abbiamo potuto realizzare anche grazie ai finanziamenti della Regione Basilicata, a sottoporre all’accreditamento finale, che richiede per il 2016-2017 il rispetto di parametri ancor più stringenti in termini di numerosità e qualità della docenza, un’offerta formativa almeno pari a quella del 2012-2013, con una maggiore internazionalizzazione dei corsi di studio. Per raggiungere questo difficile risultato, è stato deliberato, a valere sui P.O. attribuitici per le annualità 2011-2013 del c.d. Piano Straordinario Associati, sui P.O. assegnatici per le cessazioni 2012 e su quelli minimi stimati per le cessazioni 2013, nonché sulle risorse assegnateci dalla Regione Basilicata, forse il più grande piano di reclutamento mai attuato dal nostro Ateneo, con la previsione di assumere, nel periodo 2014-2015, unità di personale dirigente e/o tecnico amministrativo per 1,9 Punti Organico, 30 ricercatori a tempo determinato di tipo A (3 anni, rinnovabili una sola volta), 3 ricercatori di tipo B (in c.d. tenure track verso il ruolo di professore associato), 3 professori ordinari con procedura valutativa, 4 professori associati provenienti da ruoli esterni all’Università della Basilicata e 12 professori associati con procedura selettiva che, nel caso che i vincitori dei relativi concorsi fossero interni meritevoli, darebbero luogo ad ulteriori 21 assunzioni di professori associati con procedura valutativa.
Approfitto del richiamo al contributo regionale per ringraziare il Dott. Vito De Filippo, presidente uscente della Regione Basilicata per aver voluto, nel 2006 e nel 2010, l’emanazione delle leggi regionali di sostegno dell’Università della Basilicata e per aver favorito la redazione e la stipula dei conseguenti Accordi, tutti fortemente rispettosi del carattere di autonomia dell’Ateneo, che assicurano al nostro Ateneo 10 milioni di euro all’anno, almeno fino al 2024. A lui il mio ringraziamento più sincero e tanti auguri di buon lavoro.
Nella competitività nazionale ci siamo calati con grande impegno anche per quanto riguarda la valutazione della ricerca e dei servizi didattici e di terza missione. La chiusura della VQR (valutazione della qualità della ricerca) da parte dell’ANVUR ci pone ad un più che soddisfacente 38o posto nazionale (su 95 istituti universitari e 12 enti) per la qualità della produzione scientifica e ci restituisce un brillante quarto posto, a livello nazionale (dopo La Sapienza, Pisa e Trieste), per la cooperazione con il contesto produttivo locale e nazionale, e per la capacità di attrarre finanziamenti da soggetti (pubblici e privati) esterni all’accademia (terza missione). Nonostante ciò, però, i parametri che complessivamente il Governo sceglie per determinare la quota premiale, laddove, in realtà come le nostre, l’efficienza didattica è fortemente limitata, come detto, da situazioni di contesto territoriale, e laddove i fattori pur valutati positivamente dall’ANVUR come quelli di terza missione non vengono proprio presi in considerazione per la distribuzione premiale, ci collocano ancora nella fascia di chi perde risorse, anche se non siamo affatto lontani dal segno positivo. Il nostro impegno è comunque fermamente rivolto a scalare con continuità posizioni nelle graduatorie di merito.
In sintesi, tutte le valutazioni ministeriali, così come tutte le indagini comparative dei grandi organi di stampa (es. Repubblica, Corriere, Sole24Ore) restituiscono un’Università che centra gli obiettivi che la sua dimensione e la sua storia le impongono nel contesto di più immediato riferimento. Curiamo con continuità la rilevazione delle valutazioni dei nostri studenti. Il presidio della Qualità, istituito ai sensi del nuovo statuto, ha rinnovato la scheda di valutazione, arricchendola di elementi specifici. Due dati, quest’anno, sintetizzano meglio tutto ciò: primo, con quasi 1.400 nuovi immatricolati, ad oggi, abbiamo registrato un incremento dell’8% rispetto all’anno passato e, secondo, i giudizi che il Consorzio Alma Laurea ha raccolto nel 2012 da tutti i nostri laureati indica che quasi il 90% di questi è sostanzialmente soddisfatto del corso seguito.
Mi avvio alla conclusione nella speranza di aver avvalorato quanto affermato qualche giorno fa in una mia lettera aperta e cioè che la nostra è un’Università che non può fare a meno del sostegno di tutti, della classe dirigente lucana e della comunità della Basilicata. Possiamo crescere, è vero, ma stiamo impegnando il massimo dei nostri sforzi per diventare un polo accademico nodale nel Mezzogiorno, cercando di tendere sempre al livello più alto. Ma i nostri sono numeri da piccolo centro accademico, e tali possono essere, per questioni anagrafiche, logistiche e temporali. Dobbiamo imparare a sfruttare questa peculiarità, non chiedere di cambiarla a qualsiasi costo. Riserviamogli anche le giuste critiche, che non siano però sterili e strumentali. Chi rema aprioristicamente contro la nostra Università, per fini personali o propagandistici, rema contro il futuro dei lucani. L’immagine di una Basilicata senza il suo Ateneo è l’immagine dell’omicidio definitivo di questa terra: invece l’idea di una Basilicata che lo difende è l’idea di una Regione che tutela il suo domani.
A tal riguardo. vorrei a questo punto ringraziare le testate giornalistiche lucane per ciò che fanno per la promozione della nostra didattica e della nostra ricerca. Quello della stampa è un potere prezioso, che può aiutare quotidianamente il nostro Ateneo, che ha bisogno di crescere e di essere valorizzato: è uno dei modi attraverso i quali l’Università della Basilicata può diventare adulta e occupare un posto di primo piano tra gli atenei italiani. Apprezziamo molto lo stimolo della critica costruttiva, perché ci serve a crescere ulteriormente. Le nostre stanze sono da sempre aperte ai giornalisti, e non abbiamo mai mancato di spalancare porte e finestre del nostro Ateneo per dare all’esterno la massima trasparenza e limpidezza. Combattiamo ogni giorno per rimuovere angoli bui e contro l’eventuale insorgere di strane manovre.
Come tutto ciò che è di questo mondo, negli anni abbiamo fatto cose buone, e commesso errori. “Solo chi non fa non sbaglia”, secondo un vecchio adagio. Ma in questo senso la stampa ha anche un potere distruttivo. Quando instilla il sospetto, aiutando beceri corvi a volare senza curarsi degli elementi oggettivi e delle verità inoppugnabili, condanna senza appello quanto di buono ogni singolo studente e ogni dipendente di questo Ateneo sta facendo. In alcune occasioni, poche per fortuna, sono stati colpiti da questa filiera del fango docenti e dirigenti, anche di altre Università, con curricula di eccellenza, con storie professionali di qualità massima. Curricula affogati nel fango con grave danno (professionale e personale) per chi ha subito questo metodo. Questo non possiamo più accettarlo, e vigileremo con ogni mezzo consentito a difesa del nostro Ateneo. Ma anche degli studenti e delle loro famiglie, che fanno sacrifici enormi per far studiare i loro figli. Sono loro la nostra prima preoccupazione. Quindi, un conto è la giusta critica, che può essere feroce e puntigliosa, ma deve essere fondata su dati reali. Un conto è la maldicenza, che non si addice ad un rapporto corretto con le comunità che frequentano le stanze accademiche.
Essendo questa l’ultima relazione inaugurale del mio mandato rettorale, mi corre l’obbligo di sottolineare l’enorme supporto che ho ricevuto in questi anni da una comunità universitaria vigile, attenta, motivata, dinamica e sostanzialmente collaborativa, e di ringraziare, vivamente e sinceramente, i tanti, che più di altri, hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo; in primis il Prorettore Vicario, Prof. Gian Carlo di Renzo, il Direttore Generale, Dott. Lorenzo Bochicchio e la coordinatrice della mia segreteria, Sig.ra Filomena Lapenna, i Prorettori delegati, i Direttori delle strutture primarie, alcuni rappresentanti degli studenti e i tanti funzionari tecnici e amministrativi con i loro collaboratori più validi.
Ma mi sia consentito un grazie particolarissimo alla mia famiglia, mia moglie e i miei due figli, che tanto amorevole e imparagonabile sostegno mi danno nei momenti più difficili e che a tanto sono costretti a rinunciare per l’impegno che mi è richiesto.
Come è ormai prassi, chiudo col pensiero rivolto ai nostri studenti, con i quali ogni giorno viviamo in un clima che tutti riconoscono essere di grande collaborazione. Ai loro rappresentanti nei tanti organi di governo e di gestione dell’Ateneo che, ai sensi della L. 240/2010 e del nostro Statuto, partecipano alle decisioni con un peso alto e significativo, rivolgo un sincero e caloroso invito a sentirsi sempre più parte responsabile delle scelte dell’ateneo, ricercando continuamente, senza rinunciare all’imprescindibile ruolo di vigilanza critica che sono anche chiamati a svolgere, quel necessario equilibrio tra istanza e decisione che, unitamente alla capacità di comprensione delle esigenze di tutte le componenti che operano nell’Università, con particolare riguardo a quelle del personale tecnico-amministrativo, può rendere efficace e credibile la loro azione.
Anche a tal riferimento, mi preme ancora una volta rimarcare, l’alto valore del rapporto maestro-allievo, sul quale mi soffermai in chiusura di relazione l’anno passato, rilevando come ad esso mi sono ispirato nel promuovere il bel convegno che si è tenuto questa mattina, sui “percorsi complessi, tra identità e omologazione, per uscire dalla crisi”, laddove, affiancando l’altissimo spessore delle lezioni magistrali dei Professori Emeriti Aldo Masullo e Adriano Giannola alla freschezza giovanile e creativa di Gianni Schiuma, nostro professore (nonché nostro laureato), in prestito oggi alla University of Arts London per dirigere l’Innovation Insights Hub, abbiamo voluto sottolineare con un tocco di emozionante umanità il senso alto e continuo dell’evoluzione dei saperi.
Pertanto, col pensiero rivolto ai giovani e nel ringraziare tutti coloro che quotidianamente consentono a questa università di vivere e di progredire, dichiaro aperto il nostro XXXI anno accademico, XXXIII dalla fondazione dell’Università degli Studi della Basilicata.
Il saluto del personale tecnico amministrativo (Pta) Michele Lavella
Gentili ospiti presenti ed Amici Studenti, per me è un immenso onore portare in questa solenne cerimonia il saluto degli studenti dell’Università degli Studi della Basilicata per conto del Consiglio degli Studenti di cui ho il piacere di essere il Presidente e che ringrazio per la fiducia accordatami.
Tutta la nostra Comunità Accademica esce da una stagione di importanti cambiamenti che hanno scosso dalle fondamenta il sistema stesso su cui era organizzata la nostra piccola Università. Cambiamenti che hanno investito tutti gli attori dell’Ateneo penalizzando in taluni casi il motivo stesso per cui esso esiste cioè gli studenti. E’ da riconoscere alla Governance di Ateneo ed al Magnifico Rettore Prof. Fiorentino, di aver traghettato in una situazione non semplice, la nostra Università da un ordinamento legislativo, ultra permissivo, se posso permettermi, ad un altro ultra restrittivo.
Stante questo, l’Ateneo lucano ancora oggi, a distanza di decenni, non ha realizzato quanto da esso la comunità regionale si aspettava, ovvero un’Università a misura di studente, con adeguati servizi ed una offerta formativa tale da arginare il fenomeno della così detta “fuga di cervelli” che, ahi noi, comporta un pesante prezzo da pagare in termini di capitale umano sottratto alla nostra terra. L’Ateneo lucano, ancora oggi non è da considerarsi un’Università di respiro regionale, di fatti è percepita quasi totalmente come “l’Università di Potenza” piuttosto che l’Università di Basilicata. Matera, al contrario di quanto previsto dai Principi ispiratori del nuovo statuto di Ateneo e di quanto sostenuto da molti, è ritenuta una mera succursale; dunque sembra abbia come unica ragione di esistere quella di “bilanciare” l’Ateneo sul piano territoriale. Se invece si concentrassero più risorse su Matera, adeguando ulteriormente l’offerta formativa, si limiterebbe l’emigrazione studentesca di quell’area della nostra Regione. A questa triste situazione si aggiunge il fatto che pur pagando la stessa cifra in termini di tassazione, gli studenti potentini e quelli della sede materana non godono degli stessi servizi. Parliamo di CUS, di residenze universitarie, di Biblioteche, ma anche di servizi ARDSU, infatti ancora oggi il suo sportello è attivo solo due giorni a settimana, gli studenti hanno serie difficoltà e ancora immaginate voi, illustri uditori, come si possa sentire uno studente “materano” a pensare che, se fosse solo andato a qualche Km di distanza, o persino in un altro Ateneo, non sarebbe stato trattato come uno studente inferiore. Certo i lavori per il Campus sono in corso d’opera, ma spesso scherzando tra noi colleghi ci chiediamo se almeno i nostri figli ne potranno usufruire un giorno, nel frattanto sedi materane come quella di Via Lazzazera versano in uno stato di incuria ed obsolescenza costringendo gli studenti a subire addirittura all’interno della struttura universitaria le avversità del maltempo. Oltre questo, si consideri la triste storia del Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria. Ex Facoltà imposta per legge e che l’ATENEO, forse proprio per via di questa imposizione, non ha mai reputato una Facoltà alla stregua delle altre, basti pensare che nella sua breve vita non ha neanche avuto al suo interno una rappresentanza studentesca, rendendola così il fanalino di coda assieme alla ex Facoltà potentina di Lettere e Filosofia, entrambe afferenti all’attuale Dipartimento di Scienze Umane. Dipartimento che, comunque, presenta pesanti criticità come nei servizi resi ai suoi studenti essendo la maggior parte dei docenti a contratto e quindi disinteressati allo sviluppo ed alla ricerca nella nostra Università. Cosa che ci ha costretto a chiudere due importanti corsi di laurea come Lingue e Scienze della comunicazione. Gap che si riverbera in un deficit regionale di carattere culturale e storico-umanistico. Tutto questo a beffa degli studenti che anche in questo
vengono discriminati rispetto ad altri Dipartimenti e Scuole del medesimo Ateneo ove la situazione è assai diversa. Basti considerare che la Scuola di Ingegneria, ad esempio, garantisce 7 sedute di laurea annue, di contro il Dipartimento di Scienze Umane offre 3 sedute di laurea. A questo si aggiungano orari intollerabili imposti agli studenti con sovrapposizioni che impediscono agli universitari in corso, violando la Carta dei diritti degli Studenti, l’attività fondamentale della frequenza dei corsi, costringendoli a scegliere uno, fra due o più insegnamenti previsti dal proprio piano di studi. Forse il problema sta nello studente che è privo del dono dell’ubiquità?!
L’Università dovrebbe garantire ad ogni singolo studente la fruizione dei corsi, è intollerabile che per agevolare le esigenze di pochi a pagare siano in tanti. Ma a garanzia di questa triste situazione il Senato Accademico nell’andare a riformare il Regolamento Didattico di Ateneo ha approvato una modifica che, di fatto, deroga al numero minimo di giorni settimanali in cui un docente deve prestare servizio in Ateneo, termine che già prima era assai generoso, si pensi infatti che era di soli tre giorni alla settimana. Sempre nell’ambito dello stesso regolamento, una cosa a vantaggio degli studenti era però stata approvata: la diminuzione del termine ultimo per la consegna della tesi, dando la possibilità di portarlo a sette giorni dalla seduta di laurea. Ebbene, il Senato deve essersi sbagliato. Non sia mai che si faccia qualcosa a vantaggio degli studenti. Nell’attuare la norma sono insorte le segreterie studenti che ai ragazzi che domandavano lumi a riguardo, rispondevano negando l’esistenza di tale norma. Persino il Dipartimento di Scienze Umane ha smentito la cosa tacciandola come “notizia priva di fondamento”. Questo ci induce a pensare che l’Università degli Studi della Basilicata non esiste per gli studenti, ma bensì per la docenza e per il personale che ci lavora, non già un Ateneo per gli studenti, ma un centro per l’impiego ripiegato su se stesso. In questo modo si crea un ingiusta opinione verso l’Ateneo che quindi impedisce allo studente di riconoscere quella parte positiva del PTA che invece c’è e che si dimostra sempre disponibile verso noi studenti.
Un Ateneo a volte distratto, che sembra ignorare le istanze persino dei suoi stessi organi collegiali, come quella del Consiglio degli Studenti che già da tempo, ormai, ha fatto presente la necessità di godere di un servizio primario come è quello della Biblioteca di Ateneo. Una biblioteca esistente si, ma difficilmente fruibile, visti gli scomodi orari. Infatti allo scoccare delle 17.30 la stessa chiude costringendo gli studenti ad abbandonarne i locali. Già da tempo si era fatta esplicita richiesta di adeguare gli orari di apertura della biblioteca a quelli delle biblioteche degli altri Atenei, ma, con la sola eccezione del Presidente della biblioteca Prof. Martirano, tale esigenza è rimasta assolutamente non considerata. Questa stessa richiesta è stata da me reiterata in occasione dell’inaugurazione del polo storico-umanistico della biblioteca, occasione in cui l’autorevole filologo Prof. Canfora, mi ha addirittura esortato a chiederne l’apertura notturna, ma ci si è limitati a chiederne l’apertura sino alle 22.00.
Altra situazione di rilievo è stata la vicenda del Garante degli Studenti. Tale figura, prevista dal nuovo statuto, è entrata in carica lo scorso Maggio. Ebbene da allora, nonostante le ripetute convocazioni, anche ufficiali, da parte della rappresentanza studentesca, ma anche da parte del Prof. Serra, ci sono stati ritardi che hanno impedito il naturale confronto che ci deve essere fra Garante e Studenti. Infatti un primo fruttuoso incontro vi è stato solo tre giorni fa. Ma, sempre
nell’ambito delle garanzie derivanti dal nuovo statuto, alla cui redazione hanno partecipato anche gli studenti, è seguita l’istituzione del Comitato Unico di Garanzia, ma anche ad esso il Senato Accademico ha ridotto le funzioni, proprio in merito alle tutele riguardanti la popolazione studentesca, facendone un organo a garanzia di niente, se non del personale tecnico-amministrativo.
Purtroppo anche questi limiti sormontabili della nostra bella Università fanno si che per molti studenti essa risulti poco attrattiva, e per le regioni circostanti, e per i lucani stessi, per cui essi decidono di fare la valigia per andare in Università da loro ritenute più prestigiose. Vi è da considerare che tale scelta è funzione anche del fatto che l’offerta formativa non è prettamente in linea con le esigenze territoriali. A tal proposito, in una terra ricca, ricca di petrolio e acqua, alla luce dei recenti smottamenti idrogeologici che riguardano il territorio lucano, come può essere una scelta vincente quella di chiudere un corso di laurea strategico come era quello della Magistrale in Geologia?
In questo scenario non semplice per il nostro Ateneo arriva un importante aiuto dalla Regione Basilicata che finanzia l’Università, garantendole una sopravvivenza che altrimenti non sarebbe affatto scontata. Ma per il resto, la politica regionale o comunque locale è tesa a svalorizzare il potenziale dell’Università, impedendo l’integrazione dell’Ateneo nel panorama territoriale lucano. Una politica, quella della Regione Basilicata, che non percepisce i disagi della comunità studentesca e soprattutto si rifiuta di ascoltarla. Mi spiego, da mesi non si riunisce il tavolo paritetico Regione-Università, non solo, a seguito dei patti fra Miur, Regione Basilicata ed Unibas, che fanno si che la Regione sovvenzioni l’Ateneo, si decise di affidare ad un Comitato di Valutazione il compito di monitorare e relazionare sui risultati conseguiti a seguito dei detti impegni economici. Ebbene, da quando il sottoscritto è entrato in carica nel suddetto Comitato, cioè dal Febbraio 2013, esso non si è mai riunito, nonostante l’auspicio del Magnifico Rettore che invitava il Comitato a riunirsi in tempi brevi. Nè il Miur, nè la Giunta regionale di Basilicata si sono minimamente interessati alla cosa. La domanda che pongo all’ex Presidente De Filippo, ma anche al neo Presidente Pittella, che in prima persona ha fatto parte della giunta regionale uscente è: non vi interessa dove finiscano i milioni di euro che ogni anno stanziate?! Ancora, Presidente Pittella: da ex Vicepresidente della Regione come mai, nonostante i ripetuti appelli anche della precedente rappresentanza studentesca, non ci avete mai voluto incontrare se non frettolosamente sotto inaugurazione dell’anno accademico, per provare a comprendere, attraverso un dialogo costruttivo le nostre problematiche? Eppure, una politica accurata dovrebbe riuscire ad apprezzare il peso che oggi l’Università riveste anche sotto il profilo economico nella nostra Regione, parlo di affitti per i fuori sede, trasporti, infrastrutture di cui essi necessitano, nonché del virtuoso sistema economico che gli universitari generano… Insomma, vere e proprie Attività produttive di cui proprio Lei Presidente era Assessore. Temi, e mi riferisco complessivamente alla classe politica regionale neoeletta, che prima di tutto riguardano migliaia di vostri cittadini, ma forse dovrei parlare di elettori essendo che probabilmente voi politici siete molto più sensibili a questa sfaccettatura. Difatti, nell’ultima campagna elettorale un po’ tutti gli schieramenti in lizza da destra a sinistra, hanno riscoperto una improvvisa considerazione verso l’Università di Basilicata, un po’ di meno verso le esigenze reali dei suoi studenti. Francamente le
critiche mosse sono sembrate piuttosto interessate e tardive, addirittura decontestualizzate e prive di fondamento, soprattutto se mosse da persone perfettamente estranee all’Ateneo, che non l’hanno vissuto. Pertanto mi rivolgo a chi di loro meglio conosce e ha avuto modo di vivere i nostri disagi affinché possa sensibilizzare una classe politica che misurerà la sua voglia di cambiamento sui fatti e non sui propositi. Fatti e provvedimenti che esigiamo, che puntualmente richiediamo e che quindi Vi rimembro: provvedimenti a favore del diritto allo studio; problemi relativi alle infrastrutture, infatti, nonostante i centri della nostra Regione fra di loro non distino tantissimo per raggiungere i capoluoghi ci vogliono tempi biblici che quindi causano, particolarmente ai pendolari, perdite di tempo non indifferenti, quindi un relativo problema di trasporti. Al riguardo vi è da considerare che all’Università nel nuovo piano di trasporto urbano della città di Potenza è stato riconosciuto il giusto ruolo che prima mancava, ottenuto grazie alle pressioni della vecchia rappresentanza studentesca. Ma, nonostante questo, proprio in merito ai trasporti si protraggono mancanze che svantaggiano i tantissimi pendolari, infatti, con una rivisitazione complessiva delle corse anche degli autobus extraurbani, da e verso i due capoluoghi, nonché dell’intero sistema dei trasporti regionali si potrebbe consentire a tutti gli studenti di poter restare il maggior tempo possibile in Università e di seguire serenamente i corsi senza rinunciarvi, come invece troppo spesso accade. Al riguardo, ciò che manca e che sarebbe di rilevante utilità è una carta dei trasporti pubblici che favorisca l’uso degli stessi e li renda più accessibili agli universitari con sconti ed agevolazioni. Ancora, avere delle vere “Città Universitarie” e non delle mere “Città con l’Università”, in tal senso le politiche comunali di Potenza e di Matera sono da giudicarsi quantomeno insufficienti. Si consideri soltanto la scarsa illuminazione e manutenzione della strada vicino il Campus di Macchia Romana. Ed infine, dar senso alla carta dello studente convenzionando la stessa maggiormente.
Ovviamente questo stato di cose è frutto di un chiaro progetto politico che si perpetra al livello nazionale, e che ha prodotto un sistema universitario frutto della instabilità politica italiana. Essa attraverso l’operato dei vari Ministri succedutisi nel corso di questi anni è andata continuamente a mettere mano al sistema universitario, servendosi di un indecente abuso del termine “riforma”. Infatti, ogni Ministro ha imposto continui cambiamenti legislativi in contraddizione fra di loro, come ad esempio l’imbarazzante vicenda del “bonus maturità”. Un esempio quest’ultimo, non solo dell’inadeguatezza della nostra classe dirigente, ma anche di quanto questa politica instabile e incoerente produca insicurezza nella popolazione studentesca e marchi una forte distanza con le istituzioni politiche. Una politica che, quindi, invece di risolvere i problemi dell’Università li va ad incancrenire, facendo dell’Università nel suo complesso un topo da laboratorio su cui sperimentare la propria visione di società del domani. Una società passiva, che subisce l’amputazione di diritti imprescindibili ottenuti col sudore di importanti battaglie sostenute dalle generazioni precedenti. Un progetto, il loro, di una società ove un élite magra sarà chiamata a governare gente ignorante e facilmente addomesticabile. Una società dove le arti e le lettere sembreranno superflue nel mercato globale. In soldoni, costoro si preparano a farci sognare un futuro che non è più quello di una volta. Un futuro in cui il ruolo dell’istituzione universitaria sarà assai ridimensionato rispetto ad oggi. Un’Università che non sarà più di massa, ma che sarà ad esclusivo appannaggio dei figli degli strati più elevati della società. Propositi nefasti, che trovano
attuazione in provvedimenti legislativi dei governi nazionali come quello del Decreto del fare, in cui si incentiva a non iscriversi agli Atenei presenti nella propria regione, provvedimento che inevitabilmente si riverbera sui casi di Atenei regionali come il nostro. L’obiettivo sembra, quindi, quello di martoriare i territori da cui proveniamo, tentando di privare le regioni meno progredite d’Italia di quell’avamposto per l’intelligenza collettiva, nonché ascensore sociale, rappresentato dall’Università.
Illustri uditori, in questo contesto generale scoraggiante sembra toccare all’Università degli Studi della Basilicata ed ai suoi studenti l’ardua sfida di non cedere ad una società che sembra proprio non volergli riconoscere il loro valore. Perciò nell’augurare al Magnifico Rettore e tramite lui, a tutta la comunità di questa Università un buon anno accademico e rivolgendomi particolarmente a coloro che qui rappresento, faccio un ulteriore appello. Appello che innanzitutto indirizzo a chi ha il potere di cambiare le cose ma non vuole farlo e poi a quella parte di studenti che con entusiasmo e coraggio ha deciso, entrando a far parte della nostra splendida comunità accademica, di scommettere non solo su se stessi ma su qualcosa di ben più importante, ovvero la nostra Regione. Ebbene vi chiedo, di essere sempre partecipi, di non delegare mai a terzi scelte che coinvolgono tutti, di osare protestare e suggerire miglioramenti ove si richiedano, di non abbandonarvi mai al lassismo perché facendolo causereste dolo non solo a voi stessi ma a tutta la comunità, poiché soltanto il contributo di ogni singolo individuo può aiutare una terra aspra ma incantevole ad uscire dalle tenebre che la tengono in ostaggio e condurla alla luce della sapienza e della cultura. Questo il ruolo dell’Università degli Studi della Basilicata, madre ideale di quel progresso tanto sognato che la Lucania merita.