Per la rubrica “La storia siamo noi” Nino Vinciguerra racconta la tradizione del pane di Matera. Di seguito il suo intervento in esclusiva per SassiLive.
Nino Vinciguerra: “Il nostro pane quotidiano”.
“E poi si mangia. Siedono tutti attorno a una tavola o a qualcosa che somiglia a una tavola. Chi su una sedia, chi su una chiancodda, chi su un secchio rovesciato. I ragazzini non è necessario che siedano. Il capofamiglia prende il pezzo del pane e ne taglia grandi fette che distribuisce tutto intorno. Pane ottimo di cui se ne aspira il profumo. Lo impastano prestissimo quando fuori è ancora buio e aspettano il richiamo del fornaio. Quel richiamo di trombe che anima festosamente i Sassi. La tromba di “M’calong l u f”rnèr”, la tromba di “S’bbambùzz”. Le chiamate echeggiano nei valloni dei Sassi. Un lavoro lungo e faticoso. Il pane doveva bastare per parecchi giorni e la famiglia era numerosa; bisogna fare quattro o cinque pezzi e ogni pezzo ha un peso che varia dai quattro ai sei chili. La fragranza si spande nel vicinato…il profumo del nostro pane! Un profumo unico, particolare, dovuto forse al grano o al sistema di cottura o forse, più semplicemente, al fatto che è il nostro pane. Il padre lo taglia in grandi fette e lo distribuisce lentamente, come una cosa sacra” (Nicola Morelli, La vita agli inferi, Gastaldi, 1951).
Il pane di Matera ha una lunghissima tradizione. E’ da sempre alimento tipico di questa antica zona di coltivazione di cereali. Testimonianze artistiche e letterarie attestano l’importanza e il culto del pane nella vita e nell’economia di tutto il territorio. Suggestivo è il rito dei tre tagli impressi con il coltello all’impasto; alcuni, probabilmente erroneamente, asseriscono che rappresentano la Santissima Trinità e quindi un gesto di profonda devozione con cui le famiglie intendevano ringraziare Dio per la possibilità di usufruire di questo bene.
“La sua produzione era un rituale importante, scandito da diverse fasi. La prima era il recupero del lievito madre, conservato dall’ultima panificazione (dentro u sasanddizz), e la formazione dell’impasto, che lievitava in un recipiente di argilla (u maiùstr). La mattina dopo si faceva l’impasto, che si lasciava lievitare. A quel punto si portava il prezioso pane alla cottura, direttamente dal fornaio (a volte era lui stesso a passare di casa in casa). Le donne si recavano poi al forno, dove seguivano con attenzione la sorte del proprio pane: per riconoscerlo, all’interno dei forni pubblici, lo marchiavano con timbri di legno (u marchj). Il taglio a croce sulla parte superiore della pagnotta, invece, era utilizzato per favorire la lievitazione” (lacucinaitaliana.it).
Il pane, questo santo dono che racchiude Matera, i Sassi e il lavoro dell’uomo. I bambini non avevano patatine o merendine, spesso avevano pane e pane, oppure una bella fetta di pane con il pomodoro o con lo zucchero e, se c’era, con un filo d’olio. Il pane, il nostro pane quotidiano, è stato anche vanto della civiltà contadina. Ancora notte fonda e i contadini lasciavano i Sassi per recarsi “fuori”, in campagna, nei campi. Lavoro duro, a testa bassa, la compagnia era il mulo o il cane volpino; a mezzogiorno il pranzo frugale, pane e pomodoro o pane e frittata. Al tramonto lunghe file di traini, il ritorno a casa; tutta la famiglia si riuniva, sulla tavola il pane.
Articolo redatto dal Sig. Vinciguerra fatto con precisione, tuttavia questo sito viene visitato anche da persone non materane per cui Nino farebbe bene a chiarire alcuni termini in Italiano ad esempio : La tromba di “M’calong l u f”rnèr”, la tromba di “S’bbambùzz”; dentro u sasanddizz; per quanto riguardo il grano vi era il Cappelli i u Rssn (Spighe rossicce) non di certo il grano nanizzato al Cnen (Creso) di largo uso attuale. Il pane non ammuffiva mai semplicemente si induriva e con questo si faceva la cialledda fredda e calda, questo raccontava mia mamma. Un saluto a Voi