Riportiamo di seguito la lettera alla comunità diocesana dell’arcivescovo di Matera-Irsina mons. Antonio Giuseppe Caiazzo per il percorso sinodale che inizierà in occasione dell’Assemblea diocesana del 7 ottobre prossimo che vedrà anche la presenza di mons. Rino FisichellA
Carissimi fratelli e sorelle,
durante quest’anno pastorale, in più occasioni, ho maturato con i Vicari e il Collegio dei Consultori e ho condiviso nel Consiglio Presbiterale la necessità di porre all’attenzionedell’intera Chiesa di Matera – Irsinal’importante decisionepresa: un percorso sinodale.
Questo percorso è la logica conseguenza dei risultati prodotti dalla Visita Pastorale di S. E. Mons. Salvatore Ligorio (vi sarà consegnata un’ampia sintesi: ho chiesto che venisse pubblicata). Il prosieguo dell’iter avviato si attua in questo anno pastorale, attraverso la riflessione sul senso del bene comune .
Siamo, dunque, in un percorso sinodale,perché il lavoro di questi anni ha sottolineato l’importanza di una pastorale comune a tutta la diocesi (diocesanità). Infatti un’esperienza concreta sono i progetticondivisi da più parrocchie (interparrocchialità), con particolare attenzione alla famiglia e ai giovani, alla valorizzazione dei laici,per lavorare insieme e promuovere il bene comune.
Ma è anche una risposta all’invito pressante che viene da Papa Francesco, il quale, parlando ai delegati al Convegno di Firenze, ebbe a dire: «A tutta la Chiesa italiana raccomando ciò che ho indicato in quella Esortazione (si riferisce all’Evangeliigaudium): l’inclusione sociale dei poveri, che hanno un posto privilegiato nel popolo di Dio, e la capacità di incontro e di dialogo per favorire l’amicizia sociale nel vostro Paese, cercando il bene comune. (…) Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà. L’umanesimo cristiano che siete chiamati a vivere afferma radicalmente la dignità di ogni persona come Figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l’allegria e l’umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte molto dura. Sebbene non tocchi a me dire come realizzare oggi questo sogno, permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangeliigaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni, specialmente sulle tre o quattro priorità che avrete individuato in questo convegno. Sono sicuro della vostra capacità di mettervi in movimento creativo per concretizzare questo studio» .
In tante altre occasioni, il Papa, continua a richiamare l’attenzione della Chiesa ad un vero e proprio “percorso sinodale”.«Ciò che intendo qui esprimere ha un significato programmatico e delle conseguenze importanti. Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una semplice amministrazione. Costituiamoci in tutte le regioni della terra in uno stato permanente di missione» .
Se come Chiesa di Matera – Irsina avremo questa consapevolezza, allora saremo in grado di vivere l’avvento del Signore, capace di assumere tutto l’umano.
La sua missione diventa la nostra: bisognosi di fare un cammino di fede adulta, di vivere l’attesa di una vita di fede.
Le nostre liturgie parleranno perché, accogliendo l’umano, lo faranno diventare divino, partendo dalla bellezza del Vangelo, capace di trasfigurare.
L’umanesimo di Gesù, se vissuto pienamente, diventa il nostro.
«Lungo la strada è cominciata la Chiesa; lungo le strade del mondo la Chiesa continua. Non occorre, per entrarvi, né battere alla porta, né fare anticamera. Camminate e la troverete; camminate e vi sarà accanto; camminate e sarete nella Chiesa. Per un apostolo camminare vuol dire seguire i destini delle anime: essere pastore…» . Facendo nostre queste parole di Don Primo Mazzolari, come Chiesa siamo chiamati ad avere uno sguardo meno miope e quindi capace di guardare oltre gli steccati e i personalismi, per percorrere la strada della politica , dell’economia, della cultura: «La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità. E’ Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso» .
Ora è giunto il momento che quanto maturato “sinodalmente” si incominci ad attuare. Mi servirò della stupenda descrizione dell’evangelista Luca nel presentarci il cammino dei cosiddetti “Discepoli di Emmaus” (Lc 24,13ss).
A partire da questo brano evangelico, in questa mia seconda lettera, indirizzata a tutta la nostra Chiesa locale, mi appresto a spiegare il senso e il contenuto del percorso che siamo chiamati a fare.
I discepoli, diretti verso un villaggio chiamato Emmaus, si allontanano da Gerusalemme. In questa città –che rappresenta la Chiesa terrena – sono successifatti tristi e drammatici: lo scandalo della croce.
Il Maestro e Signore, Gesù, è stato ucciso e tumulato in una tomba. Tutto è finito in un loculo scavato nella roccia e sigillato con un grosso masso.
E’ quello che viviamo anche noi, quando, delusi o scandalizzati per quanto succede nel mondo, ma ancor di più nella Chiesa, ci allontaniamo dalla stessa, dal luogo dello scandalo.
Più ci allontaniamo e più scendiamo verso il dislivello che da Gerusalemme porta verso il Mar Morto, con la testa china, ma soprattutto, dice l’evangelista, con la tristezza dentro.
C’è un altro particolare che vorrei sottolineare. Ancora oggi non sappiamo esattamente dove si trovi Emmaus. Ci sono ben quattro punti diversi e in direzioni diverse che gli archeologi indicano.
Applicandolo al nostro ragionamento, potremmo dire che, lontani da Gerusalemme e con questo stato d’animo particolare, si cammina, ma non si sa dove si va esattamente. Non si riesce a capire dove Dio ci sta conducendo e cosa vuole dalla nostra vita.
Ed è proprio in queste situazioni che “Gesù in persona si accostò e camminava con loro”.
E’ interessante che sia Gesù, quindi Dio, che prende l’iniziativa di accostarsi agli uomini, camminare con loro, ma, come successe ai discepoli di Emmaus, così agli uomini d’oggi,i nostri occhi sono incapaci di riconoscerlo.Chi di noi non ricorda l’aneddoto attribuito a Diogene di Sinope , detto il Cinico, che di giorno si aggirava con la lanterna accesa? E spiegava: “Cerco l’uomo!”
La rivelazione biblica ci dice che la Parola di Dio è lampada ai nostri passi, luce sul nostro cammino (cfrSal 118). Prima dell’avvento di Gesù
NellaSacra Scrittura Diocontinuamente cerca l’uomo nei suoi smarrimenti, nelle sue cadute, nelle sue chiusure epaure, nei suoi dolori . Riporto solo alcuni esempi:
La prima domanda che Dio pone all’uomo è:“Adamo, dove sei?”(Gen 3,9). Dio sa benissimo in quale situazione si trova l’uomo, pone la domanda perché l’uomo rifletta: è una provocazione. Non a caso Adamo si era nascosto: voleva sfuggire alle proprie responsabilità. Riconosce che si è intrappolato da solo: “mi sono nascosto”. E’ quanto succede anche oggi.Ogni forma di chiusura è il sintomo della paura di affrontare la vita. Nascondendosi davanti a Dio, si rischia di cadere nella falsità. Annullando la presenza di Dio,si rischia di annullare la propria umanità. Dio, invece, cerca l’uomo e gli pone la domanda affinché maturi il desiderio di liberarsi dalle paure e dalle chiusure,per venire fuori dalle tombe della vita.
La seconda domanda di Dio: “Dov’è tuo fratello?” Dio cerca anche il fratricida, colui che, pur di affermare se stesso, si è messo al posto di Dio, rivestendosi del potere di decidere sulla vita dell’altro, che è “suo fratello”. Papa Francesco a Lampedusa, dopo l’immane tragedia che ha visto oltre trecento vite umane intrappolate in fondo al mare in un barcone, commentando questo interrogativo, disse: “Il sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi di essere Dio, porta ad una catena di sbagli che è catena di morte, porta a versare il sangue del fratello! … la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi. Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, non trovanoaccoglienza, non trovano solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio” !
“Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò”(Gen 12,1).Abramo aveva conosciuto Dio? Ci sono tre tradizioni secondo i rabbini. Mi piace soffermarmi sulla terza secondo la quale lo avrebbe incontrato a quarantotto anni. E’ l’età della piena maturità della vita. Nella simbologia biblica rappresenta l’ingresso nel quarantanovesimo anno: sette per sette. Un’età matura in cui si tirano le somme e spesso si colgono le delusioni, le amarezze, i progetti frantumati, lo scontro con la dura realtà. E’ l’età in cui si avverte di più il bisogno di Dio. Accettando questa tradizione rabbinica dovremmo dire che questa è l’età in cui si sente il bisogno non solo delle consolazioni umane. Si sceglie Dio che si è fatto presente e compagno di viaggio. Ormai è iniziato un vero e proprio itinerario di fede che porterà a quella maturazione che troverà il suo compimento nella nascita alla vita eterna.
Dopo il sogno che Giacobbe fece, si svegliò e disse:«Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo».Ebbe timore e disse:«Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo». (Gen 28,16). Giacobbe è arrivato a Betel, in fuga per sfuggire all’ira del fratello Esaù. E’ solo, è un viandante senza la protezione di nessuno, nemmeno di sua madre. Nel suo camminare, di giorno, è incapace di vedere la presenza di Dio, mentre di notte, mentre dorme, tutto diventa chiaro: lui è nella casa di Dio sulla terra, porta che conduce verso il cielo. Interessante è quanto diceva il card. Martini, che sintetizzava quanto successo a Betel nella domanda: dove sono, Signore? E poi continua: dove Giacobbe crede di essere? Dove Giacobbe è in realtà? Dove sono io?«A Giacobbe non è bastata la prima visione, in cui Dio gli si era rivelato fedele. Viene il momento in cui, misteriosamente, Dio lotta con l’uomo e l’uomo con Dio. … Questo brano ha ispirato molti mistici, persone che vivendo in grande intimità con Dio si sono riconosciute in esso e hanno compreso che la fedeltà del Signore si fa notte oscura, lotta terribile, nella quale si giunge a poter chiedere solo la divina benedizione» .
Sul Sinai Dio si rivela a Mosè nel roveto ardente. E’ lo stesso Dio che ilpopolo non ha mai conosciuto. Dio si ricorda dell’uomo e del patto che ha stretto con lui e si rivela a Mosè per aiutarlo a liberare i suoi discendenti dalla schiavitù (Es 3,6-8). Come è successo con Giacobbe, lo stesso avviene con Mosè: «Il Signore disse a Mosè: “Va’ dal popolo e purificalo oggi e domani: lavino le loro vesti e si tengano pronti per il terzo giorno, perché nel terzo giorno il Signore scenderà sul monte Sinai alla vista di tutto il popolo. Fisserai per il popolo un limite tutto attorno, dicendo: Guardatevi dal salire sul monte e dal toccare le falde. Chiunque toccherà il monte sarà messo a morte”» (Es 19,10-12). Anche in questo caso, nel momento in cui Dio si manifesta, Mosè reagisce e si lascia prendere dal timore: si copre il volto per non vedere Dio. «Nessun uomo può vedermi e restare vivo», aveva detto Dio a Mosè (Es 33,20). Invece siamo di fronte non più a un Dio dei filosofi, a un’entità, a una sensazione, a un’emozione, a un ideale, ma ad un Dio persona: un Dio che ama relazionarsi e rivelarsi, un Dio concreto, della storia, degli uomini. Questo è anzitutto il suo nome: “Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione” (Es 3,15).
La medesima cosa succede con Gedeone quando vede Dio e dice: «Signore, ho dunque visto l’angelo del Signore faccia a faccia!”. Il Signore gli disse: “La pace sia con te. Non temere, non morirai!»(Gdc 6,22-23). Questo timore non è semplice paura, ma esprime la consapevolezza di stare di fronte alla grandezza e alla santità di Dio. Direbbe l’autore del libro dei Proverbi che il timore di Dio non è solo «il principio della scienza» (cfr. Pr 1,7), ma indica che Dio è presente nella storia dell’uomo. In sintesi: è l’inizio della fede, del cammino di fede.
L’elenco sarebbe ancora lungo: Elia, Samuele, Debora, Anna, Ester, tanto per citarne alcuni… Riporto solo alcuni passaggi con carattere vocazionale:
– Il profeta Isaia:«Ohimè! Io sono perduto,perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito;eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti». Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare.Egli mi toccò la bocca e mi disse: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra,perciò è scomparsa la tua iniquitàe il tuo peccato è espiato». Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me» (Is 6,5-8)!
– Il profeta Geremia:Mi fu rivolta la parola del Signore: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni”. Risposi: “Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare, perché sono giovane”. Ma il Signore mi disse: “Non dire: Sono giovane, ma và da coloro a cui ti manderòe annunzia ciò che io ti ordinerò.Non temerli,perché io sono con te per proteggerti”. Oracolo del Signore. Il Signore stese la mano, mi toccò la bocca e il Signore mi disse:”Ecco, ti metto le mie parole sulla bocca.Ecco, oggi ti costituiscosopra i popoli e sopra i regniper sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare”(Ger 1,4-10).
– Il profeta Ezechiele: Quando la vidi (la visione), caddi con la faccia a terra e udii la voce di uno che parlava (1,28). Mi disse: “Figlio dell’uomo, alzati ti voglio parlare”. Ciò detto, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava (2, 1-2). Io guardai ed ecco una mano tesa verso di me teneva un rotolo[…]Figlio dell’uomo, io ti mando agli Israeliti; a un popolo di ribelli, che si sono rivoltati contro di me […] sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: Dice il Signore Dio. Ascoltino o non ascoltino – perché sono una genia di ribelli – sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro (2,3-5).
Ma non sono forse le parole che dice Gesù ai suoi discepoli sul lago di Tiberiade: «“Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?” E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: “Chi è mai dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?”» (Mc 4,40-41). Il timore di Dio aiuta a fare un vero e proprio cammino di fede, la paura annulla psicologicamente Dio.
«La ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e non si affida al suo Creatore» .
Ma la vicinanza di Dio con l’umanità diventa visibile e concreta nel momento in cui lui stesso decide di rendersi visibileall’umanità attraverso l’incarnazione in Maria.
Attingiamo a quanto i Padri della Chiesa affermarono. Mi riferisco a Sant’Ignazio d’Antiochia (35-107) e Sant’Ireneo (130-212) i quali, commentando il prologo di Giovanni, parlano di incarnazione: “Il Verbo si fece carne” (Gv 1,14).
Quando parliamo di incarnazione, intendiamo Dio che si è fatto uomo. Attraverso l’azione dello Spirito Santo, nel seno di Maria, il Figlio di Dio si è incarnato per noi uomini e per la nostra salvezza. La sua incarnazione ha riconciliato noi peccatori con Dio, ci ha fatto conoscere il suo amore infinito; ci ha fatto «partecipi della natura divina» (2 Pt1,4) per essere nostro modello di santità.Pertanto Gesù Cristo è nello stesso tempo “vero Dio e vero uomo”, cioè racchiude in séla duplice natura: divina e umana, unite nella medesima persona di Gesù.
Lapresenza reale e sostanziale di Gesù si perpetua nel tempo attraverso il “memoriale” dell’Eucaristia: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”.Ma c’è una ragione ulterioreper cui il Verbo si è fatto carne: “perché diventassimo partecipi della natura divina” (2 Pt 1,4). Dio, dice Benedetto XVI,«si immerge nella nostra storia e assume su di sé la fatica e il peso della vita umana» in tutta la sua concretezza, in tempi e luoghi determinati. Riflettendo sull’Incarnazione, anche noi dobbiamo quindi «interrogarci sul realismo della nostra fede, che non deve essere limitata alla sfera del sentimento, delle emozioni, ma deve entrare nel concreto della nostra esistenza, deve toccare cioè la nostra vita di ogni giorno e orientarla anche in modo pratico» .
«Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro», per illuminare i due discepoli, smarriti, tristi e sofferenti. Oggi c’è bisogno che ogni fedele siailluminato dalla Parola di Gesù. La certezza della luce della fede ci aiuta a liberarci da una concezione della vita legata esclusivamente al mondo terreno, per allungare lo sguardo verso gli orizzonti di Dio.Il rimprovero che Gesù fa ai discepoli è molto eloquente: «Stolti e lenti di cuore a credere…». Questa è la missione della Chiesa: camminare accanto ai fratelli, stare accanto ad ogni sofferenza, tristezza, dolore, solitudine, amarezze, delusioni, che fanno chiudere il cuore alla speranza e alla fiducia. Condivisione della fragilità umana che non ha bisogno di essere giudicata ma incoraggiata, sostenuta, illuminata. Questo è possibile se si cammina accanto all’altro.Al termine del cammino, quando ormai il giorno sta per tramontare, nasce nei due discepoli il forte desiderio di continuare a stare con colui che ancora non hanno riconosciuto come il Maestro, ma dalla cui presenza si sentono fortemente attratti e sicuri: «Rimani con noi, perché si fa sera».Un invito che si fa preghiera. Questo invito diventi, per la nostra Chiesa di Matera – Irsina, durante questo itinerario sinodale, preghiera di intercessione e di adorazione. Tutte le comunità parrocchiali stiano attorno a Gesù Eucaristia, qualicenacoli di preghiera eucaristica.La scena che segue, così come l’evangelista Luca ce la presenta, è di una luminosità incredibile, d’improvvisa risurrezione da parte dei due di Emmaus: «Gli occhi si aprirono e lo riconobbero nello spezzare il Pane». Il risorto, Gesù Cristo, che cammina oggi con noi, ci fa sperimentare che cosa significa essere Chiesa viva:aprire gli occhi, vivere l’entusiasmo, la gioia, la voglia di diventare Eucaristia, pane di vita che si spezza, nutrimento di vita eterna insieme ai fratelli. “Sine dominico non possumus – Senza l’eucaristia non possiamo vivere”, dicevano i martiri di Abitene . Ecco svelato il senso dell’espressione“l’Eucaristia fa la Chiesa e la Chiesa fa l’Eucaristia” . Giovanni Paolo II spiega: «La Chiesa vive dell’Eucarestia. (…) La Chiesa vive del Cristo eucaristico, da Lui è nutrita, da Lui è illuminata. L’Eucarestia è mistero di fede, e insieme “mistero di luce”. Ogni volta che la Chiesa la celebra, i fedeli possono rivivere in qualche modo l’esperienza dei due discepoli di Emmaus: “Si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero” (Lc 24,31)» . D’altronde il Vaticano II ci dice nella costituzione dogmaticaLumen Gentiumche l’eucaristia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e ad essa sono ordinate la fatiche apostoliche ;mentre nella PresbyterorumOrdinisricorda che l’eucaristia è il cardine di ogni ministero sacerdotale (PO 6). Anche per ilCatechismo della Chiesa cattolica la Chiesa vive nelle comunità eucaristiche: “esiste nelle comunità locali e diventa concreta, soprattutto, in quanto assemblea liturgica ed eucaristica “. La Chiesa mostra, dunque, il suo vero volto proprio nella celebrazione eucaristica. Partendo da essa si “spezza” nella quotidiana missione, divenendo alimento vitale per ogni uomo.
I discepoli di Emmausritrovano entusiasmo, calore, nuova vitalità:«Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via?».Anche la nostra Chiesa ritrovi, a contatto con Cristo, un cuore che arde. Una Chiesa in cui laici e consacrati vincano la tentazione di rimanere imprigionati in schemi e tradizioni prettamente “ritualistiche”, se non adeguatamente illuminate dal Vangelo. Ritrovare il cuore che arde significa sentirsi avvolti dall’amore divino che ci invita e dare la vita per il Vangelo, mostrando la gioia di appartenere a Cristo ed essere figli di questa Madre: la Chiesa.
L’evangelista Lucaci dice che, subito dopo, i due discepoli «Fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro».Gerusalemme, abbiamo già detto, è la Chiesa. Le nostre comunità parrocchiali sono la Chiesa. E’ in essa che siamo chiamati a vivere l’esperienza del Risorto, attraverso un itinerario di fede che ci aiuti a non fuggire dalle difficoltà o dai contrasti che spesso si pongono sulla nostra strada e ci accompagni in un cammino di conversione. Comunità parrocchiali che nel Risorto siano capaci di leggere la storia che Dio sta costruendoper ogni singolo membro. Una Chiesa che non sia autoreferenziale, ma che coltivi l’incontro con tutti, dove le relazioni mostrino il calore di un amore vero,superando qualsiasi sterile pratica burocratica. Compagni di viaggio, come Gesù, per parlare il linguaggio della carità, della fraternità, della comunione. E’ questo, d’altronde, l’itinerario sinodale che intendiamo fare per lasciarci illuminare dalla forza straordinaria del Vangelo: la lieta notizia.
L’ultima parte di questo brano evangelico, a mio avvisola più significativa, è quanto intendiamo fare come Chiesa di Matera – Irsina: «Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via». Ci ritroveremo, senza fretta, nelle nostre comunità parrocchiali, nelle Vicarie, nella Cattedrale, per narrarci quanto il Risorto ci sta comunicando. Ci racconteremo quanto Dio sta facendo nella nostra vita personale e comunitaria. Volgeremo lo sguardo ad ogni periferia esistenziale e da questa impareremo a guardare verso il centro. Come dice Papa Francesco, capovolgeremo la prospettiva dello sguardo per sentirci raccontare le tantissime storie che provengono da condizioni che sono lontane da noi.
Ma quali sono queste periferie? Lo esprimo con le stesse parole di Papa Francesco: Sono i luoghi in cui «c’è sofferenza, c’è sangue versato, c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni ”, luoghi abitati da persone ben precise: «Significa che dobbiamo andare verso la carne di Gesù che soffre, ma anche soffre la carne di Gesù di quelli che non lo conoscono con il loro studio, con la loro intelligenza, con la loro cultura. Dobbiamo andare là! Perciò, a me piace usare l’espressione “andare verso le periferie”, le periferie esistenziali. Tutti, tutti quelli, dalla povertà fisica e reale alla povertà intellettuale, che è reale, pure. Tutte le periferie, tutti gli incroci dei cammini: andare là. E là, seminare il seme del Vangelo, con la parola e con la testimonianza» ”;durante la GMG di Rio de Janeiro: «in ogni ambiente, fino alle periferie esistenziali, anche a chi sembra più lontano, più indifferente. Il Signore cerca tutti, vuole che tutti sentano il calore della sua misericordia e del suo amore» .
Durante la Visita pastorale ad Assisi, incontrando il clero e le persone consacrate, disse: «Ma sono anche persone, realtà umane di fatto emarginate, disprezzate. Sono persone che magari si trovano fisicamente vicine al “centro”, ma spiritualmente sono lontane. Non abbiate paura di uscire e andare incontro a queste persone, a queste situazioni. Non lasciatevi bloccare da pregiudizi, da abitudini, rigidità mentali o pastorali, dal famoso “si è sempre fatto così!”. Ma si può andare alle periferie solo se si porta la Parola di Dio nel cuore e si cammina con la Chiesa, come san Francesco. Altrimenti portiamo noi stessi, non la Parola di Dio, e questo non è buono, non serve a nessuno! Non siamo noi che salviamo il mondo: è proprio il Signore che lo salva! dove “Dio non c’è» .
Infine, nella Evangeliigaudium, viene espresso chiaramente il pensiero di Papa Francesco nel ribadire: «Oggi, in questo “andate” di Gesù, sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuovi della missione evangelizzatrice della Chiesa, e tutti siamo chiamati a questa nuova “uscita” missionaria. Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo».
Benedetto XVI, nel primo messaggio nella Cappella Sistina, dopo la sua elezione a Vescovo di Roma disse: «Mi sta dinanzi, in particolare, la testimonianza del Papa Giovanni Paolo II. Egli lascia una Chiesa più coraggiosa, più libera, più giovane. Una Chiesa che, secondo il suo insegnamento ed esempio, guarda con serenità al passato e non ha paura del futuro. Col Grande Giubileo essa si è introdotta nel nuovo millennio recando nelle mani il Vangelo, applicato al mondo attuale attraverso l’autorevole rilettura del Concilio Vaticano II. Giustamente il Papa Giovanni Paolo II ha indicato il Concilio quale “bussola” con cui orientarsi nel vasto oceano del terzo millennio» .
Il tema si ritrova sviluppato nella liturgia del 24 aprile successivo: Chiesa che riflette il volto di Dio-amore, e che porta sempre con sé il libro della Parola, il Pane, l’olio e il vino, assieme ad una brocca colma d’acqua, “per ridare un cuore nuovo all’umanità contemporanea immersa in una civiltà malata” (Giovanni Paolo II), che sembra veder esaurire le scorte di speranza».
In preparazione e a conclusione della Visita Pastorale venivano date delle preziose indicazioni che riporto di seguito:
Il metodo privilegiato da Mons. Ligorio per condurre la Visita Pastorale, vale a dire di mettersi in ascolto del popolo a lui affidato, battezzati e cercatori di Dio, visitando le comunità ecclesiali e il Cortile dei Gentili come suggerito da Benedetto XVI, è lo stesso che ci deve contraddistinguere come Chiesa Diocesana.
A conclusione della Visita nelle tre Zone pastorali (ora Vicarie) l’Arcivescovo, nel corso di una liturgia della Parola, consegnò ai parroci, in busta chiusa, la relazione sullo status delle singole comunità. Da questa traspare in modo chiaro e inequivocabile che il desiderio del mio predecessore era quello di proseguire con la celebrazione del primo Sinodo Diocesano della Chiesa di Matera-Irsina.Tale volontà è emersa altresì nei dialoghi con gli organismi di comunione diocesani,con l’intento di valorizzare la ricchezza di esperienze e di contenuti offerti dagli incontri con le comunità.
Nello stesso tempo sono state focalizzate alcune debolezze da affrontare:
Anche nella nostra comunità diocesana incontriamo le criticità emerse nel documento della Congregazione Culto Divino e Disciplina dei Sacramenti, Evangelizzare la religiosità popolare, in merito alla percezione dell’esistenza di Dio e alla sua incidenza nella vita dell’uomo. Da qui l’interrogativo:
«A che punto è la nostra fede? e della nostra comunità?».
Un’idea diffusa oggi è: «se Dio vuole, ci può salvare»; frutto di un fideismo superficiale,tipico atteggiamento contemporaneo, figlio del modernismo e della post-modernità.
Si evince una grossa difficoltà a seguire gli insegnamenti del Gesù della Croce, della sofferenza, del grido del Getsemani, perché in questo tempo storico tutto si deve ottenere subito. Benedetto XVI con la sua trilogia su Gesù di Nazareth riporta l’uomo all’immagine con il creatore: “nel Getsemani…piangeva e soffriva per me”.
Dalle relazioni della visita pastorale emergono anche tante cose positive:
Si percepisce la volontà di penetrare di più nel mistero di Dio, richiesta manifestata dai giovani in dialogo attento con l’Arcivescovo, dai loro sguardi, dai loro silenzi e dalle loro domande, per ridare certezza di vita, di fede e di affidamento come scrive l’evangelista Giovanni: «abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (14,1-14). In ogni cultura religiosa l’uomo è in relazione con la divinità, ma solo Gesù rivela l’uomo all’uomo e indica che Lui non è venuto per abolire il passato ma per darne compimento.
Occorre illuminare i cuori con la luce della Parola senza relativizzarla né «addomesticarla». La Chiesa deve parlare di Dio a partire dal suo essere amore, declinato in bontà, misericordia, comunione per essere testimoni credibili. Il beato Paolo VI affermava, infatti, che il mondo ha bisogno di testimoni perché molti sono i maestri.
Altro aspetto da sottolineare è la «grazia di Dio» donata nel Battesimo, da cui scaturisce il senso della nostra responsabilità per un impegno fattivo nella famiglia e nella comunità ecclesiale e civile.
Per dare una risposta all’interrogativo posto dall’Arcivescovo «a che punto è la nostra fede?» si sono proposte delle linee guidae delle scelte da fare:
I fedeli laici singolarmente o in quanto membri di associazioni, confraternite, movimenti e gruppi ecclesiali, sono chiamati a vivere l’appartenenza alla Chiesa, a riscoprire la propria vocazione battesimale e il proprio ruolo nella comunità, in dialogo con i presbiteri e con il Vescovo per la crescita della nostra Chiesa. Se le comunità cristiane sono ricche di una attività che rasenta “il fare per il fare” spesso rivelano una frammentazione nociva alla comunione. Infatti l’arcivescovo evidenziava i tanti segni positivi e di crescita che si notano nelle singole comunità: catechesi per gli adulti, catechesi biblica, preparazione ai sacramenti, gruppi di famiglie, liturgie, adorazioni eucaristiche, ma caldeggiava l’ulteriore impegno per sentirsi famiglia diocesana.
Ad una dimensione teologale della Carità corrisponde la sua testimonianza attraverso gesti concreti.
È necessario educare tutta la comunità all’agire nella carità, superare la frattura tra il Vangelo e la vita concreta, perché il mistero dell’Incarnazione e della sequela Christidiventi evangelo di speranza e di carità, di manifestazione dell’amore di Dio, di assunzione di stili di vita pronti all’accoglienza e alla condivisione.
La conoscenza del territorio, che può e deve emergere anche attraverso il dialogo con le Istituzioni, con i Servizi sociali, i centri di ascolto Caritas (auspicabili in ogni parrocchia), permette di avere una mappa delle potenzialità e delle povertà. La carità va organizzata, testimoniata e strutturata secondo un ordine necessario alla varietà dei bisogni, delle situazioni e delle risorse che le comunità possono esprimere.
La presenza di immigrati, ad esempio, nelle nostre comunità e soprattutto nel metapontino, dove si vive una permanente emergenza, aiuta le comunità a riconoscere il diverso, a superare ogni forma, anche latente, di razzismo.
La nostra Chiesa ha bisogno di mettersi in ascolto, di dialogare al suo interno con lo stile della sinodalità, cercando strade nuove per portare il messaggio del Vangelo nelle nostre comunità parrocchiali.
Abbiamo la certezza che Gesù ci accompagna con la luce dello Spirito Santo e apre il nostro cuore verso quanti incontriamo sul nostro cammino. Dio Padre, nel Figlio, Gesù, ci ha manifestato il suo grande amore verso tutti, in particolare verso gli ammalati nel corpo e nello spirito, verso gli esclusi.
“A me – scriveva don Tonino Bello – piace moltissimo l’espressione Chiesa del grembiule, cioè Chiesa del servizio. Sembra un’immagine un tantino audace, discinta, provocante, ma è al centro del Vangelo:‘Gesù, preso un asciugatoio, se lo cinse intorno alla vita.Poi, versata dell’acqua in un catino, cominciò a lavare i piedi dei discepoli’ (Gv13, 3-12).Stola e grembiule.Forse a qualcuno può sembrare un’espressione irriverente, e l’accostamento della stola col grembiule può suggerire il sospetto di un piccolo sacrilegio.Si, perché di solito la stola richiama l’armadio della sacrestia, dove con tutti gli altri paramenti sacri, profumata d’incenso, fa bella mostra di sé, con la sua seta ed i suoi colori, con i suoi simboli ed i suoi ricami. Non c’è novello sacerdote che non abbia in dono dalle buone suore del suo paese, per la prima messa solenne, una stola preziosa.Il grembiule, invece, ben che vada, se non proprio gli accessori di un lavatoio, richiama la credenza della cucina, dove, intriso di intingoli e chiazzato di macchie, è sempre a portata di mano della buona massaia .
D’altronde così preghiamo durante la celebrazione Eucaristica:
Tu non ci lasci soli nel cammino,
ma sei vivo e operante in mezzo a noi.
Con il tuo braccio potente guidasti
l’assemblea errante nel deserto;
oggi accompagni la tua Chiesa,
pellegrina nel mondo,
con la luce e la forza del tuo Spirito;
per mezzo del Cristo, tuo Figlio e nostro Signore,
ci guidi, nei sentieri del tempo,
alla gioia perfetta del tuo regno. (Va)
Rendici aperti e disponibili
verso i fratelli che incontriamo nel nostro cammino,
perché possiamo condividere i dolori e le angosce,
le gioie e le speranze
e progredire insieme sulla via della salvezza. (Vb)
In lui (Padre Onnipotente) ci hai manifestato il tuo amore
per i piccoli e i poveri,
per gli ammalati e gli esclusi.
Mai egli si chiuse
alle necessità e alle sofferenze dei fratelli.
Con la vita e la parola
annunziò al mondo che tu sei Padre
ehaicura di tutti i tuoi figli. (Vc)
Ascoltando i confratelli sacerdoti e i fratelli laici ho colto che è giunto il momento di passare dalle cosiddette “assemblee” o “convegni” annuali al bisogno di ritrovarsi, di dialogare e scegliere secondo lo Spirito di Dio. Cosa significa oggi, qui, sul nostro territorio, essere Chiesa?
Siamo chiamati a guardare alle nostre radici, al percorso fatto in tutti questi anni, soprattutto dopo l’erigenda nuova Arcidiocesi di Matera – Irsina: sarebbe il primo Sinodo!
L’episodio dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35) offre ulteriori spunti al nostro essere Chiesa oggi, al nostro Cammino Sinodale e alla nostra preghiera.
La nostra Chiesa locale sta già esprimendo in tanti modi e in tante situazioni questo stile sinodale. Per esempio, anche in vista della grande opportunità data da Matera 2019, una commissione,nella quale sacerdoti e laici, coordinati dal Vicario Generale, Mons. Pierdomenico Di Candia, ha lavorato in comunione. Il risultato prodotto è stato quello di fornire indicazioniprogettuali ben precise per un apporto concreto e costruttivo alla realizzazione degli obiettivi di Matera 2019. Ne riporto un passaggio significativo: «La Comunità ecclesiale deve saper cogliere e proporre in forme attualizzate il senso del farsi di una cultura e di un vissuto pienamente inseriti nella storia. Si ritiene pertanto essenziale individuare alcune linee-guida per orientare l’impegno delle comunità cristiane nella presa di coscienza del valore culturale della propria missione e nel proporre iniziative culturali future. Senza fermarsi a una generica considerazione del patrimonio artistico religioso come cifra di un contributo della comunità dei fedeli a questo percorso, né pensare che la cultura sia appannaggio di pochi addetti ai lavori, né indulgere a lamentele rivendicative o moralistiche, è necessario far leva sulla straordinaria forma di creatività e partecipazione che viene dal vissuto di fede, speranza e carità di tanti fedeli. Prima che di eventi, convegni e mostre, è indispensabile che le comunità cristiane siano promotrici del più ampio coinvolgimento di associazioni, comunità e singoli credenti, nella riscoperta della propria identità. Nella progettazione e proposizione di iniziative è opportuno far leva su un’impostazione “policentrica”, capace di attivare il più possibile il protagonismo e la funzione dei vari uffici, comitati, associazioni e fedeli laici. Le iniziative individuate, valutate e opportunamente coordinate, debbono mettere in moto processi, prima di essere momenti celebrativi, e rispondere al criterio di una progettualità pastorale piuttosto che a quello di eventi occasionali, ed esprimere la vocazione della Chiesa di stare con gli uomini e le donne di questo tempo, con le loro storie e le loro esperienze» .
Occorre, dunque, lasciarsi guidare come Chiesa dalle preziose indicazioni del Papa nella sua Lettera apostolica, ma altrettanto necessario tener conto di quanto emerso in occasione della Visita Pastorale alle parrocchie della nostra Arcidiocesi di Matera – Irsina.
Incamminarsi in un percorso sinodale è la strada maestra da percorrere per crescere nell’identità di Chiesa in uscita. «Voi uscite per le strade e andate ai crocicchi: tutti quelli che troverete, chiamateli, nessuno escluso (cfr Mt 22,9). Soprattutto accompagnate chi è rimasto al bordo della strada, «zoppi, storpi, ciechi, sordi» (Mt 15,30). Dovunque voi siate, non costruite mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo» .
Fare il percorso sinodale significa, dunque, camminare insieme, come Chiesa pellegrina capace di guardare verso l’Oltre e verso l’Altrove. Significa riscoprire la propria identità e appartenenza: Chiesa che nasce dall’Alto, che non ha la preoccupazione di stabilire regole (a volte necessarie e rassicuranti) ma di favorire l’incontro di tutti con Gesù Cristo . “La sinodalità, come dimensione costitutiva della Chiesa, ci offre la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico. Se capiamo che, come dice san Giovanni Crisostomo, «Chiesa e Sinodo sono sinonimi» – perché la Chiesa non è altro che il “camminare insieme” del Gregge di Dio sui sentieri della storia incontro a Cristo Signore – capiamo pure che al suo interno nessuno può essere “elevato” al di sopra degli altri. Al contrario, nella Chiesa è necessario che qualcuno “si abbassi” per mettersi al servizio dei fratelli lungo il cammino” .Una Chiesa che fa un percorso sinodale ha la necessità di mettersi in ascolto, di verificare, di ridefinirsi non in base a ciò che ha sempre fatto ma in base a ciò che lo Spirito oggi suggerisce. “Il primo livello di esercizio della sinodalità si realizza nelle Chiese particolari. Dopo aver richiamato la nobile istituzione del Sinodo diocesano, nel quale Presbiteri e Laici sono chiamati a collaborare con il Vescovo per il bene di tutta la comunità ecclesiale (CJC, cann. 460-468), il Codice di diritto canonico dedica ampio spazio a quelli che si è soliti chiamare gli “organismi di comunione” della Chiesa particolare: il Consiglio presbiterale, il Collegio dei Consultori, il Capitolo dei Canonici e il Consiglio pastorale (CJC, cann 595-514) . Soltanto nella misura in cui questi organismi rimangono connessi col “basso” e partono dalla gente, dai problemi di ogni giorno, può incominciare a prendere forma una Chiesa sinodale: tali strumenti, che qualche volta procedono con stanchezza, devono essere valorizzati come occasione di ascolto e condivisione” .
Una Chiesa in ascolto, partendo dalla Parola di Dio, che è l’insegnamento della Chiesa, deve verificare e ridefinirsi non in base a ciò che si è sempre fatto ma in base a ciò che lo Spirito oggi suggerisce. La religiosità e la pietà popolare sono un patrimonio grande della Chiesa, ma hanno bisogno di essere evangelizzate per non correre il rischio di rimanere fermi a tradizioni che, a volte, potrebbero penalizzare la crescita di un popolo. Tutto va bene se esprime la forza dirompente del Vangelo di Gesù Cristo, se converte i cuori, se aiuta a maturare un cammino di fede. «Non ci sarebbero più pagani – diceva san Giovanni Crisostomo – se ci comportassimo da veri cristiani» .
Una Chiesa in cammino sinodale entra in dialogo con l’umanità variegata, in una società sempre più multietnica e multiculturale. «Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la strada del dialogo con tutti» . Papa Francesco, riflettendo sul camminaredei cristiani, dice: «Penso che questa sia veramente l’esperienza più bella che viviamo: far parte di un popolo in cammino, in cammino nella storia, insieme con il suo Signore, che cammina in mezzo a noi!» . Chiamati a trovare «vie nuove al cammino della Chiesa nei prossimi anni» . Un grande teologo, Dietrich Bonhoeffer, già tanti anni addietro, affermava“La Chiesa deve uscire dalla sua stagnazione. Dobbiamo tornare all’aria aperta del confronto spirituale con il mondo. Dobbiamo rischiare di dire anche delle cose contestabili, se ciò permette di sollevare questioni di importanza vitale” .
Una Chiesa in cammino sinodale abita le relazioni umane per accogliere e donare. «Il primato della relazione, il ricupero del ruolo fondamentale della coscienza e dell’interiorità nella costruzione dell’identità della persona umana, la necessità di ripensare i percorsi pedagogici come pure la formazione dei giovani e degli adulti, divengono oggi le priorità ineludibili» .Una Chiesa in uscita, che sta in mezzo alla comunità degli uomini per ascoltare, capire, discernere, operare. Una Chiesa capace di toccare, immergersi e toccare le tristi piaghe della povertà, della divisione, combattere la cultura dello scarto , che ama la nostra “casa comune” , la terra, la rispetta e l’aiuta a ritrovare la bellezza originaria della creazione. Una Chiesa sinodale è di per sé missionariaperché cerca «di guardare e di leggere la realtà, anzi le realtà, di oggi con gli occhi di Dio, per accendere e illuminare con la fiamma della fede i cuori degli uomini, in un momento storico di scoraggiamento e di crisi sociale, economica, morale e di prevalente negatività» .
Una chiesa in cammino sinodale capace di parlare profeticamente. Diventa “Madre e Maestra” perché insegna, accostandosi e camminando con gli uomini, che non bisogna mai disperare e prosegue il cammino con loro per andare dove chiama lo Spirito e dove porta il cuore .
Ripartiamo dalla visita pastorale di Mons. Salvatore Ligorio, dalle conclusioni del Convegno di Firenze (cinque verbi: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare), dall’Esortazione apostolica Evangeli gaudium di Papa Francesco, avendo come sfondo per un cammino pluriennale le Costituzioni del Concilio Vaticano II, dalla mia prima Lettera pastorale.
L’esigenza è quella di mettersi in un cammino sinodale, insieme laici e presbiteri sotto la guida del Pastore, per verificare il cammino fatto. Non possiamo pensare di guardare avanti (la fretta è una brutta consigliera) senza verificare il percorso pastorale già fatto. Dobbiamo interrogarci sulla direzione che nell’attuale momento storico stanno prendendo il mondo e la società. Dobbiamo chiederci quali sono le domande più profonde che gli uomini e le donne, i giovani soprattutto, oggi si pongono o hanno nell’animo (vanno coinvolti i consigli pastorali diocesani e parrocchiali, consiglio presbiterale, collegio dei consultori, consigli degli affari economici, incontri e organismi vicariali. Le nostre comunità parrocchiali avranno un sussidio che sarà preparato perché tutti ci mettiamo in ascolto, come i discepoli di Emmaus, per le strade della nostra Arcidiocesi). Dobbiamoindividuarestili nuovi di evangelizzazione secondo le indicazioni dell’Evangeliigaudium di Papa Francesco. Dobbiamoavviareuna vera e propria riforma dell’azione pastorale, non più centrata sulla religiosità, ma su Gesù Cristo e sull’uomo. Questo itinerario complesso ma carico della dimensione comunitaria ci consentirà di formulare proposte per essere Chiesa sempre più rispondente alle esigenze evangeliche che sono, in fondo, le esigenze di felicità che ogni persona avverte.
Tutto questo richiede:
• di confidare nell’azione dello Spirito Santo che guida la Chiesa
• di mettere in discussione prassi pastorali ormai desuete, “si è fatto sempre così”
• di abbandonare lo stile di una Chiesa che dà per scontato di sapere tutto e di avere in mano la soluzione di tutti i problemi
• di saper valorizzare i laici con i loro carismi, che non mancano nelle nostre comunità
• di mettersi in ascolto e in ricerca di tutto il bene che è presente nel mondo, evitando giudizi o pregiudizi, che non aiutano ad abbracciare la realtà e le persone che ci vivono accanto.
L’attenzione dell’Italia e dell’Europa sulla Città di Matera, capitale europea della cultura 2019, sollecita la nostra Chiesa ad accompagnare con grande responsabilità non solo questa data significativa per tutto il Sud Italia, ma ancor di più a riscoprire e valorizzare il grande patrimonio di fede e di cultura che caratterizza la storia delle nostre comunità, per incidere in profondità sull’“oggi” e sulle sfide poste all’evangelizzazione dalla secolarizzazione in atto.
La conversione pastorale e lo slancio missionario, auspicati quale modalità per la pastorale in questo nostro tempo; l’essere Chiesa “in uscita”, attenta ai poveri e agli ultimi, chiedono alla nostra diocesi di attenzionare concretamente le tante forme di povertà che si moltiplicano nella società della cultura dello “scarto”, che contempla anche la povertà di chi vive relazioni mancate, frustrate, negate, che incidono sulla vita delle persone, delle famiglie, dei figli soprattutto .
Vi è inoltre la povertà di chi ha perso il lavoro, di chi non l’ha mai avuto, di chi ha smesso di cercarlo perché caduto nella rassegnazione se non addirittura nella depressione, di chi è costretto a emigrare, di chi arriva in Italia (immigrati) e nelle nostre comunità con la speranza di trovare una vita dignitosa, che non sempre si realizza in una societàpercorsa da pregiudizi e rifiuto.
Tra i tanti percorsi da attuare e da incrementare nella nostra Chiesa diocesana siamo chiamati, sicuramente, arafforzare la comunione presbiterale, assumendo linee condivise di discernimento, di accompagnamento, di cura delle fragilità, soprattutto verso le famiglie in difficoltà e le persone disorientate rispetto ai valori fondamentali della vita, della famiglia, del senso di appartenenza alla comunità non solo ecclesiale ma anche cittadina e sociale. Inoltreva valorizzata maggiormente la corresponsabilità dei laici in ordine alla promozione del bene comune e della stessa missione evangelizzatrice.
Una possibile progettualità pastorale dovrebbe aiutarci ad assumere in maniera più decisa il frutto dell’Anno della Misericordia, dando spazio alla fantasia della misericordia, che ci permetta di guardare alle persone oltre i recinti delle nostre parrocchie e gruppi ecclesiali e facendoci carico delle problematiche esistenziali che la gente oggi vive.
Come annunciare Gesù Cristo a quanti, pur battezzati, sono presi dalle difficoltà a mandare avanti la famiglia, ad accettare la prova della malattia, della mancanza di lavoro e di prospettive per il futuro, del fallimento di un rapporto coniugale? Come annunciarlo a quanti vivono chiusi nelle sicurezze di opinioni dominanti? A coloro che vivono la più grande povertà, quella dell’esclusione di Dio dalla loro vita? Come preparare la Giornata mondiale dei poveri perché non sia solo un momento celebrativo ma un punto di partenza per operare concretamente la “scelta preferenziale dei poveri” nelle nostre comunità?
Anche le linee programmatiche del Convegno di Firenze, incentrato su Cristo modello del nuovo umanesimo, chiedono di essere accolte dalla nostra Chiesa diocesana. Centralità di Cristo e centralità dell’uomo possono essere assunte come criterio per rifondare l’azione pastorale in chiave missionaria. L’umanesimo declinato secondo la prospettiva della trascendenza e dell’interiorità, dell’ascolto e della concretezza, l’umanesimo plurale e integrale potrebbero offrire un criterio di riferimento per la nostra progettualità: per rifondare in Gesù Cristo l’identità umana, le relazioni, il senso della vita come dono.
«Incontrare, accompagnare, prendersi cura di ogni giovane, nessuno escluso». È la prospettiva del documento preparatorio del Sinodo dei giovani, inprogrammanell’ottobre del 2018, sul tema: «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale» .
Riporto una sintesi del documento preparatorio.
“Riconoscere, interpretare, scegliere”. Sono i tre verbi, che troviamo nell’Evangeliigaudium, in cui è riassunta l’essenza del “discernimento vocazionale”. «Il percorso della vita impone di decidere, perché non si può rimanere all’infinito nell’indeterminatezza».
Di qui l’importanza dell’accompagnamento personale, che non è “teoria del discernimento” ma capacità di «favorire la relazione tra la persona e il Signore, collaborando a rimuovere ciò che la ostacola».
È«la differenza tra l’accompagnamento al discernimento e il sostegno psicologico».
“Uscire, vedere, chiamare”.Sono i tre verbi dell’EvangeliiGaudium al centro della terza e ultima parte del documento, in cui si risponde alla domanda centrale del testo: «Che cosa significa per la Chiesa accompagnare i giovani ad accogliere la chiamata alla gioia del Vangelo, soprattutto in un tempo segnato dall’incertezza, dalla precarietà, dall’insicurezza?». La ricetta suggerita è «l’inclusione reciproca tra pastorale giovanile e pastorale vocazionale, pur nella consapevolezza delle differenze». “Uscire” è abbandonare gli “schemi” che incasellano le persone, vedere è “passare del tempo” con i giovani per “ascoltare le loro storie”, chiamare è «ridestare il desiderio, smuovere le persone da ciò che le tiene bloccate, porre domande a cui non ci sono risposte preconfezionate».
Pastorale vocazionale, inoltre, «significa accogliere l’invito di Papa Francesco a uscire, anzitutto da quelle rigidità che rendono meno credibile l’annuncio della gioia del Vangelo, dagli schemi in cui le persone si sentono incasellate e da un modo di essere Chiesa che a volte risulta anacronistico».«Tutta la comunità cristiana deve sentirsi responsabile del compito di educare le nuove generazioni».
È quanto si legge nella parte finale del testo, in cui si auspica il «coinvolgimento dei giovani negli organismi di partecipazione delle comunità diocesane e parrocchiali, a partire dai consigli pastorali».
No, quindi, «all’improvvisazione e all’incompetenza»: servono «adulti degni di fede, credenti autorevoli, con una chiara identità umana, una solida appartenenza ecclesiale». «Insostituibile» il ruolo educativo svolto dalle famiglie.
Per fare un percorso sinodale e successivamente celebrare il Sinodo Diocesano, le quattro costituzioni conciliari ci orienteranno per i prossimi anni, tenendo presenti le cinque vie indicate dal Convegno ecclesiale di Firenze.
Sacrosantumconcilium: dalla liturgia celebrata alla vita vissuta accanto a persone come noi e diverse da noi… Occorre ora ricordare che «la proclamazione liturgica della Parola di Dio, soprattutto nel contesto dell’assemblea eucaristica, non è tanto un momento di meditazione e di catechesi, ma è il dialogo di Dio col suo popolo, dialogo in cui vengono proclamate le meraviglie della salvezza e continuamente riproposte le esigenze dell’Alleanza» .
TRASFIGURARE: Bellezza e sobrietà insieme per una liturgia rinnovata.
Bellezza e sobrietà, insieme, sono i due perni attorno a cui dovrà ruotare «un profondo rinnovamento» della liturgia. «Trasfigurare è sguardo che cerca l’uomo, specialmente i poveri»,è far emergere la bellezza che c’è, che il Signore non si stanca di suscitare nella concretezza dei giorni, delle persone che incontriamo e delle situazioni che viviamo.
Dei Verbum: in ascolto della Parola e in ascolto della vita…saper riconoscere i seminaVerbi. La Chiesa, che è discepola missionaria, ha bisogno di crescere nella sua interpretazione della Parola rivelata e nella sua comprensione della verità. Il compito degli esegeti e dei teologi aiuta a maturare «il giudizio della Chiesa». In altro modo lo fanno anche le altre scienze. Riferendosi alle scienze sociali, per esempio, Giovanni Paolo IIha detto che la Chiesa presta attenzione ai loro contributi «per ricavare indicazioni concrete che la aiutino a svolgere la sua missione di Magistero». Inoltre, in seno alla Chiesa vi sono innumerevoli questioni intorno alle quali si ricerca e si riflette con grande libertà. Le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, se si lasciano armonizzare dallo Spirito nel rispetto e nell’amore, possono far crescere la Chiesa, in quanto aiutano ad esplicitare meglio il ricchissimo tesoro della Parola. A quanti sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature, ciò può sembrare un’imperfetta dispersione. Ma la realtà è che tale varietà aiuta a manifestare e a sviluppare meglio i diversi aspetti dell’inesauribile ricchezza del Vangelo. ANNUNCIARE: Rivedere il sistema educativo e formativo di chi evangelizza.Accompagnare gli evangelizzatori sempre nella profonda conoscenza della Parola di Dio, affinché l’annuncio sia testimoniatodentro e fuori la Chiesa.
Lumen gentium: una Chiesa,“sacramento o segno e strumento di comunione”, missionaria, in uscita, che annuncia e offre Cristo agli uomini e alle donne del nostro tempo. Dio invia il suo Spirito nei nostri cuori per farci suoi figli, per trasformarci e per renderci capaci di rispondere con la nostra vita al suo amore. La Chiesa è inviata da Gesù Cristo come sacramento della salvezza offerta da Dio. Essa, mediante la sua azione evangelizzatrice, collabora come strumento della grazia divina che opera incessantemente al di là di ogni possibile supervisione. Lo esprimeva bene Benedetto XVIaprendo le riflessioni del Sinodo: «È importante sempre sapere che la prima parola, l’iniziativa vera, l’attività vera viene da Dio e solo inserendoci in questa iniziativa divina, solo implorando questa iniziativa divina, possiamo anche noi divenire – con Lui e in Lui – evangelizzatori».Il principio delprimato della graziadev’essere un faro che illumina costantemente le nostre riflessioni sull’evangelizzazione .
EDUCARE:«Cuore aperto» di fronte alle sfide odierne. Scelte d’impegno e invito a mettersi in rete. Continuare a credere nel potere forte dell’educazione e nella sua capacità dirompente di trasformare la storia e la società di ogni tempo, consapevoli che, per affrontare le sfide odierne – che sono «un’opportunità», una «sollecitazione alla conversione pastorale» piuttosto che «un problema»- occorre «avere il cuore aperto».
Gaudium et spes: la Chiesa nel mondo contemporaneo, nell’era della globalizzazione e della comunicazione dei social network, nuove vie per annunciare il Vangelo. “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” . Il Concilio ci ha insegnato che non ci può essere fedeltà a Dio se non c’è fedeltà all’uomo. L’ascolto, il dialogo, la comprensione si mostrano in gesti concreti di attenzione, cura e preoccupazione: l’attenzione verso l’humanum.
USCIRE: Audaci nella testimonianza col coraggio di sperimentare.L’annuncio del Vangelo «non deve essere offerto come una summa dottrinale o come un manuale di morale, ma anzitutto come una testimonianza sulla persona di Cristo, attraverso un volto amichevole di Chiesa tra le case, nella città.
ABITARE: La dottrina sociale riferimento e «fonte» dell’agire pubblico. Si abitano relazioni prima che luoghi. E «stare in mezzo al popolo» non può limitarsi ad una presenza fisica, ma ha bisogno di uno stile che passa per cinque verbi: ascoltare, lasciare spazio, accogliere, accompagnare e fare alleanza.
Il Convegno ecclesiale di Firenze ci sta aiutando a capire che il “nuovo umanesimo in Gesù Cristo” deve necessariamente mostrare il volto dell’incarnazione. Significa entrare, visitare e stare in ogni forma di periferia esistenziale, soprattutto le più lontane.
Il Convegno di Firenze ha puntualizzato che dev’essere un umanesimo che si mette “in ascolto, concreto, plurale e integrale, d’interiorità e trascendenza”.
In ascolto «per riconoscere la bellezza dell’umano ‘in atto’», concreto per dare risposte ai reali bisogni: in questo modo l’evangelizzazione diventa promozione umana.
Un umanesimo che dev’essere plurale e integrale, il quale ci insegna che non c’è differenza tra uomo e uomo:esiste solo l’uomo che, nella diversità di razza e cultura, è una ricchezza che aiuta a capire meglio come valorizzare e promuovere il bene comune.
Nello stesso tempo dev’essere un umanesimo d’interiorità e trascendenza. L’ascolto della Parola di Dio aiuta ad entrare in relazione con Lui attraverso la preghiera, per vivere la vita nella sua pienezza. L’uomo, ogni uomo, viene incontrato dallo sguardo umano di Cristo che ama, libera e salva.
Avremo tre fasi diverse e successive che ci aiuteranno come Chiesa di Matera – Irsina a metterci in ascolto e discernere comunitariamente, sinodalmente:
1. In ascolto di quello che ci dice lo Spirito Santo: Percorso sinodale che ci proietta verso “Matera 2019”: settembre 2017/dicembre 2018.
Durante l’appuntamento annuale dell’Assemblea Diocesana saranno presentati i membri (sacerdoti, consacrati e consacrate, laici: un centinaio) che lavoreranno durante questi anni per avviare il percorso sinodale nelle vicarie, nelle parrocchie,in preparazione alla celebrazione del Sinodo. Questo comporta che il gruppo, rappresentativo dell’intera Arcidiocesi di Matera – Irsina, si incontri per progettare il metodo di lavoro, assuma i contenuti dell’EvangeliiGaudium, del Convegno ecclesiale di Firenze, delle quattro Costituzioni Conciliari, per aiutare le Vicarie e le Parrocchie a lavorare sinodalmente, non tralasciando quanto emerso durante la Visita Pastorale di Mons. Salvatore Ligorio. Si cercherà, così, di capire che cosa il Signore, oggi, chiede alla nostra Chiesa Diocesana: “Gesù in persona si accostò e camminava con loro”.
2 Il Vangelo è Gesù Cristo: Celebrazione del Sinodo Diocesano: gennaio 2019.
E’ il momento in cui si esprime la “Chiesa comunione”,guardando alla “missione” che Gesù le ha affidato. Non personalismi, interessi di parte, steccati secondo logiche o punti di vista, ma linguaggio di una Chiesa che prenda tra le mani il Vangelo e si lasci guidare dallo Spirito Santo.
Durante quest’anno ci saranno quattro sessioni di lavoro (fine settimana) per ascoltare, lavorare in gruppi di studio e assembleare. Così arriveremo ad una sessione conclusiva di sintesi, per elaborare delle normative che ci permettano di continuare il percorso sinodale.
3 Gustare i frutti del Sinodo. Attuazione dello stile sinodale dal gennaio 2020.
Questo stile diventa attuativo in tutte le Vicarie e nelle Parrocchie, non per imparare le norme e metterle in pratica, quanto piuttosto per avere un modus comuneche ci aiuti come Chiesa a crescere, maturare ed esprimere una fede adulta.
PREGHIERA PER IL PERCORSO SINODALE
Padre Santo e misericordioso,
effondi il tuo Santo Spirito
sulla nostra Chiesa di Matera – Irsina,
affinché possiamo camminare
sulle orme di Cristo, Via, Verità e Vita.
Desideriamo ascoltare la tua voce
perché, come tuo popolo,
crescendo nella comunione,
in questo percorso sinodale,
possiamo riflettere, confrontarci,
decidere insieme.
In ascolto della voce dello Spirito Santo,
tutto si compia secondo l’insegnamento
del tuo Figlio, Gesù,
percorrendo le strade del nostro territorio,
entrando nelle nostre case,
facendoci portatori della voce
di chi non ha voce.
Cambia i tramonti della vita
in aurore di risurrezione,
ravvivando, in tutti i membri
della nostra Chiesa locale,
l’ardoredel cuore, la luce degli occhi,
il cammino spedito di profeti coraggiosi.
Alla dolce Madre della tenerezza, Maria,
la nostra Madonna della difesa, della Bruna,
ci affidiamo quale compagna di viaggio che,
siamo certi, ci accompagnerà
pregando con noi e per noi
insieme ai nostri santi protettori,
Eufemia, Eustachio, Giovanni da Matera.
Amen.
†Don Pino, Arcivescovo