Riportiamo di seguito la meditazione di S. Ecc. Mons. Antonio Giuseppe Caiazzo per la terza Domenica di Quaresima. Di seguito il testo integrale.
Non sempre è comprensibile cosa Gesù voglia dire. Gli apostoli, gli scribi, i farisei, i sommi sacerdoti, lo stesso Pilato spesso non riescono a comprendere le sue parole. In realtà non è Gesù enigmatico: piuttosto è la scarsa conoscenza che gli uomini, anche quelli che frequentano le nostre parrocchie, hanno di Gesù.
A volte, in questo percorso di conoscenza, prevale un puro sentimentalismo fatto di sensazioni, emozioni destinate inevitabilmente a finire. Altre volte si sprofonda nella ricerca del miracolismo, vagando di luogo in luogo, di pellegrinaggio in pellegrinaggio. Altre volte ancora si coltiva in modo eccessivo un devozionalismo che è esattamente il contrario della devozione: ricerca di segni straordinari, di reliquie da toccare, di statue di santi perennemente in tour per raccogliere denaro o essere riempite di oggetti d’oro, retaggio di tradizioni religiose completamente svuotate del sacro dove l’esteriorità è più importante di ciò che si festeggia.
Anche noi corriamo il rischio dei venditori e dei cambiavalute davanti al tempio nel momento in cui il cuore di noi credenti diventa un bazar, un ipermercato dove si vende di tutto e di più: «Avete ridotto il tempio del Padre mio in una spelonca di ladri».
Abbiamo bisogno, invece, di incontrare l’uomo Gesù con il quale stare, dialogare, da ascoltare, da cui imparare ad avere il coraggio di scegliere, scoprendo il Dio Gesù. Incontro imprescindibile che ci fa capire come ogni battezzato è tempio dello Spirito Santo, quindi abitazione di Dio: questo dovrebbe bastarci per saper scegliere secondo la sua volontà.
Ci sono momenti in cui portare la croce è difficilissimo. A volte ci schiaccia. Questo linguaggio è duro da capire, incomprensibile, non è umano. Eppure abbiamo sentito, nella seconda lettura, S. Paolo che diceva che la croce «è potenza di Dio e sapienza di Dio» (1 Cor 1,24). É il solo segno che Gesù ci offre: la sua croce. E la croce è il segno dell’offerta della vita di Gesù per noi. Comprendiamo, allora, il valore delle parole di Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,19). Questa è la sapienza di Dio.
Alla luce di queste considerazioni possiamo, quindi, dire che il gesto di Gesù, di buttare all’aria il mercato allestito davanti al tempio, di prendere le cordicelle con le quali sferza i venditori, non va visto come un atto di impazienza. Era tutto previsto dalla legge. Infatti, per offrire i sacrifici di animali nel tempio, bisognava comprarli nei locali al di fuori e pagare non con la moneta romana che non poteva assolutamente varcare la soglia, perché vi era impressa l’immagine dell’Imperatore. Gesto che Gesù stesso avrà compiuto diverse volte, come tutti i frequentatori del Tempio.
Qual è allora il significato di questo atteggiamento apparentemente impaziente di Gesù? Sicuramente è un richiamo all’interiorità, a non fermarsi a comportamenti esteriori che non incidono sul cambiamento della nostra vita.
Comprendiamo come la Quaresima è un tempo forte perché bussa in modo deciso alla nostra vita e ci chiede un cambiamento radicale. Un cammino così fatto ci fa vedere, senza rendercene conto, come crollano tanti atteggiamenti superficiali nel culto che rendiamo a Dio. Non solo pratiche esteriori per sentirci in pace con la coscienza, ma ogni rinuncia, ogni sacrificio, ogni digiuno saranno veri se apriranno il nostro cuore e la nostra mente a gesti di riconciliazione, di misericordia. Percorreremo in salita la strada che porta verso cieli aperti, verso Dio, verso la vita eterna.
Impegno. Il percorso sinodale ci ricorda l’importanza del discernimento che siamo chiamati a fare nella nostra vita per scegliere che cosa tenere e che cosa, invece, è bene lasciare. Anche questa domenica puntiamo l’attenzione sull’altare, centro di tutta l’azione liturgica, luogo della memoria. Siamo invitati, come cristiani, a liberarci del rancore che ci portiamo dentro, scegliendo la riconciliazione. Si potrebbe valorizzare l’atto penitenziale.
† Don Pino