Un materano che vuole conoscere davvero a fondo la sua città deve inserirlo nella sua personale biblioteca e un ospite che viene a visitarla non può lasciare la città dei Sassi senza “Matera Cityscape. La città nascosta”. Il nuovo libro di Nico Colucci arriva a distanza di dieci anni dalla prima edizione ed è stato realizzato con il contributo di Alberto Giordano, che definisce il volume “una minestra sui Sassi” La presentazione ufficiale è avvenuta nella sala Levi di Palazzo Lanfranchi con la presenza del Direttore del Polo museale regionale della Basilicata, Marta Ragozzino, del Sindaco di Matera Raffaele De Ruggieri, del Rettore dello Iuav di Venezia, Amerigo Restucci, l’architetto Mario Cucinella e dei due autori. In videoconferenza si è collegato Leonardo Sonnoli, l’autorevole graphic designer che ha firmato questa edizione. L’incontro è stato moderato dal giornalista materano Rossano Cervellera che ha curato la prefazione.
Nico Colucci e Alberto Giordano scrivono nell’introduzione al libro, edito da Librìa:
“Già da tempo avevamo pensato ad una riedizione di Matera Cityscape.
Ma sono passati dieci anni. Le fotografie che allora fornivano una lettura attenta e profonda dell’architettura dei Sassi, non sarebbero più state sufficienti a far comprendere quanto i Sassi si siano modificati, soprattutto nei suoi spazi scavati e costruiti.Quelle foto si sono storicizzate.
Dunque, oggi, un nuovo libro, non una riedizione.
Accanto a tutto ciò che pubblicammo nel 2004, riveliamo la parte più nascosta dei Sassi. Il loro ventre. Quegli ambienti così segreti da rimanere quasi intatti per millenni, ma che oggi sono sapientemente riusati. Proponiamo una narrazione di questa nuova linfa vitale. Dalla Grotta dei pipistrelli, luogo ancestrale ed ancora oggi inaccessibile a molti, fino al Palazzo Lanfranchi con il suo Museo. E poi, il Musma, Casa Cava, Casa Ortega. Luoghi della cultura, dove la si esibisce e allo stesso tempo la si produce. Un propulsore per il futuro sviluppo di un intero territorio.
Un’operazione delicata, lontana dal roboante uso che si fa da qualche anno della fotografia. Specialmente quella martellante sui social media e sulla rete internet in generale.
Un ritorno alla fotografia vera, quella da meditazione.
Il nuovo libro che prendeva forma nelle nostre discussioni corrispondeva dunque ad un progetto molto più complesso al quale doveva corrispondere anche un adeguato progetto grafico. E qui entra in ballo la qualificata opera di Leonardo Sonnoli, dello studio Tassinari/Vetta, che è riuscito a mettere magistralmente insieme i contenuti della vecchia edizione con i nuovi.
Un’edizione pensata e realizzata come un prezioso manufatto artigianale, in stretta continuità con l’eredità del nostro passato.”
Il libro, di 216 pagine, ripropone una selezione di foto in bianco e nero della prima edizione, scattate tra il 1990 e il 2003, oltre ai relativi testi di Mario Cresci, Mattia Antonio Acito, Lawrence Halprin, Tomas Herzog, Giampiero Maruggi e Renzo Piano.
La nuova parte comprende 92 nuove fotografie a colori e testi di Mario Cucinella, Raffaello De Ruggieri, Francesco Foschino, Daniele Kihlgren, Ina Macaione, Marta Ragozzino, Susumu Shingu, Armando Sichenze, Paolo Tritto, Paolo Verri, Raffaele Vitulli.
Un mosaico di opinioni dal quale emerge un quadro complesso, come complessa è la realtà dei Sassi e di Matera. Persone impegnate in diversi campi della cultura, con esperienze diverse. Alcune non materane, ma che con la città hanno interagito.
Rossano Cervellera nella prefazione scrive: “Matera è una città senza tempo, da qualunque angolazione la si guardi risulta impossibile capire l’età dei suoi edifici. Passeggiando per i vicoli e i vicinati si ha la sensazione di entrare in una gigantesca macchina della storia, silenziosa e per questo ancora più affascinante. Un percorso fatto di luce e di ombre permette di percepire l’essenza stessa di un civiltà.
Il bello di una città senza tempo è che non può invecchiare. E’ sempre attuale; è perennemente in bianco e nero perchè la sua è una visione che sublima l’alternanza di spazi pieni e di spazi vuoti. Ecco perchè il bianco e nero usato per le fotografie di Matera Cityscape. Non avrebbe avuto senso rappresentarla a colori perchè il colore non avrebbe consentito di apprezzare veramente la bellezza degli edifici che è fatta di semplicità. Non ci sono stili particolari. I Sassi di Matera, com ha detto lo scultore Josè Ortega che aveva scelto Matera come fonte di ispirazione per la sua arte, non son stati progettati da architetti e ingegneri ma da artigiani. Sono la quintessenza della creatività popolare. Uomini che hanno plasmato il territorio piegandolo alle loro esigenze. Non hanno consumato spazio, l’hanno creato strappandolo alla roccia. Quando le esigenze familiari lo richiedevano, ad esempio per la nascita di un figlio, il capofamiglia picconava la roccia per ricavare un altro ambiente. Per raggiungere la propria abitazione disegnava scalinate per rendere meno ardue anche le salite. Realizzava punti di incontro, spiazzi e vicinati per socializzare con gli altri abitanti della città. Il tutto puramente e semplicemente per esigenza. I Sassi sono concretezza, non si costruiva nulla che non servisse veramente, ma nel contempo sono l’emblema della vita in comune. Case addossate le une alle altre in una sorta di reticolo che non consente di capire dove finisce un’abitazione e dove ne inizia un’altra. In quest’ottica anche il concetto di proprietà assume un significato particolare. Si vive in simbiosi, perchè le asperità del territorio, le difficoltà della vita, rendono necessaria la creazione di una comunità coesa, viva e pronta a sostenersi, così come le case si sostengono le une con le altre. I muri di un’abitazione diventano portanti per quella che le sta di sopra. I Sassi sono un’opera di ingegneria spontanea, non pianificata, frutto solo dell’esperienza e della volontà umana. In questa visione della vita c’è tanta spiritualità. La spiritualità diffusa che si trova naturalmente negli insediamenti rupestri. Gli abitanti dei Sassi, abituati a lottare con la natura aspra del proprio habitat, avevano chiaro il senso della divinità e hanno sviluppato in modo straordinario il senso della religiosità. Tutti uguali e per questo tutti vicini a Dio. Gli affreschi stupendi scavate anch’esse nella roccia in grotte dove i rumori non esistono, ambienti fatti per la meditazione e la preghiera, realizzati per sentirsi parte del Creato, per connettersi a Dio.
Per spiegare bene tutto questo, la scelta di Nico Colucci di compiere un percorso alla ricerca della luce, partendo dall’interno delle cavità rupestri e dagli ambienti costruiti, recuperati in maniera egregia dalle cavità rupestri e dagli ambienti costruiti, recuperati in maniera egregia e adattati alle esigenze di vita attuali, appare estremamente densa di significato. Perchè i Sassi hanno una corazza impermeabile al trascorrere del tempo, ma ne conservano i segni, custudiscono la loro anima, dentro di sè. Per coglierla bisogna visitarli anche all’interno dove la luce scarseggia, dove si ha la sensazione netta che la casa sia un rifugio, non un accogliente nido. La vita nei Sassi si svolge fuori dall’abitazione. Dentro si sta per mangiare, per dormire, per scaldarsi attorno al braciere d’inverno o per ripararsi dal sole caldo dell’estate. Un rifugio per tutta la famiglia e un rifugio per gli animali che sono parte della famiglia, perchè costituiscono l’unica risorsa di vita insieme a quello che produce la terra. Per cogliere bene questi aspetti il bianco e nero non basta più. Occorre il colore, occorrono le sfumature che trasformano un ambiente grigio e con poca luce in uno spazio dove la vita è trascorsa allo stesso modo per secoli, per migliaia di persone.
Serve il colore perchè l’interno degli edifici dei Sassi è pieno di dettagli che solo il colore può rendere visibili. Ecco spiegato il perchè ha senso fotografare a colori. I colori rendono visibile il tempo. Il Palombaro, la grane cisterna di raccolta di acqua piovana che scorre sotto la piazza principale della città spiega più di mille parole questa necessità. Le sue pareti hanno sfumature di verde che testimoniano il trascorrere dei secoli attraverso il livello dell’acqua che riempiva la cisterna. Il tempo torna visibile e ti intimorisce, ti fa sentire piccolo.
Si entra in una grotta apparentemente uguale alle altre ma una volta dentro lo sguardo si apre alla visione della Cripta del Peccato Originale ed è facile provare un senso di smarrimento simile a quello provocato dalla sindrome di Stendhal. La fotografia di Nico Colucci permette di penetrare questi aspetti della città, del territorio, della comunità. In altre parole introduce e prepara il lettore ad osservare quello che i Sassi, le Chiese rupestri, gli ambienti costruiti, la Murgia, il territorio offrono. Le sensazioni, i rumori, gli odori, le foto non possono riprodurli, ma si ci si concentra si contemplano le immagini, ci si compenetra in esse, sembra quasi di poterle sentire quelle sensazioni. Sembra quasi di poter sentire Matera in tutta la sua essenza, la sua vita, la sua straordinarietà”.
A margine della presentazione ufficiale di Matera Cityscape. La città nascosta in un’altra sala di Palazzo Lanfranchi è stata inaugurata la mostra fotografica di Nico Colucci “Paesaggi probabili”. Opere, in formato panoramico, che illustrano una Matera diversa, immaginaria, ma al tempo stesso reale. Immagini, non fotografie questa volta.
Come afferma Nico Colucci, rispondendo alla domanda: quanti paesaggi è possibile scorgere a Matera? “infiniti, ma tutti derivati da una matrice unica, la roccia calcarenitica, con tante possibilivarianti di scavo e di costruito. Esistono dunque infiniti paesaggi reali, ma altrettanti probabili”.
Nico Colucci compie un’operazione di decostruttivismo fotografico che trovano riferimenti nell’arte di Escher o nelle architetture di Frank Gery. Nei suoi montaggi l’elemento ordinatore è la materia, la calcarenite, che consente di mettere insieme elementi reali, ma che nella realtà sono fisicamente distanti tra loro.
La fotogallery di www.SassiLive.it dedicata alla Nico Colucci presenta “Matera Cityscape. La città nascosta” e la mostra fotografica “Paesaggi probabili” a Palazzo Lanfranchi