L’articolo pubblicato lunedì 21 luglio sulla Nuova del Sud di Rossano Cervellera dal titolo “Matera 2019, nun te reggae più” offre certamente numerosi spunti di riflessione sul tema. Dopo aver letto il testo integrale riportato in basso, ci piacerebbe conoscere in merito cosa ne pensano i lettori di SassiLive.
Lo so, così si rischia di passare come un nemico del popolo. Come Ivan il terribile 32esimo, il cane della contessa Serbelloni Mazzanti vien dal mare inferocito contro Fantozzi e Filini, impiegati di concetto sottomessi ma a modo loro rivoluzionari.
Il fatto è che non se ne può più di ascoltare le parole “Matera capitale europea della cultura per il 2019”. Rino Gaetano ne avrebbe fatto una canzone in stile nun te reggae più. E’ diventato un mantra fastidiosissimo che spappola il cervello di quelli che ancora non l’hanno portato all’ammasso. Già, perché proprio questa di Matera 2019 rischia di essere ricordata come la più grande operazione conformistica della storia della città, forse della regione. Bombardamento mediatico a tappeto per creare un esercito di abitanti culturali (riuscire a capire cosa significhi è operazione ardua). Un cortometraggio dell’attore-regista Antonio Andrisani ha fotografato bene la situazione: sentinelle del consenso ad ogni angolo di strada per invogliare tutti a guardare uno dei film più noiosi della storia del cinema (sebbene sia considerato artisticamente e unanimemente un capolavoro). Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini come la corazzata Potemkin di Fantozzi, anche quello un capolavoro.
Tutti allineati e coperti a notare la bellezza del montaggio analogico, il particolare degli stivali dei soldati, della carrozzella col bambino e dell’occhio della madre, salvo poi bollare il film di Eisenstein come una “cagata pazzesca” non appena il giogo del potere si fa troppo oppressivo.
Ecco il rischio che corre davvero Matera 2019. Anche perché sono in tanti a cominciare a chiedersi che cosa abbiano prodotto in un anno e mezzo gli esperti del comitato scientifico per supportare una richiesta di candidatura a capitale europea della cultura. Un solo evento, uno solo, una novità (non iniziative “storicizzate” e solo marchiate con un bel logo, quello sì).
La verità è che anche questa operazione che è tutta politica (altro che cultura) è partita da un sindaco, Salvatore Adduce, che era il più scettico tra i candidati alla carica di primo cittadino nel 2010, sulla possibilità e sulla opportunità di avanzare la candidatura della città a capitale della cultura. “Bisogna volare basso, la città ha altri bisogni” ripeteva nei confronti tv e dai palchi dei comizi. Senza dimenticare, poi, che i primi passi verso il 2019 Adduce li ha mossi dopo che il presidente della Provincia, Franco Stella, ha tentato di sottrargli l’osso dalla bocca, incaricando il lucano Antonio Calbi, nato a San Mauro Forte ma milanese di adozione e con un curriculum professionale adeguato alla sfida, di far partire ufficialmente il percorso di candidatura. Venne approntato un documento firmato da 100 personalità della cultura a sostegno di Matera, ma poi arrivò la ragion di stato: decidiamo noi chi e cosa si deve fare, tuonò Adduce, spetta al Comune farlo non alla Provincia. Infastidito dal doversi occupare di una questione che non lo appassionava, Adduce, chiese aiuto al partito. E così da Torino, dopo trascorsi non proprio esaltanti alla guida del comitato Italia150, viene catapultato a Matera, Paolo Verri, l’uomo dei sogni, il banditore della città di Torino mandato in esilio, dorato naturalmente, nella colonia estiva del Pd, nella regione dove per i compagni ci sono sempre opportunità. Insieme a lui, direttamente dalle Visioni Urbane di regionale memoria, arriva un laureato in economia con incarichi al Ministero dello sviluppo economico e al Consiglio europeo, ex menestrello dell’antifascismo militante, che faceva impazzire le folle dei festival dell’Unità con il suo gruppo, i Modena City Ramblers, al suono di Bella Ciao in salsa etno-folk o combat-folk come piace dire a lui. A Matera porta un progetto UnMonastery creato dalla comunità Edgeryders (più facile scrivere in greco antico che spiegare cosa sia) di cui è cofondatore, finanziato dall’Ue e che usa Matera 2019 come cavia da laboratorio. In città arrivano questi non monaci, non sono esperti di nulla e in sei mesi di bivacco nei Sassi producono l’idea del pisolino libero in piazza Vittorio Veneto. Qualcuno doveva avvisarli che c’erano arrivati prima gli ambulanti africani della festa della Bruna, ma tant’è. Matera 2019 è tutta qui. In un battage della serie “facimm ammuin”, in uno slogan da lista civica (“Insieme”) che come parola chiave di una campagna di marketing poteva essere pensata gratis da uno studente del liceo artistico e con un dossier di candidatura che ancora non si capisce cosa conterrà. Tutto questo alla modica cifra di qualche milione di euro. Guai a dissentire però, potrebbe arrivare la scomunica. Perché tv e giornali fanno squadra nel diffondere il verbo conformista.
Abitante culturale alzati e cammina. Vai a vedere una mostra su Pasolini, organizzata a distanza di qualche settimana dal grande evento romano sulla vita del regista (dov’è l’originalità?). Inizialmente doveva costare qualche centinaia di migliaia di euro, ora i costi sono, dopo le polemiche, tenuti sotto il più stretto riserbo. In fin dei conti basta portare in gita a Roma qualche giornalista per sviare l’attenzione e il gioco è fatto.
Ora, bisogna dirlo, nei materani, la sindrome dello sfascio del carro è un carattere somatico e culturale dominante e ancestrale. Il materano nasce con la pulsione di insorgere e distruggere tutto quello che si costruisce. Niente a Matera si riesce a fare senza subire critiche feroci e respingere attacchi violenti. Nel caso di Matera 2019 però non c’è nulla da attaccare se non le scelte politiche e pseudoculturali che sono state fatte. Come quella di affidare ad un predestinato del mondo del design il ruolo di direttore artistico di una città che non aveva mai visto e di una comunità che sta tentando di conoscere senza successo, almeno a giudicare dalle sue improvvide interviste.
Qui non è in discussione la candidatura. Nessuno, tranne l’Adduce del 2010, potrebbe essere contrario all’idea. Qui è in discussione il percorso di candidatura, le scelte fatte, la macchina del consenso che sta uniformando le coscienze annullando o marginalizzando voci critiche e pensieri differenti.
“Vuolsi così colà dove si puote quel che si vuole e più non dimandare”, direbbe il Poeta.
Ma a Matera un Inferno così nessuno lo immagina. Si cambi strada e lo si faccia in fretta. Anche perché l’amico Enrico Letta non è più al governo e in molti, da Paolo Verri al presidente della Regione Pittella, ad un passo dal traguardo, iniziano a lanciare messaggi del tipo: se si perde non è un dramma. Troppo comodo. Davvero troppo, troppo, troppo comodo. Se si perde è un fallimento, altro che storie di finti monaci. È un fallimento perché non si è creato nulla, se non una serie di incarichi retribuiti. Cosa resterà se si fallisce? Una fondazione per drenare risorse e generare nuovi incarichi?
Intanto, in città si è tornato a costruire come a bei tempi, in ogni angolo disponibile. Gli abitanti culturali che hanno abbellito i balconi con i fiori stiano attenti: potrebbero rilasciare un permesso a costruire pure nei loro bei vasi marchiati Matera 2019.
Rossano Cervellera
complimenti per la lucidità e la fluidità nell’esporre. Non hai avuto timore del “Silenzio! il nemico ti ascolta” che nel ventennio era riportato anche sui muri di Aliano. Sic!! immaginarsi il nemico che arriva ad Aliano o più in generale a Matera se non in Basilicata. Tranquillo, per la Fondazione è una scatola vuota e quando il Santo sarà passato con tutta la festa anche la fondazione si dissolverà con buona pace di tutti. Almeno quei soldi e quei posti dove collocare vecchi arnesi ce li risparmieremo.
Bravo Cervellera!
Era ora che un giornalista uscisse fuori dal coro.
Materani non dobbiamo più accettare tutto questo in silenzio. Facciamoci sentire in tanti e proclamiamo il nostro disappunto per come il comitato Matera2019 ed il sindaco stanno portando avanti questa candidatura.
e ora di dire BASTA!!! non aspettiamo più altro tempo
Infatti penso che se la commissione dovesse scegliere Matera lo farebbe più per pena che per merito (l’unica città candidata a non avere infrastrutture degne di essere chiamate tali e la più sconosciuta di tutti), per tutto il rispetto che posso avere per Pasolini e le sue opere però sta diventando na fissa, con quello che sta costando questa operazione mi piacerebbe un inventiva più originale, capisco che le idee devono venire anche dal basso ma se dall’alto l’idea e la solita minestra pasoliniana stiamo messi male, tra l’altro tra le 6 candidate è l’unica città a non avere una università (visto che stanno chiudendo molte facoltà qui a matera) senza poi parlare del campus universitario che dovrebbe essere il fiore all’occhiello della città e cuore culturale…il sindaco che non dice niente e tace sul campus….bho…che pena poveri noi…
qualche mese fa lessi su internet, se non sbaglio, che il direttore di ravenna2019 disse che matera è la rivale più importante ma che avrebbero vinto loro perchè hanno l’università, siena ha l’università, perugia ha l’università, cagliari ha l’università, lecce ha l’università….Matera??…Matera ha il vangelo secondo matteo di pasolini…
Ho letto da qualche parte “…la volpe che non può arrivare all’uva…” condivido pienamente. C’è troppo livore e poca cognizione di causa in questo articolo, per poter pensare che si tratti di critiche costruttive fatte da una persona che ci tiene alla propria città. Da cittadino materano avrei apprezzato molto di più un articolo in cui qualcuno pur denunciando avesse fatto delle proposte, che probabilmente non sarebbero mai state prese in considerazione, ma io avrei letto la buona fede. In questo, caso mi dispiace dirlo, è molto difficile credere all’atto di coraggio di un giornalista…
Per quanto ci siano sempre e comunque ampi margini di miglioramento, criticare è sempre molto meno faticoso che suggerire come far meglio. In più, non me ne voglia l`autore dell`articolo ma alcune delle critiche mosse, oltre ad essere piuttosto sterili nella loro versione caricaturale, forse destinate a divertire il lettore più che a sottolineare reali negatività, ben rappresentano la sindrome da sfascio del carro che egli stesso denuncia.