Il 9 dicembre 1993 a Cartagena si registrava un momento storico per la città di Matera: l’inserimento dei Sassi e dell’altopiano murgico con le chiese rupestri tra i siti tutelati dall’Unesco. Una data memorabile anche perchè per la prima volta era un sito del Sud Italia a beneficiare di questa scelta. L’Icomos, il Consiglio internazionale dei monumenti e dei siti Unesco, in collaborazione con l’Università di Basilicata e altri partner celebra con una serie di incontri dall’11 al 14 dicembre a Matera nell’ex ospedale San Rocco le speciali “nozze d’argento” tra Matera e l’Unesco. A sollecitare l’inserimento di Matera nell’Unesco fu l’architetto Pietro Laureano, materano d’adozione che oggi ricopre il ruolo di presidente dell’Icomos. Pietro Laureano ha sottolineato la necessità di recuperare funzioni e valori della città sotterranea, poco conosciuta dai turisti, e di trasmettere le buone pratiche di restauro ad altre realtà del comprensorio rupestre e dell’area mediterranea.
“Il turismo – ha dichiarato Laureano – ha fatto bene a Matera, che altrimenti oggi sarebbe una città morta con i rioni Sassi nel degrado. Certamente va gestito in maniera organica, e ancora una volta Matera, con la elaborazione della strategia del turista come abitante temporaneo, può dare indicazioni per altre città d’arte che soffrono gli stessi problemi come Firenze, Venezia e Londra. L’esperienza di iscrizione nell’Unesco offre, sotto questo aspetto, delle opportunità. Quanto a Matera occorre tutelare e recuperare la città sotterranea, non ancora completamente visitabile adottando metodi di restauro rispettosi di questo immenso patrimonio. Visualizzare l’habitat e le tecniche idriche dei villaggi preistorici. E riorganizzare i sistemi d’acqua su cui si è fondata la città. Essi – ha concluso – possono costituire un ulteriore richiamo per Matera, ma occorre evitarne degrado e abbandono”.
Laureano ha inoltre lanciato un appello al Comune di Matera affinchè venga istituito l’Ufficio Unesco e riattivato l’Ufficio Sassi, per valutare attentamente le scelte sulla concessione di immobili e locali, dando priorità a chi vuole investire sui laboratori artigiani che rilanciano gli antichi mestieri.
Di seguito l’intervista rilasciata al quotidiano “Il Sole 24 Ore” da Pietro Laureano per il convegno di Matera
Matera festeggia i 25 anni di Unesco con un vertice degli studiosi Icomos e guarda a “Matera 2019”
Ci sono dei momenti che cambiano il destino di persone, luoghi, famiglie, Paesi. Uno di questi, per Matera, forse quello decisivo perché ha aperto il cammino successivo trasformando la percezione della città, coincide con il 9 dicembre 1993: quando l’Unesco ne annuncia l’inserimento nel Patrimonio dell’Umanità. È la prima città del Sud a conquistare questo traguardo, che ha un nome e un cognome: Pietro Laureano, architetto nato a Tricarico, il paese di Rocco Scotellaro, e poi trasferitosi nella città dei Sassi a cinque anni, laureatosi a Firenze e da lì divenuto esperto per l’Unesco delle oasi del deserto e delle città di pietra. È il suo studio, confluito nel libro Giardini di pietra (Bollati Boringhieri, recensito su Domenica da Andrea Casalegno il 2 gennaio 1994) a convincere gli esperti dell’organizzazione mondiale che Matera e i Sassi sono una realtà unica da proteggere e valorizzare.
Dall’11 al 14 dicembre prossimi Laureano porta a Matera gli studiosi dell’Icomos (L’International Council on Monuments and Sites istituito dall’Unesco) per fare un bilancio di questi 25 anni, lanciare il programma di Matera 2019 – è già cominciato il conto alla rovescia per il 19 gennaio, quando si apriranno le danze della Capitale Europea della Cultura – e capire se si può fare di più, meglio e come.
In questo colloquio con il Sole 24 Ore l’architetto anticipa i contenuti e ripercorre una storia non priva di momenti complicati. Come quando «me ne sono andato, in polemica, perché il Comune voleva destinare parte dei Sassi a Valtur. Facemmo una campagna stampa per dire “no”, a Roma, durante il convegno “Sassi e secoli”nel febbraio 2001. C’era Tullio Tentori che raccontò cose ancora ignote. Lui era nella commissione dell’ Unrra Casas che aveva valutato lo stato dei Sassi e poi portò all’evacuazione degli abitanti: non dissero che tutte le case erano malsane, ma che solo una percentuale lo era, e non si pronunciarono a favore dello sfollamento dei rioni.
Lo studio andò perso, non si è mai ritrovato: fu una scelta politico-economica quella di svuotare tutto, in modo da ottenere finanziamenti per fare nuove case. Da lì si creò un destino di Matera fondato sul mattone: è vero che i quartieri nuovi furono progettati da grandi urbanisti ma è vero anche che nacquero satelliti lontani dalla parte storica che fecero salire il valore immobiliare nelle aree intermedie. Ne derivò un tipo di impresa basata solo sulla costruzione. Io arrivai nel ’91 e si continuava a edificare anche se non c’era domanda, mentre la proposta di tornare ad abitare nei Sassi non era conveniente perché faceva diminuire il valore di quell’operazione. Oppure l’idea era di intervenire nei Sassi con la logica dell’ammodernamento totale, con iniezioni di cemento ecc. Io ho foto e diapositive che lo testimoniano. Tutto questo è stato fermato grazie all’Unesco».
La soluzione fu l’incentivo al rientro degli abitanti con un processo di restauro fatto da imprese locali, secondo criteri adeguati: «Chi restaurava una casa poteva contare su un contributo dal 30 al 50 del costo dell’intervento. Allora nessuno ci credeva, la gente non voleva tornare, si vergognava. Invece pian piano le cose sono cambiate».
Quel 9 dicembre, a Cartagena, è la consacrazione della svolta: «Ho fatto una lettura di Matera come luogo geniale, abitato dal 6mila AC, dove le pratiche di abitazione nelle caverne si sono perpetuate in modo unico al mondo, ma dove soprattutto la raccolta dell’acqua e il modello di sostenibilità, di energia passiva, di architettura adattata, basata sulla comunità sono vincenti. I turisti cominciarono ad arrivare, primi fra tutti i giapponesi».
Oggi Matera è irriconoscibile, nel senso che è a tutti gli effetti una città meta del turismo nazionale e internazionale, un dato impensabile solo due decenni fa. Dopo essere stata “scoperta”, a partire dal ’93, è lentamente cresciuta – grazie anche ad alcuni film girati nei Sassi che le hanno dato grande popolarità – fino all’esplosione di oggi, che suscita anche delle polemiche: c’è chi vede un che di effimero nella vicenda di Matera 2019, che potrebbe non tradursi in un benessere reale. Ma Laureano non ci sta.
«Io non credo alle anime belle che dicono “ah, il turismo sta distruggendo la città”. Sono fenomeni che si possono gestire. Si accettano Venezia, Firenze, Londra, e non si può perdonare a Matera di vivere questa situazione? Dobbiamo rimanere con l’immondizia nei Sassi? Certo che ci sono dei danni, qualità che si perdono e su questo dobbiamo lavorare. Però la città è rinata, la città è un’altra cosa. E poi vediamo anche i pregi: spesso l’occhio del turista cerca il luogo tradizionale, ben restaurato. Infatti a Matera si è creato uno standard per cui il privato stesso sa che deve recuperare in un certo modo. Naturalmente si può fare molto di più».
Questo “di più” risiede anche nell’offerta culturale, da migliorare e allargare. «Oggi si arriva in città e si parte, in velocità. Ma se io dico al visitatore “andando via non vedrai il villaggio neolitico più grande del mondo con le sue capanne, le centinaia di chiese scavate nella roccia, la mostra in cui Matera è paragonata a Petra, a Gerico… e poi non vedrai i dintorni: la rabatana di Tursi, i calanchi di Aliano e così via”. L’approdo in Basilicata diventa un viaggio di almeno una settimana, un coast to coast con il mare dentro e un’offerta diversificata».
A proposito di offerta culturale, la mostra con cui si apre Matera 2019, «Ars Excavandi», è a cura proprio di Laureano. Vi si ritrovano i temi a lui più cari, ma non solo. «La storia di Matera nasce con i primi studi del Paleolitico. La sua immagine è la vita nelle grotte, che sono l’abitazione ma direi anche il tempio dell’uomo primitivo. Un passato dimenticato, in realtà per me un’attualità da utilizzare, un riferimento non solo culturale ma anche un’indicazione per il futuro. La mostra punta a farci chiedere chi siamo noi, veramente: si entra in un tunnel spazio temporale nel museo Ridola e si fa un’esperienza immersiva, tridimensionale, attraverso un percorso labirintico. L’idea è che il tempo è un’illusione: tutte le realtà sono contemporanee e tutte le civiltà sono attuali. Ci sono diversi interrogativi (chi ha inventato gli occhiali da sole, quale è la città più antica del mondo, chi ha inventato gli sci) e il visitatore nel percorso troverà la risposta: avevano fatto tutto gli uomini del Paleolitico. La conclusione è che noi siamo quello che conosciamo, siamo quello che sappiamo. Oggi cerchiamo modelli alternativi, dobbiamo rifarci a un pensiero antico che può portarci a capire le piante, gli animali, gli altri esseri e a creare un mondo più armonioso».
Questo, osserva Laureano, è il messaggio, e Matera può trasmetterlo con grande efficacia.