12.370 fedeli abbracciano Papa Francesco a Matera. il Santo Padre Francesco, Vescovo di Roma con il suo elicottero ha raggiunto la città dei Sassi intorno alle 8,30 in auto a bordo della sua nota Fiat 500 L di colore bianco dopo aver cambiato all’ultimo momento la modalità per raggiungere Matera. A causa del maltempo non è stato più effettuato il viaggio in elicottero, che prevedeva l’atterraggio al Campo Scuola di Matera. Papa Francesco ha raggiunto la città dei Sassi con un volo aereo che ha previsto l’atterraggio all’aeroporto militare di Gioia del Colle e successivo trasferimento a Matera in auto.
Il Pontefice, accolto dalle massime autorità locali e dai vertici delle forze dell’ordine ha attraversato via Lazazzera, via Nazionale, incrocio via Annunziatella e via Marconi e ha raggiunto in Papamobile lo stadio XXI Settembre-Franco Salerno con ingresso da via Sicilia per la Santa Messa concelebrata con il clero delle Diocesi della Basilicata e con il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI).
Al suo arrivo il Pontefice ha attraversato il prato del XXI Settembre-Franco Salerno in Papamobile per salutare da distanza ravvicinata tutti i fedeli che hanno deciso di raggiungere lo stadio di Matera per seguire questo evento religioso che entra nella storia della città di Sassi.
Un grande palco allestito a ridosso della curva sud ha accolto Papa Francesco per due ore intense, particolarmente attese dalla comunità lucana ed in particolare dalla città di Matera, Civitas Mariae, patrimonio Unesco dal 1993, città della pace e dei diritti umani e capitale europea della cultura nel 2019.
Il palco allestito per Papa Francesco è di 36,5 x 16 metri. Allestito anche un palco laterale per il coro. Il Crocifisso installato sul palco è quello seicentesco proveniente dalla Basilica Cattedrale di Matera.
La celebrazione religiosa è stata allietata dal Coro dell’ “Orchestra Sinfonica di Matera – Città Capitale Europea della Cultura” riconosciuta di recente Orchestra “ICO” dal Ministero della Cultura grazie all’iniziativa del Conservatorio Duni di Matera diretto da Saverio Vizziello. Carmine Antonio Catenazzo ha diretto l’Orchestra Sinfonica di Matera, alla presenza di Sua Santità Papa Francesco, orchestra accompagnata da più di 500 coristi appartenenti alle diocesi di Matera e coordinati da Don Vito Burdo. Eseguite davanti a Papa Francesco musiche di Meneghello, Frisina, Parisi, Cerino, Francobandiera e Ferroni.
Al Santo Padre Francesco sono stati consegnati diversi doni. L’Amministrazione Comunale di Matera ha donato incisioni di Luigi Guerricchio mentre il sindaco Domenico Bennardi ha donato un dipinto raffigurante la Madonna della Bruna di un’artista di Matera. L’associazione Cna Matera ha donato un cucù in terracotta realizzato dall’artista materano Mario Daddiego, l’Associazione Maria Santissima della Bruna ha donato un cherubino di cartapesta realizzato da giovane mamma materana, Annalisa. Il puttino da lei realizzato e personalizzato riporta la scritta “Realizzato in occasione del XXVII C.E.N. 2022 – Ass. Maria SS. della Bruna – Matera”. L’associazione materana ha donato al Pontefice anche uno splendido documentario fotografico di Giorgio Cossu dal titolo “La Signora Della Cartapesta. L’effimero a Matera” (Nane Edizioni), che testimonia il grande valore di quest’arte “povera”, la cartapesta, da molti considerata un’arte minore e che proprio a Matera, invece, costituisce una ricchezza ed una eccellenza del territorio.
A Papa Francesco è stato donato anche “Il pane dell’alleanza” preparato al Salone del gusto di Torino “Terra madre” nello stand allestito da Slowfood e panificatori materani. L’iniziativa è stata sostenuta dalla Regione Basilicata e realizzata insieme a Slow Food Basilicata, con la collaborazione del Comune di Matera. l rito celebrativo, ospitato nello stand lucano, animato da più di 50 eventi dedicati al tema Lieviti e Fermenti: forze di rigenerazione, è stato realizzato per promuovere la vicinanza ai valori del Congresso Eucaristico Nazionale che si è svolto a Matera, per fare della condivisione collettiva la leva di sostegno per l’umanità. Unire le energie e i fermenti, far lievitare valori di pace, mescolare le diversità e creare nuovi ponti per accogliere e incoraggiare sentimenti di unione, gioia e convivialità: con questi principi universali il Pane dell’Alleanza ha lanciato un messaggio di pace nel mondo. E con questo spirito, il pane realizzato per la prima volta con un esperimento collettivo di rigenerazione con i lieviti madre dell’Alleanza, provenienti da tutta Italia per creare il Pane Nostro, è stato donato questa mattina a Papa Francesco, in occasione della sua visita pastorale a Matera, per rendere un omaggio ai valori di unione, comunione, solidarietà e nutrimento giusto per il pianeta.
Prima di lasciare la città dei Sassi Papa Francesco ha visitato la nuova Mensa della fraternità “Don Giovanni Mele” realizzata in via Cererie dall’impresa edile di Francesco Tamburrino e donata dalla Fondazione Egidio Tamburrino all’associazione Don Giovanni Mele. Il Papa è stato accolto dalla presidente della Mensa della fraternità “Don Giovanni Mele”, Maria Rosaria Di Muro.
Michele Capolupo
Visita Papa Francesco a Matera, messaggio del presidente della Regione Basilicata Vito Bardi
Grazie Papa Francesco per averci donato una bellissima domenica di preghiera. Una giornata che resterà nella storia di Matera e della Basilicata. La sue parole “per l’Italia chiederei più nascite, più figli” sono un monito per tutti noi.
VIDEO PAPA FRANCESCO IN PAPAMOBILE A MATERA
FOTO E VIDEO VISITA PAPA FRANCESCO ALLA MENSA DEI POVERI “DON GIOVANNI MELE”
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La fotogallery della visita di Papa Francesco a Matera (foto www.SassiLive.it)
TESTO OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO A MATERA
Ci raduna attorno alla sua mensa il Signore, facendosi pane per noi: «È il pane della festa sulla tavola dei figli, […] crea condivisione, rafforza i legami, ha gusto di comunione» (Inno XVII Congresso Eucaristico Nazionale, Matera 2022). Eppure, il Vangelo che abbiamo appena ascoltato ci dice che non sempre sulla tavola del mondo il pane è condiviso: questo è vero; non sempre emana il profumo della comunione; non sempre è spezzato nella giustizia.
Ci fa bene fermarci davanti alla scena drammatica descritta da Gesù in questa parabola che abbiamo ascoltato: da una parte un ricco vestito di porpora e di bisso, che sfoggia la sua opulenza e banchetta lautamente; dall’altra parte, un povero, coperto di piaghe, che giace sulla porta sperando che da quella mensa cada qualche mollica di cui sfamarsi. E davanti a questa contraddizione – che vediamo tutti i giorni – davanti a questa contraddizione ci chiediamo: a che cosa ci invita il sacramento dell’Eucaristia, fonte e culmine della vita del cristiano?
Anzitutto, l’Eucaristia ci ricorda il primato di Dio. Il ricco della parabola non è aperto alla relazione con Dio: pensa solo al proprio benessere, a soddisfare i suoi bisogni, a godersi la vita. E con questo ha perso anche il nome. Il Vangelo non dice come si chiamava: lo nomina con l’aggettivo “un ricco”, invece del povero dice il nome: Lazzaro. Le ricchezze ti portano a questo, ti spogliano anche del nome. Soddisfatto di sé, ubriacato dal denaro, stordito dalla fiera delle vanità, nella sua vita non c’è posto per Dio perché egli adora solo sé stesso. Non a caso, di lui non si dice il nome: lo chiamiamo “ricco”, lo definiamo solo con un aggettivo perché ormai ha perduto il suo nome, ha perduto la sua identità che è data solo dai beni che possiede. Com’è triste anche oggi questa realtà, quando confondiamo quello che siamo con quello che abbiamo, quando giudichiamo le persone dalla ricchezza che hanno, dai titoli che esibiscono, dai ruoli che ricoprono o dalla marca del vestito che indossano. È la religione dell’avere e dell’apparire, che spesso domina la scena di questo mondo, ma alla fine ci lascia a mani vuote: sempre. A questo ricco del Vangelo, infatti, non è rimasto neanche il nome. Non è più nessuno. Al contrario, il povero ha un nome, Lazzaro, che significa “Dio aiuta”. Pur nella sua condizione di povertà e di emarginazione, egli può conservare integra la sua dignità perché vive nella relazione con Dio. Nel suo stesso nome c’è qualcosa di Dio e Dio è la speranza incrollabile della sua vita.
Ecco allora la sfida permanente che l’Eucaristia offre alla nostra vita: adorare Dio e non sé stessi, non noi stessi. Mettere Lui al centro e non la vanità del proprio io. Ricordarci che solo il Signore è Dio e tutto il resto è dono del suo amore. Perché se adoriamo noi stessi, moriamo nell’asfissia del nostro piccolo io; se adoriamo le ricchezze di questo mondo, esse si impossessano di noi e ci rendono schiavi; se adoriamo il dio dell’apparenza e ci inebriamo nello spreco, prima o dopo la vita stessa ci chiederà il conto. Sempre la vita ci chiede il conto. Quando invece adoriamo il Signore Gesù presente nell’Eucaristia, riceviamo uno sguardo nuovo anche sulla nostra vita: io non sono le cose che possiedo o i successi che riesco a ottenere; il valore della mia vita non dipende da quanto riesco a esibire né diminuisce quando vado incontro ai fallimenti e agli insuccessi. Io sono un figlio amato, ognuno di noi è un figlio amato; io sono benedetto da Dio; Lui mi ha voluto rivestire di bellezza e mi vuole libero, mi vuole libera da ogni schiavitù. Ricordiamoci questo: chi adora Dio non diventa schiavo di nessuno: è libero. Riscopriamo la preghiera di adorazione, una preghiera che si dimentica con frequenza. Adorare, la preghiera di adorazione, riscopriamola: essa ci libera e ci restituisce alla nostra dignità di figli, non di schiavi.
Oltre al primato di Dio, l’Eucaristia ci chiama all’amore dei fratelli. Questo Pane è per eccellenza il Sacramento dell’amore. È Cristo che si offre e si spezza per noi e ci chiede di fare altrettanto, perché la nostra vita sia frumento macinato e diventi pane che sfama i fratelli. Il ricco del Vangelo viene meno a questo compito; vive nell’opulenza, banchetta abbondantemente senza neanche accorgersi del grido silenzioso del povero Lazzaro, che giace stremato alla sua porta. Solo alla fine della vita, quando il Signore rovescia le sorti, finalmente si accorge di Lazzaro, ma Abramo gli dice: «Tra noi e voi è stato fissato un grande abisso» (Lc 16,26). Ma l’hai fissato tu: tu stesso. Siamo noi, quando nell’egoismo fissiamo degli abissi. Era stato il ricco a scavare un abisso tra lui e Lazzaro durante la vita terrena e adesso, nella vita eterna, quell’abisso rimane. Perché il nostro futuro eterno dipende da questa vita presente: se scaviamo adesso un abisso con i fratelli e le sorelle –, ci “scaviamo la fossa” per il dopo; se alziamo adesso dei muri contro i fratelli e le sorelle, restiamo imprigionati nella solitudine e nella morte anche dopo.
Cari fratelli e sorelle, è doloroso vedere che questa parabola è ancora storia dei nostri giorni: le ingiustizie, le disparità, le risorse della terra distribuite in modo iniquo, i soprusi dei potenti nei confronti dei deboli, l’indifferenza verso il grido dei poveri, l’abisso che ogni giorno scaviamo generando emarginazione, non possono – tutte queste cose – lasciarci indifferenti. E allora oggi, insieme, riconosciamo che l’Eucaristia è profezia di un mondo nuovo, è la presenza di Gesù che ci chiede di impegnarci perché accada un’effettiva conversione: conversione dall’indifferenza alla compassione, conversione dallo spreco alla condivisione, conversione dall’egoismo all’amore, conversione dall’individualismo alla fraternità.
Fratelli e sorelle, sogniamo. Sogniamo una Chiesa così: una Chiesa eucaristica. Fatta di donne e uomini che si spezzano come pane per tutti coloro che masticano la solitudine e la povertà, per coloro che sono affamati di tenerezza e di compassione, per coloro la cui vita si sta sbriciolando perché è venuto a mancare il lievito buono della speranza. Una Chiesa che si inginocchia davanti all’Eucaristia e adora con stupore il Signore presente nel pane; ma che sa anche piegarsi con compassione e tenerezza dinanzi alle ferite di chi soffre, sollevando i poveri, asciugando le lacrime di chi soffre, facendosi pane di speranza e di gioia per tutti. Perché non c’è un vero culto eucaristico senza compassione per i tanti “Lazzaro” che anche oggi ci camminano accanto. Tanti!
Fratelli, sorelle, da questa città di Matera, “città del pane”, vorrei dirvi: ritorniamo a Gesù, ritorniamo all’Eucaristia. Torniamo al gusto del pane, perché mentre siamo affamati di amore e di speranza, o siamo spezzati dai travagli e dalle sofferenze della vita, Gesù si fa cibo che ci sfama e ci guarisce. Torniamo al gusto del pane, perché mentre nel mondo continuano a consumarsi ingiustizie e discriminazioni verso i poveri, Gesù ci dona il Pane della condivisione e ci manda ogni giorno come apostoli di fraternità, apostoli di giustizia, apostoli di pace. Torniamo al gusto del pane per essere Chiesa eucaristica, che mette Gesù al centro e si fa pane di tenerezza, pane di misericordia per tutti. Torniamo al gusto del pane per ricordare che, mentre questa nostra esistenza terrena va consumandosi, l’Eucaristia ci anticipa la promessa della risurrezione e ci guida verso la vita nuova che vince la morte.
Pensiamo oggi sul serio al ricco e a Lazzaro. Succede ogni giorno, questo. E tante volte anche – vergogniamoci – succede in noi, questa lotta, fra noi, nella comunità. E quando la speranza si spegne e sentiamo in noi la solitudine del cuore, la stanchezza interiore, il tormento del peccato, la paura di non farcela, torniamo ancora al gusto del pane. Tutti siamo peccatori: ognuno di noi porta i propri peccati. Ma, peccatori, torniamo al gusto dell’Eucaristia, al gusto del pane. Torniamo a Gesù, adoriamo Gesù, accogliamo Gesù. Perché Lui è l’unico che vince la morte e sempre rinnova la nostra vita.