Luciana Romoli, “staffetta” partigiana durante l’occupazione di Roma, donna straordinaria che si è laureata a 47 anni, racconta con passione e vigore la sua non facile vita a giovani e adulti, soprattutto per esaltare i nobili valori della Resistenza con l’invito alle nuove generazioni ad adoperarsi affinchè non si ripetano gli errori del passato, nella consapevolezza che non c’è storia senza memoria. Anche a Matera e Pisticci, la sua lucida e chiara testimonianza è stata particolarmente apprezzata e seguita con grande interesse. Durante il convegno sul tema “La Resistenza e la sua Luce”, promosso da Biblioteche Comunali e Assessorato alla Cultura del Comune di Pisticci che si è svolto a Marconia, Luciana Romoli ha colto la preziosa opportunità di visitare il Monumento ai Confinati Politici di piazza Bologna, realizzato da Raffaele Fienca, ed i luoghi in cui fu deportato suo zio, l’antifascista Guglielmo Germoni, che rafforzò in lei i sentimenti di libertà e amore per la Patria. Dapprima confinato nell’isola di Ventotene, Germoni, fu poi trasferito alla Colonia di Bosco Salice insieme a Gustavo Gomollo (il Commissario Pietro), Dario Barbato, Giovanni Battista Basello, Agostino Ottani, Giacinto Varetto e Vito Pappagallo, che con Umberto Terracini costituirono la Cellula Politica Comunista di Marconia, e che poi saranno tra i protagonisti della Resistenza. Particolarmente stimolante e ricco di contenuti il dibattito a più voci che si è svolto a Marconia, con gli interventi del vicesindaco di Pisticci Domenico Albano; Giuseppe Coniglio, che ha relazionato sulla Storia della Colonia Confinaria, e del dirigente regionale Anppia Domenico Giannace, “mascotte” del Campo che ne ha messo in evidenza gli aspetti più rilevanti. Nel presentare Luciana Romoli, Angelo Tataranno ha raccontato, tra l’altro, il primo episodio della sua storia partigiana, quando fu espulsa dalle scuole, all’età di otto anni, per aver difeso la compagna di classe Debora, legata per le trecce ad una finestra dalla maestra, perché ebrea. Ancora giovanissima entrò poi nelle fila della Resistenza Romana, nonostante le perplessità dei comandanti per la sua età. Fu per questo utilizzata nel pericoloso e delicato ruolo di “staffetta” con la sorella, mettendo spesso a rischio la vita, per il materiale compromettente che dovevano distribuire. Senza le leggendarie figure delle “staffette” tutti i programmi della lotta partigiana sarebbero stati inutili. Tra le testimonianze più toccanti rievocate, la sua sofferta giovinezza durante il fascismo e le torture subìte dallo zio, ammanettato davanti alla moglie morente e alla figlia, al quale vennero tagliate le unghia di mani e piedi, senza mai dare ai suoi nemici la soddisfazione del dolore. E quindi la detenzione nel carcere di Civitavecchia e le condanne ai Confini di Ventotene e Pisticci, dove contrasse la malaria nello storico Casone n. 13, chiamato la Casa dei Capitani, in cui dimorarono figure importanti della Resistenza, che avviarono una lunga battaglia che portò all’autonomia della mensa, che prima le autorità avevano affidato ad elementi di fiducia. Luciana Romoli ha pure ricordato i buoni rapporti che lo zio manteneva con la gente del posto, con i contadini pisticcesi e gli abitanti anche se era proibito intrattenersi con essi e il mondo esterno. (G.C.)