Vincenzo Maida, Centro Studi Jonico Drus): “Quando i bambini vestivano da monaci”. Di seguito la nota integrale.
Ricordi di un mondo che non esiste più e nel quale sacro e profano si confondevano e non era tutto schiacciato sulla mondanità, l’apparenza, la materialità.
C’era la ferma convinzione che altre forze, superiori, intervenivano nell’esistenza quotidiana.
Paganesimo e cristianesimo si mischiavano e si confondevano, dando all’esistenza un aspetto “magico” e cercando di ingraziarsi le forze spirituali positive.
Quando si riteneva che un bambino fosse stato guarito da una malattia oppure anche semplicemente si voleva che su di lui scendesse dal cielo la protezione della sua salute e lo salvaguardasse dalla malattie, lo si vestivo con un abitino monacale, da non confondere con il “monaciello”, che era una specie di satiro prodotto dalla fantasia popolare e che faceva dispetti.
Uno dei santi prediletti a cui dedicare quella vestizione era sant’Antonio.
Quell’abito doveva essere indossato almeno per un anno tutti i giorni.
Sia pure con meno frequenza anche le bambine venivano vestite con abiti da monache.
A cucire gli abiti su misura erano le sarte locali, che, per l’occasione, insieme alle loro apprendiste, si recavano a casa della famiglia interessata.
Trascorrevano lì l’intera giornata ed erano ospitate a pranzo. I rapporti umani erano in tal modo molto più profondi e veri.
L’altra usanza parallela a questa, era quella del “abitini”. Si trattava di sacchetti magici di stoffa a forma rettangolare che si appendevano al collo dei bambini o si cucivano sugli abiti per la sua protezione.
L’abitino per essere efficace veniva battezzato in chiesa.
Quei sacchetti potevano contenere: un pezzetto di ferro di cavallo “ferrato” per la prima volta, tre chicchi di grano, tre di sale o alcuni pizzichi acquistati da tabaccai diversi, tre di pepe, un pelo di cane nero, una fettuccia di stola del prete, tre crocette di paglia, qualche santino, pezzettini di ostia, un nastro senza misura, spilli in croce appuntati su un pezzo di tela, un pezzo di corda della campana, un pizzico di cenere, un po’ di crusca, due aghi legati in croce; tutti elementi sapientemente combinati a seconda dell’uso.
La composizione degli abitini non era decisa una volta per sempre, ma subiva aggiunte in considerazione di determinati momenti; ad esempio durante il periodo della dentizione vi si inserivano i denti di volpe.
Quel mondo è scomparso, si fanno pochi figli e la vacuità degli abiti firmati per i bambini, ha preso il posto di una tradizione secolare molto più pregna di significato.
Oggi che la criminalità minorile è in continua crescita, così come aumentano gli omicidi di minori, mentre diminuiscono costantemente quelli in generale, per quanto improbabile nelle stesse forme del passato, un ritorno ai valori del Sacro nell’infanzia potrebbe forse offrire più risultati dell’inutile retorica buonista.