Don Donato Giordano, monaco benedettino della Congregazione di Monte Oliveto che risiede nel Monastero di Santa Maria di Picciano, ha presentato in serata nella sala degli stemmi della Curia Arcivescovile di Matera il libro “Introduzione all’arte bizantina – nozioni di estetica, stile e iconografia”, una nuova pubblicazione che va ad arricchire la collana “Parcomurgia”.
Dopo l’introduzione affidata a Monsignor Pino Caiazzo, Arcivescovo della Diocesi di Matera-Irsina e i saluti del presidente dell’Ente Parco della Murgia Materana Pier Francesco Pellecchia, è stata particolarmente apprezzata la relazione di Maria Stella Calò Mariani, che nel 1978 pubblicava i risultati degli studi sulla Cattedrale di Matera e nei primi anni ’80 presentava la Mostra sugli insediamenti benedettini della Puglia. Maria Stella Calò Mariani ha riportato al pubblico il contenuto della sua prefazione al prezioso lavoro di don Donato Giordano. “L’autore – ricorda Maria Stella Calò Mariani – fa parte della storia e della realtà di questi luoghi: al di là della sua origine e del suo profilo culturale, lo dimostrano sia la sua coerenza e l’impegno con cui accompagna alla vita monastica la sua attività di docente e di studioso, sia l’oggetto di gran parte delle sue pubblicazioni, i meritati riconoscimenti e le cariche ricoperte nel corso degli anni. Con l’obiettivo di “introdurre all’arte bizantina l’autore affronta campi tematici complessi, spaziando dalle radici paleocristiane agli effetti dell’espansione dell’Impero d’Oriente nel nostro Mezzogiorno. Al prevalente intento “pedagogico” si accompagna la volontà di contribuire al processo di valorizzazione e riqualificazione del patrimonio culturale dell’area materana. Ponendo l’accento sull’estetica e sull’iconografia l’autore vuol proporre una chiave di lettura a quanti, visitatori e guide turistiche in particolare, vogliano avvicinarsi a Matera e al suo contesto, dove arte e natura si fondono in un intreccio indissolubile. Una pubblicazione realizzata in sintoinia con l’opera di riappropriazione del patrimonio culturale promossa dall’Ente Parco delle Chiese rupestri del Materano. Matera, città d’arte per vocazione, è luogo privilegiato di osservazione per far luce sugli scambi culturali tra Oriente e Occidente per tutto l’arco del Medioevo. Terra benedetta per le sue chiese e per i numerosi luoghi di culto diffusi nel paesaggio rupestre, custodi di un popolo di immagini sacre che da secoli raccontano storie di devozione e tramandano i segni dell’incontro di culti, modelli iconografici, linguaggi artistici nati in Oriente. Un impegno che arriva fino al Medioevo tardo, quando alla tenace eredità bizantina, rinvigorita da sollecitazioni di impronta crociata e balcanica, vennero ad affiancarsi e a fondersi gli apporti gotici, mediati dalle corti angioine di Napoli e Taranto. Di tali relazioni si incontra esplicita traccia in opere del casato d’Angiò: ad esempionel soffitto ligneo medievale della Cattedrale di Matera, dove il giglio angioino è replicato nelle innumerevoli tavolette che corrono lungo le travi delle capriate, o nella elegante Inconorazione della Vergine nella chiesa rupestre di Santa Lucia alle Malve a Matera, dove Cristo Re porge alla Madre un giglio d’oro, di chiara impronta araldica.
Sulle pareti affrescate delle grotte, dialogano tra loro santi venuti dal mare e di origine occidentale. Fra gli altri spiccano San Nicola di Mira, l’Arcangelo Michele, i Santi Pietro e Paolo, San Giacomo, Sant’Antonio Abate, i cui celebri santuari segnavano tappe importanti lungo le principali vie di pellegrinaggio che solcavano l’Europa e accanto a loro Santi Monaci come Basilio, Benedetto e principesse vergini e martiri come Barbara, Margherita d’Antiochia, Caterina D’Alessandria. A prevalere su tutte è l’immagine della Vergine, Madre di Dio, che in numerosi affreschi replica i tipi iconografici più venerati nel mondo bizantino, a cominciare dalla Odegitria. Seguendo le rotte del Mediterraneo orientale, approdarono sulle nostre coste monaci, pellegrini e crociati, artefici e mercanti; con loro giunsero immagini sacre, in gergo icone, culti e modelli iconografici, reliquie e corpi di santi, avvolti dall’alone di miti e leggende. Se Geusalemme, nelle pratiche di devozione e nell’immaginario degli occidentali assommava la memoria storica delle origini del Cristianesimo e la concentrazione massima di luoghi santi, Bisanzio da sempre aveva suscitato l’ammirazione dell’Occidente, abbagliato dallo splendore delle sue chiese, dell’immenso tesoro sacro custodito nella cappella imperiale di Pharos e nei monasteri.
Da Bisanzio l’abate Desiderio fece giungere manufatti preziosi e artefici per far bella la rinnovata abbazia di Montecassino nel 1071; a Bisanzio furono eseguite nel 1076 le porte bronzee ageminate, dono sontuoso del nobile Pantaleone, “porta del Paradiso” per accedere alla spelonca dell’Arcangelo sul Gargano; sedotti dallo splendore dell’arte bizantina, i sovrani normani nel XII secolo, chiamarono dalla capitale dell’Impero magistri qualificati per far risplendere di mosaici le chiese regie di Palermo e Cefalù. Anche gli Stati latini d’Oriente divennero luoghi di scambi, favori dagli ordini religiosi e cavallereschi nati in Terrasanta e insediati nelle nostre terre.
A partire dalle remote radici paleo-cristiane il culto mariano ebbe una fioritura ininterrotta per tutto il Medioevo, con un’accentuazione nell’arco del XIII secolo; più tardi, nei secoli XVI e XVII, una vera esplosione della devozione a Maria, produsse il moltiplicarsi di santuari a Lei dedicati. Secondo le leggende di fondazione dei santuari mariani nacquero in memoria di un’apparizione, in seguito ad un ritrovamento accompagnato da prodigi o per l’arrivo mriacoloso di un’icona dall’Oriente. Nel fiorire di racconti leggendari la traslazione da Bisanzio (quasi sempre collegata alle contese iconoclaste) e l’attribuzione al pennello di San Luca, concorrevano a nobilitare le icone più venerate.
Nonostante la ricchezza di testimonianze pittoriche tributarie di opere di matrice bizantina e crociata, a Matera non si conservano icone su tavola; in compenso il riflesso di tali modelli vive ancora nelle immagini a fresco. La più nobile di tutte è la Madonna della Bruna, patrona della città di Matera e venerata in Cattedrale, nella quale affiorano somiglianze con opere di origine cipriota, verisimilmente mediate da un’icona andata dispersa. Per manifeste affinità si lega alla Madonna della bruna l’affresco che si conserva nella chiesa “Santa Maria della Palomba”. Allo stesso modello sembrano ispirarsi altre immagini, per esempio l’Odigitria nella Cattedrale di Otranto o la Mater Domini a Laterza. Di un’icona attribuita al pennello dell’Evangelista Luca, venerata a Matera, è traccia tardiva nel corpus delle icone di San Luca publicato nel 1654 dal gesuita napoletano Padre Marco Maselli.
Nel clima delle relazioni con la Terra Santa, nel XII secolo, sorse a Matera la chiesa di Santa Maria La Nova, oggi San Giovanni, con l’attiguo monastero, per accogliere un gruppo di monache penitenti dell’Ordine femminile di Santa Maria di Valleverde, fonata nella città di Accon (Acri, ultima capitale del regno di Gerusalemme), secondo la regola agostiniana. Si può ritenere che oggetto di culto della comunità monastica fosse una icona mariana portata dalla Terra-Santa e che sulle pareti e sui pilastri dsi dispiegassero affreschi come nella vicina chiesa rupestre di Santa Maria della Valle, in seguito menzionata Santa Maria della Vaglia, de Balea, per secoli meta di pellegrinaggio. Anche qui la primitiva immagine di culto è scomparsa. Tuttavia ad essa si ispiravano leggende e racconti meravigliosi: nella Cronaca di Verricelli (1595) si narra del furto dell’immagine che, trasferita in Francia, ritornò nel luogo di origine. All’interno della chiesa rupestre di Santa Maria della Vaglia la grande lunetta raffigurante la Deesis fra Santi, reca, accanto all’aureola di una Santa pellegrina in abito monacale la scritta Sancta Maria de Valle Verde, da rapportare palesemente con le monache penitenti insediate a Matera; potremmo aggiungere che il Santuario potrebbe rientra fra i possedimenti dell’Ordine, che comprendevano terre e chiese a Barletta, Taranto e a Brindisi, dove nella chiesa della Santissima Trinità (Santa Lucia), la ricca decorazione a fresco e il corredo scultoreo, in particolare i capitelli, rivelano concordanze significative con l’arte della Terra-Santa.
Dall’insediamento materano il culto giunto d’Oltremare si irradiò lungo le vie dei pellegrini: una immagine votiva è affrescata nella Cattedrale di Bitonto, a Bovino un santuario venne dedicato a suo nome; seguendo il tracciato dei tratturi il culto attecchì a Celano e a Barisciano.
Del flusso di pellegrini diretti al Santuario rupestre di Matera si incontrano ripetute testimonianze. Nel Trecento vi sostò in preghiera Brigida di Svezia, che tra il 1364 e il 1372 visitò i Santuari del Regno di Sicilia, fermandosi a Bari, Melfi, Monte Sant’Angelo. In Santa Maria della Valle, su un pilastro, la Santa svedese è ritratta in abiti signorili e in atteggiamento supplice. In calce si legge il nome del pittore, magister Petrus de Augento. Un altro frescante che, uscendo dall’anonimato, si aggiuge ai vari nomi fin qui noti.
Nella Terra d’Otranto, i cui confini abbracciavano Matera e il suo territorio, l’attrazione esercitata dalla civiltà bizantina, tenuta viva da una non trascurabile componente etnica, trasse alimento da centri irradiatori di fede e di cultura quali i monasteri italo-greci. A decorare complessi monastici, chiese rupestri, ad seguire icone e codici miniati, accanto ai maestri autoctoni circolavano nelle nostre contrade graeci pictores. Sono gli anni in cui si manifesta un indirizzo pittorico che accanto all’eredità bizantina e agli apporti dell’area crociata e balcanica, accoglie le novità di segno gotico, che si irradiano dalla corte napoletana e da quella del principato di Taranto.
I preziosi affreschi duecenteschi superstiti della Cattedrale di Matera, la Madonna della Bruna e il frammento del Giudizio Universale, riconducono alla cerchia del pittore Rinaldo da Taranto, il cui nome è legato al Giudizio Universale affrescato tra la fine del Duecento e il primo sorgere del Trecento sulla controfacciata del santuario mariano di Santa Maria del Casale presso Brindisi.
A conferma della circolazione di magistri e della diffusione di forme artistiche, si può ricordare la presenza a Matera di Leourius de Taranto, al quale viene riferita la facciata in muratura, percorsa da agili arcate, della già citata Santa Maria della Vaglie.
Questi brevi cenni di Maria Stella Calò Mariani sono inseriti nella prefazione del volume di don Donato Giordano e sono stati inseriti per indicare quanto sia viva e dinamica la realtà culturale di Matera e del suo territorio durane i secoli del Medioevo.
“Il volume Introduzione all’arte bizantina di Don Donato Giordano – ha ricordato il presidente dell’Ente Parco Pier Francesco Pellecchia – intende offrire al lettore – ma soprattutto agli estimatori del Parco Archeologico Storico Naturale delle Chiese Rupestri del Materano – gli strumenti necessari per decifrare con competenza il patrimonio iconografico del nostro territorio. Esso nasce con intento pedagogico, al fine di fornire le chiavi di lettura indispensabili per un’adeguata decifrazione di questo mondo complesso, a iniziare dalla concezione bizantina del mondo, per toccare le categorie dell’estetica e pervenire ai criteri interpretativi dell’iconografia.”
Il volume è suddiviso in sette capitoli tutti da approfondire: dopo aver approfondito le questioni preliminari sull’arte bizantina, l’autore presenta un breve profilo dell’estetica bizantina, spiega nei dettagli le categorie dell’estetica bizantina, l’iconografia cristiana antica e bizantina, i principali soggetti iconografici, il mosaico e l’architettura bizantina.
Michele Capolupo
La fotogallery della presentazione del volume “Introduzione all’arte bizantina” di don Donato Giordano (foto www.SassiLive.it)