Per la rubrica “La storia siamo noi”, Nino Vinciguerra ricorda il materano Giuseppe Lamacchia,
Giuseppe Lamacchia nacque il 10 febbraio 1912 a Matera, in via Ascanio Persio n. 26, da Pasquale (maestro elementare e professore di calligrafia) e da Maria Gaetana Montemurro. Dopo di lui nacque sua sorella Giulia. Sin da ragazzo Giuseppe Lamacchia mostrò attinenza per gli studi; frequentò il liceo classico ” Duni” appassionandosi particolarmente al latino e al greco. Terminati gli studi liceali si iscrisse all’Università di Bologna dove conseguì la Laurea in Medicina con specializzazione in Ostetricia e Ginecologia. Il 10 giugno 1940, quando l’Italia entrò in guerra, Giuseppe Lamacchia fu arruolato con il grado di Tenente Medico nel Corpo dei Bersaglieri. Finito disastrosamente il conflitto bellico, tornò a Matera e incominciò a lavorare nel locale Ospedale Civile (già Ospedale Vittorio Emanuele III). Era il periodo in cui Matera, a seguito del libro-denuncia di Carlo Levi (Cristo si è fermato a Eboli), era additata come “vergogna” per via della vita nei Sassi. Infatti, circa 16000 materani vivevano in grotte adibite ad abitazioni, in promiscuità con gli animali, in condizioni di disagio sociale e igienico. Ma, nonostante i tanti sacrifici, gli abitanti dei Sassi non persero mai la loro dignità. Lamacchia, conosceva bene quelle persone e quella vita, ed era uno dei pochissimi medici (forse l’unico) che “osava scendere” nei Sassi per visitare i suoi pazienti. Non aveva timore di entrare in quelle case povere in cui era forte l’odore di paglia e di letame. Era un pioniere che intendeva svolgere al meglio la missione che aveva scelto di compiere. Si rapportava con i “suoi contadini” nella maniera più semplice e, all’occorrenza, dialogando con loro in dialetto. In quegli anni il Dottor Lamacchia entrò in politica nelle file della Democrazia Cristiana e nel 1952 fu eletto Sindaco di Matera, subentrando a Giovanni Padula. Solo da pochi giorni, il 17 maggio 1952, era stata approvata la Legge n. 619 sullo sfollamento dei Sassi, fortemente voluta da Alcide De Gasperi dopo la sua prima visita a Matera avvenuta il 23 luglio 1950. Per cui Lamacchia visse in prima persona il processo di trasformazione e di evoluzione della città, dall’inaugurazione del borgo rurale La Martella (De Gasperi, 17 maggio 1953) all’inaugurazione di Serra Venerdì (Colombo, 13 maggio 1956), primo rione cittadino che dava case, degne di essere chiamate tali, agli “sfollati” dei Sassi. Il 27 novembre 1954 Lamacchia, a seguito della delibera del Consiglio Comunale, dopo richiesta dell’Arcivescovo Giacomo Palombella, dedicò Matera alla Madonna proclamandola solennemente Civitas Mariae (Città di Maria). Nel 1955, a distanza di un anno dalla morte di Alcide De Gasperi, avvenuta il 19 agosto 1954, Lamacchia riunì in Seduta Straordinaria il Consiglio Comunale e, dopo aver rievocato l’iter della Legge sui Sassi ed elogiato la figura di De Gasperi, propose che si facesse una statua in ricordo dello statista scomparso. Con 20 voti a favore e 3 astenuti, si deliberò di erigere il monumento a De Gasperi che, per una serie di soliti e cavillosi intoppi burocratici (!!!), solo nel 1965 iniziò a prendere corpo. Finalmente, il 5 dicembre 1971, il monumento a De Gasperi (opera fu di Othmar Winkler) fu inaugurato dal Presidente del Consiglio Emilio Colombo (argomento ben approfondito dallo scrittore-giornalista Filippo Radogna). Lamacchia fu sindaco sino al 1956 e, nuovamente, dal 1965 al 1967. Favorì (in parte contribuendo privatamente) la realizzazione (opera dello scultore Nicola Morelli) del monumento funebre a Mons. Anselmo Pecci (dal 1959, sepolto nella Cattedrale di Matera). Fu nominato Commendatore di San Gregorio Magno, onorificenza cavalleresca pontificia e Commendatore al Merito della Repubblica; la benemerenza che amava particolarmente fu quella ricevuta il 22 luglio 1966 dal Comitato per le Feste Patronali della Città di Matera, presieduto dal Prof. Nicola Caserta, con la seguente motivazione: «si conferisce, quale attestato di particolare benemerenza, la Madaglia d’Oro a ricordo del fausto giorno della reincoronazione della Madonna della Bruna, nel solenne rito celebrato, dopo centoventitre anni, il 1° luglio 1965 in Piazza Duomo, alla cui magnificenza intese ufficialmente partecipare e a riconoscimento del suo particolare abituale amore alla terra nativa e ai concittadini che nella quotidiana appassionata operosità lodevolmente accoppia alla solerzia di provato amministratore». Il 9 giugno 1962, Giuseppe Lamacchia aveva sposato la trentenne Elvira Anna Manuti, ostetrica di Barletta in servizio all’Ospedale Civile di Matera. Purtroppo il 3 aprile 1980, appena quarantanovenne, la signora venne a mancare improvvisamente; fu un dramma per il marito e per il giovanissimo figlio Pasquale. Collocato a riposo, il Dottor Lamacchia continuò la sua missione come Direttore Sanitario della Casa di Riposo “Brancaccio”, prestando gratuitamente la sua professionalità al servizio degli ospiti della struttura. Inoltre, frequentò la Parrocchia San Paolo, dove si era costituito un ideale cenacolo culturale favorito dal parroco don Nicola Colagrande, intrattenendosi, fra gli altri, con lo scultore Nicola Morelli (era stato alunno di Pasquale Lamacchia), con il Prof. Emanuele Pizzilli e con il giornalista Emilio Ruzzi. Il Dottor Giuseppe Lamacchia morì il 28 gennaio 1999 a Matera e riposa nel cimitero di Contrada Pantano. Matera, purtroppo, ha dimenticato in fretta e non ha valorizzato i meriti di questo suo figlio. Medico, amministratore e, soprattutto, Uomo messosi al servizio della città e dei suoi cittadini.