“Dobbiamo essere grati a Fabio Martini, non solo per il lavoro che fa, nel giornalismo serio italiano. Ma anche per avere tolto dall’ombra una figura importante dell’era in cui in Italia si progetta seriamente la libertà e la modernità. È la stessa età di Nitti, la prima parte del ‘900, pur funestata dalla prima guerra mondiale. Nitti si dedica all’Italia, Ernesto Nathan si dedica a Roma.
Due partite difficili, due progetti apparentemente aperti a tutto, perché tutto serviva. Ma pieni di insidie, di nemici, di avventurismi, di interessi contrari. Infatti, il libro di studio e riscoperta che Fabio Martini dedica a Nathan, singolare figura del repubblicanesimo italiano originato dallo stesso Mazzini di cui Nathan fu a Roma collaboratore stretto, è non casualmente intitolato “Nathan e l’invenzione di Roma”.
Varie volte abbiamo detto anche noi “Nitti e l’invenzione dell’Italia”.
Ebbene entrambi membri di un piccolo partito, il partito radicale originato dal mazzinianesimo, che precede di mezzo secolo il partito radicale di Pannella. Entrambi in un alveo più ampio della cultura in senso lato liberale, sia pure con intrecci forti nella sinistra libertaria e sociale di fine Ottocento (è il Nathan, ebreo, anticlericale e intransigente che nasce e studia a Londra); e con una responsabilità ormai nel quadro stesso di governo dell’età di Giolitti, ma aperto alla collaborazione con cattolici e socialisti riformisti (è il Nitti meridionale, di famiglia di cultura garibaldina, eletto a Muro Lucano e prossimo presidente del Consiglio dei Ministri).
Fin qui non ci sono grandi tracce di rapporti. Ma i rapporti ideali sono scritti nel libro di Martini e sono parte del lavoro che svolgiamo. Ecco l’interesse per questa giornata che assume energia dall’impegno che Donato Verrastro e i suoi studenti delle magistrali di Storia di Unibas mettono in questo ciclo di “Radici morali” che oggi a Melfi si dedica a due grandi sforzi di modernità. Rimasti entrambi con pochi eredi ”.
Con queste parole Stefano Rolando, presidente della Fondazione “Francesco Saverio Nitti”, intervenuto da remoto, ha introdotto l’incontro su Ernesto Nathan che ha concluso il secondo ciclo di “Radici morali”, organizzato da Associazione e Fondazione Nitti unitamente al Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli Studi della Basilicata, e rientrante nei “Percorsi di eccellenza “ di quest’ultimo.
L’evento, tenutosi presso la sala consiliare “Nitti-Bovet” del comune di Melfi, è stato aperto da Gianluca Tartaglia, direttore dell’Associazione Nitti, e dal sindaco di Melfi Peppino Maglione.
Il dibattito è stato animato dalle domande dello studente Carmine Zagaria e dei dottorandi Martina Marzocchi, Michele Fasanella e Raffaele La Regina , rispettivamente del corso di laurea magistrale in Storia e civiltà europee e del dottorato di Storia dell’ateneo lucano, al relatore Fabio Martini, giornalista del quotidiano “La Stampa” e autore del libro “Ernesto Nathan e l’invenzione di Roma” (Marsilio, 2021).
Nel corso dell’incontro quest’ultimo, in collegamento da remoto, ha sottolineato come “Ernesto Nathan è stato il più grande sindaco di Roma e uno dei più importanti nella storia nazionale e meritava di essere inserito in una riflessione sulle radici morali del Paese. Lui, laico a tutto tondo, interpretò il suo mandato come una missione: quella di rendere più vivibile la Capitale, concretizzando il suo idealismo mazziniano. Con un’idea: nessun interesse va calpestato ma chi amministra non fa sconti ai ‘potrei forti’”.
Le considerazioni finali dell’incontro sono state affidate a Donato Verrastro, docente di Storia Contemporanea all’Università degli Studi della Basilicata. “Questo ultimo evento del ciclo di seminari ‘Radici morali’ ha consentito, a studenti e dottorandi dell’Unibas, di scoprire e approfondire una delle figure paradigmatiche della storia politico-istituzionale del primo Novecento: Ernesto Nathan. Sindaco di Roma dal 1907 al 1913, nell’ultimo libro di Fabio Martini si staglia come figura che ha rappresentato per la città eterna un esempio di buona prassi amministrativa, incarnando una politica anticlericale nella Roma dei papi , ma al tempo stesso ispirata ai valori del democratismo risorgimentale e volta al coinvolgimento della popolazione, in tempo di suffragio ristretto, nei processi decisionali e di programmazione della città. Mazziniano, confluito più avanti nelle file dei radicali, sorprende per la sua capacità di declinazione dei principi ideologici nei processi gestionali della città; una Roma che poche volte avrebbe visto in seguito esempi di visionaria amministrazione (dalla promozione dell’istituto del referendum alla municipalizzazione dei servizi, dagli investimenti nell’istruzione al varo del piano regolatore per la città), centrata sui bisogni dei cittadini e incurante delle pressioni provenienti dai cosiddetti ‘poteri forti’, gli stessi che, in qualche maniera, ne avrebbero segnato il destino. Un’occasione per mettere al centro la storia, come disciplina in grado di formare le coscienze civili a partire da analisi approfondite e circostanziate su tappe periodizzanti del proprio passato”.