Basilio Gavazzeni: Meditazione notturna. Di seguito la nota integrale.
Serata fredda. Nessuno disturberà. Televisione azzittita. Telefonino annullato. Mi lacera il cuore il bisogno di meditare. Søren Kierkegaard ha scritto che si parla tanto di vite sprecate, ma che è sprecata soltanto la vita di chi non si è mai reso conto che Dio esiste e che lui, lui in persona, sta davanti a Dio. Gesù, liberami dalla sventura di ignorare che sto sempre davanti a Dio. Eppure come stargli davanti, se contemplo te, Gesù abbandonato all’«impero delle tenebre» (Lc 22,53)? Un giorno l’apostolo Filippo quasi ti ingiunse: «Mostraci il Padre e ci basta!» (Gv 14,8). Ma dov’è questo Padre? quale Padre? se mi torco dall’angoscia a vedere come ti raffigurò Matthias Grűnewald nella più straziante rappresentazione che esista della tua morte? «Deus absconditus»! Comodo il nascondimento! E quella smaccata dichiarazione: «In Christo crucifixo est vera theologia et cognitio Dei» innalzatasi nella disputa di Heidelberg all’ombra di Martin Lutero? E poi quel san Paolo riudito poco tempo fa in chiesa: «Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi» (Tm 8,32). Perdonami, Gesù, perdonami questa amara impuntatura contro il Padre, perdonami. Perdonami, tu, Padre, perché non so quel che dico. Il mio è il rigurgito di una visione del tuo mistero che mi inculcarono nell’infanzia, perdurò tutta la stagione del seminario fin oltre la licenza in teologia. Tardi, tardi l’ho riconosciuta erronea. Così a lungo ho creduto che l’uomo avesse contratto con Dio un debito irrimediabile; che Dio esigesse di essere pagato; che tu, Figlio di Dio, fossi stato costretto a incarnarti per soddisfarlo con il tuo sangue sul Calvario; che Dio finalmente placato ci avesse prosciolti dal debito. Forse semplifico, Gesù, ma l’interpretazione giuridica della Redenzione non si spingeva tanto più lontano. Allora, comunque, ciò non impediva una fervida vita cristiana e senza problemi il fiducioso “Padre nostro” veniva associato alla cruda “Via Crucis”. Tale visione sottende ancora il sentire di molti buoni credenti, ma per non pochi, insieme al problema del male, è stata lo scoglio contro il quale è naufragata la loro fede. Una visione che ripugna ancor più in giorni in cui sociologi e psicologi registrano l’attacco alla figura paterna accusata delle più oppressive nequizie. Gesù, quale maggiore intelligenza di fede ebbero i primi cristiani! Per loro era inconcepibile che tu, Figlio, avessi patito senza che il Padre avesse patito con te. Un pensatore come Origene, pur fiero apologeta della trascendenza divina, non esitava, tuttavia, ad affermare che il Padre «soffre una passione umana» (“Omelia su Ezechiele” 6,6). Con una formula perfetta san Gregorio Taumaturgo definiva «la passione dell’impassibile» la passione del “Deus caritas” incondizionatamente coinvolto con te nella storia umana. Non il Dio di Aristotele, ma il Dio-con-noi di Abramo, Giacobbe e Isacco, ferito nella sua paternità dai nostri peccati e dalla sofferenza del Figlio unigenito che se li accollava. Gesù, forse nel corso dei secoli i poveri di spirito e le anime più elette del Popolo di Dio erano inzuppati di questa verità senza trovare le parole per esprimerla. Ai teologi più geniali del Novecento è stato dato di riscoprirla e papa Giovanni Paolo II l’ha assorbita nell’enciclica “Dominum vivificantem” (n.39). La notte avanza. Gesù, illuminami ancora una volta sul mistero salvifico della tua morte. Racconta la “Genesi” che Dio, dopo aver comandato ad Abramo una prova inspiegabile, ne trattenne il coltello sacrificale e lo strabenedì. Ma come avrà tremato il cuore del vecchio patriarca quando Isacco, il suo unico, gli chiese: «Padre mio, ecco la legna per il sacrificio, ma la vittima dov’è?» (Gn 22,7). Ma, Gesù, quando sconvolto dalla paura della morte nel podere del Getsèmani «con forti grida e lacrime» (Eb 5,7) supplicasti: «Padre mio tutto è possibile a te, allontana da me questo calice» (Mc 14,36) e il silenzio si rinchiuse su di te, che cosa non avrà mai sofferto il Padre ammutolito? Padre, perdona, perdona, perdona i miei pensieri miserabili su di te. Gesù, comprendo. Sul Calvario agli umani eri visibile solo tu, elevato sulla croce, che versavi sangue, ma in realtà con te, Figlio amato, con-pativano, il Padre amante, lo Spirito Santo amore, inchiodati alla condivisa volontà di salvare «tutti gli uomini» (Tm 2,3). Quale mistero di sofferenza divina era congiunto al tuo corpo trafitto, Gesù! Ma, Trinità santissima, da quale baratro dovevi tirarci fuori con tanto dolore? Gesù liberaci dai pregiudizi su Dio, rovescia i pensieri con i quali ci ostiniamo a circoscrivere l’incandescenza dell’amore trinitario, non lasciarci sprecare l’esistenza ignorando che sempre, noi, noi in persona, stiamo davanti a Dio. Gesù, nelle tue piaghe nascondici e non permettere che siamo separati da te. È notte fonda. «Somno si dantur oculi,/ cor semper ad te vigilet»: se i nostri occhi si chiudono,/veglia in te il nostro cuore. Amen.