Sabato 1 febbraio 2020 al Museo archeologico nazionale della Siritide di Policoro è stata inaugurata la mostra “Le Tavole di Heraclea. Tra Taranto e Roma”. In proposito si registra l’intervento del Parco Letterario Francesco Lomonaco di Montalbano Jonico.
Dal 2 febbraio 2020 è possibile visitare le famose tavole di Heraclea presso il Museo di Policoro. Il reperto archeologico più importante lì presente e che richiamò nell’800 studiosi di archelogia da tutta Europa.
Già tre anni fa l’associazione OIKOS, che ora gestisce il Parco Letterario Francesco Lomonaco, in collaborazione con l’Assessore alla cultura del comune Ines Nesi, presentò una loro copia fotografica, con la partecipazione dell’ex-sovrintendente per la Basilicata Antonio De Siena, e la collocò nel Fondo Antico della Biblioteca Comunale Rondinelli.
Ma qual è la storia del loro ritrovamento che in questi giorni, anche durante la presentazione dell’evento, non è stata ancora raccontata?
Prospero Rondinelli, scrivendo degli uomini illustri di Montalbano Jonico, ci ha narrato il loro ritrovamento: “Nel mese di febbraio 1732 in contrada “Luce” oggi denominata “Uscio” nel territorio di Montalbano Jonico, e confinante con la riva destra dell’antico fiume “ Achelandro” oggi Cavone, ed al distrutto casale di Andriace, il contadino Marcello Lemma ( di origine pisticcese ), arando la terra presso il torrente suddetto, avvertì che la punta dell’aratro urtò un duro ingombro ( sulla parte superiore della tavola sono visibili i graffi che produsse l’aratro ), osservato diligentemente il terreno lì presso, vide così una antica lamina di bronzo, la quale aveva una iscrizione Greca in una facciata, e un’ iscrizione latina nell’altra, la scoperta di Lemma, fece rumore, e l’archeologo Montalbanese,il sacerdote Nicola Maria Troyli ( insegnante tra l’altro di Francesco Lomonaco ), osservò la lamina e consigliò di andare a scavare nel luogo e nelle vicinanze, ove era stata rinvenuta, perché probabilmente avrebbe potuto trovarsene un’altra, sicché dopo circa venti giorni, cioè i principi di quaresima, e propriamente a Marzo, dello stesso anno 1732, si andò con ansia, di scoprire e fare gli scavi, vicino il luogo dove era stata ritrovata la tavola, e non solo le previsioni del Troyli si avverarono appieno, ma i desideri di tutti vennero coronati da brillante successo perché fu trovata l’altra lamina, scritta, però, da una sola parte”.
Il Rondinelli afferma poi che le tavole successivamente furono portate a Napoli per essere interpretate dall’archeologo del tempo, il canonico Alessio Simmaco Mazzocchi, amico di Nicola Maria Troyli e si conobbe allora che un frammento della prima lamina, rinvenuto da qualche tempo e da persona ignota, era stato venduto per avidità di denaro a tale Ficoroni di Roma.
Nel museo di Policoro, vicino alle Tavole, è esposto anche lo studio di Alessio Simmaco Mazzocchi pubblicato a Napoli nella metà del 1700.
La tavola integra si compone di duecentottantasette righe, in dialetto dorico con forti influenze attiche, e contiene un decreto della colonia di Eraclea relativo a dei terreni appartenenti al santuario di Dioniso.
Secondo il testo dell’iscrizione, tali proprietà versavano in stato di abbandono ed erano in parte sfuggite al controllo dei santuari, in quanto abusivamente occupate da alcuni privati; le autorità cittadine, pertanto, rappresentate dall’eforo e da una serie di cinque magistrati minori preposti ciascuno ad un ruolo specifico(gli horistaiper la positura di cippi di confine o i sitagertai per il rifornimento di grano), vennero incaricate dall’assemblea dei cittadini di rimediare alla situazione.
Il loro intervento, dopo regolari processi, partì dalla ridefinizione dei confini dei terreni e di ogni singolo appezzamento al loro interno, e riguardò la manutenzione dei canali di irrigazione esistenti, la creazione di nuovi condotti idrici e la cura delle vie interne; la descrizione dei luoghi è così circostanziata che si è tentato, da parte degli studiosi, di ricostruirne la topografia.
Le proprietà appartenenti al santuario di Dioniso versavano in condizioni peggiori rispetto a quelle del santuario di Athena: l’intera superficie era ricoperta da sterpaglie e da un bosco di querce, il terreno sembrava adatto più alla pastorizia che all’agricoltura, infatti, c’era un caseificio.
Per la locazione dei quattro lotti ricavati, si scelse allora di adottare l’istituto dell’enfiteusi, cioè di affidarli a vita allo stesso affittuario, in modo che questi potesse bonificare e coltivare con maggiore costanza e impegno un appezzamento di terreno.
Le tavole restituiscono una significativa testimonianza dell’ordinamento giuridico e sociale della colonia, dal momento che recano i nomi delle istituzioni magistratuali, ricordano l’assemblea cittadina e riportano indicazioni sulle divisioni del corpo civico: infatti il nome di ogni magistrato è preceduto da due lettere che, come altrove, indicano la divisione della cittadinanza in gruppi, mentre i nomi dei locatari sono preceduti da simboli, quale ad esempio il tripode, che individuano gruppi familiari, in riferimento, verosimilmente, all’uso di sigilli.
L’unico elemento estraneo ad Herakleia era il geometra, fatto arrivare da Napoli, forse perché, non appartenendo alla comunità, ci si aspettava da lui che lavorasse con correttezza ed imparzialità.
Durante la prima metà del I secolo a. C. questa tavola venne riutilizzata per la pubblicazione di un testo legislativo di età romana, noto come Lex Iulia Municipalis.
Nelle prossime settimane il Parco Letterario promuoverà, in collaborazione con l’amministrazione comunale, incontri con le scolaresche e visite guidate al Museo di Policoro.