Riportiamo di seguito il testo dell’Omelia che Monsignor Pino Caiazzo, Arcivescovo di Matera-Irsina e Vescovo di Tricarico ha pronunciato questa sera nella Cattedrale di Matera durante la Messa crismale.
Carissimi confratelli nel sacerdozio, auguri a voi che siete stati unti con l’olio del Crisma per ungere e portare il profumo di Cristo ad ogni fratello piagato nel corpo e nello spirito. Vi saluto uno per uno con la gioia nello Spirito Santo che fa esultare, perché questo è il giorno in cui il presbiterio mostra il suo vero volto: il senso dell’appartenenza a Cristo e alla Chiesa che servite con amore e dedizione; dell’unico sacramento che ci lega più che il sangue nella famiglia; dell’unica missione per cui, ogni cosa che fa uno, appartiene a tutto il corpo presbiterale e alla Chiesa.
La provvidenza divina ha voluto che proprio in occasione di questo momento così solenne venisse dato l’annuncio ufficiale del nulla osta da parte della Congregazione dei santi per l’inizio del processo diocesano di beatificazione e canonizzazione di Mons. Vito Staffieri. Le Dioincidenze continuano a stupirci. L’Editto che ho emanato sarà esposto in tutte le nostre chiese per alcuni mesi per raccogliere tutte le informazioni e testimonianze di cui abbiamo bisogno.
Sento di ringraziare e benedire il Signore per il 10° anniversario di presbiterato di Don Antonio Di Leo, il 25° di S. E. Mons. Rocco Pennacchio e Padre Luigi D’Auria, del 50° di Padre Severino Donadoni e il 60° di Don Damianino Fontanarosa. Vi affido alla Madonna certo che il vostro “Fiat” quotidiano è sempre più vicino a quello di Maria, Madre di Gesù e Madre nostra.
Ricordiamo nella preghiera i confratelli sacerdoti ammalati come Don Cosimo Papapietro, e quelli anziani come Don Vito Andrisani, Don Damianino Fontanarosa e Don Vincenzo Sozzo.
Ma ringrazio il Signore per la prossima ordinazione presbiterale dei Diaconi Antonello Petrocelli e Stefano Casamassima. Anche la presentazione con il rito di ammissione al sacramento dell’Ordine del seminarista Carlo Casalaspro s’inserisce molto opportunamente in questa celebrazione: ormai abbiamo rotto lo schema che automaticamente al terzo anno di teologia si vivesse questo momento.
Mentre saluto il Signor Rettore del Seminario interdiocesano teologico di Basilicata, in questa riflessione una particolare attenzione è rivolta a voi seminaristi presenti a Potenza, Catanzaro e Posillipo.
Una speciale comunione, per la prima volta, con i confratelli sacerdoti della Diocesi di Tricarico, unita a questa di Matera-Irsina nella mia persona di vescovo. Abbiamo celebrato ieri sera in quella Cattedrale la Messa Crismale. E’ iniziato un cammino di comunione che ci porterà a vivere e condividere diversi momenti di vita spirituale e pastorale, incominciando dalla prossima giornata di santificazione sacerdotale presso il Santuario della Madonna di Picciano. Importante è stasera la presenza del Vicario generale, Mons. Nicola Urgo, che ringrazio dal profondo del cuore.
Questa celebrazione, carissimi fratelli e sorelle tutti, è chiamata Messa crismale. In realtà è la messa degli olii. Infatti, oltre all’olio del Crisma che richiede una particolare confezione attraverso un rito molto significativo che evoca il soffio dello Spirito, i profumi che vengono mischiati e la preghiera consacratoria che evoca il significato dell’olio richiamando la consacrazione di un tempo dei sacerdoti, dei re e dei profeti, vengono benedetti anche l’olio dei catecumeni e degli infermi.
Potremmo dire che nel cuore di questa celebrazione l’elemento dell’olio diventa fondamentale. L’olio frutto della terra e del lavoro dell’uomo è l’elemento principe in quasi tutti i piatti che quotidianamente vengono preparati nelle nostre case. Ma è anche l’elemento tipico dell’area mediterranea con particolare abbondanza e unicità sulle nostre colline che costeggiano la Val Basento, nonostante sia stata tanto abusata e bistrattata nel corso degli anni. Ci ricorda che Dio ha dato al suo popolo una terra ricca di olivi (Dt 6,11; 8,8). In questa celebrazione di oggi il significato è molto più profondo. Infatti nella terminologia delle preghiere che fra poco rivolgerò a Dio si mette in evidenza come l’olio, nella sua unzione del corpo, fortifica (Ez 16,9), dà bellezza, è medicina e balsamo per le ferite dell’anima e del corpo (Lc 10,34), fa splendere il corpo stesso e lo unge di profumo incominciando dal capo (Sl 132 (133),2).
Ma nella simbologia biblica l’olio è anche benedizione divina (Dt 7,13ss), segno di salvezza (Gl2,19) e simbolo di felicità escatologica (Os2,24). Ed è sempre attraverso l’olio che, soprattutto anticamente, si accendeva la lampada, con tre beccucci con altrettante fiammelle, a Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Ma nella Sacra Scrittura si parla anche di due olivi dai quali si ricava l’olio per il candelabro dalle sette lampade (Zc 4,11-14). Per noi la lampada più importante è quella che arde davanti al tabernacolo dove viene riposto Gesù Eucaristia. Senza dimenticare la luce votiva a ricordo dei morti che richiama la luce perpetua che risplende davanti a loro.
Gli olii santi, così come li chiamiamo, in ogni chiesa parrocchiale, devono avere una custodia speciale, bene in vista e non nascosta, con tutte le precauzioni, come per il tabernacolo. Dall’olio per i catecumeni che si preparano a ricevere il sacramento del Battesimo, sul petto, come medicina spirituale che abbraccia tutto il corpo, per difenderlo dagli attacchi del male; all’olio degli infermi, versato sulla fronte e sulle mani dell’ammalato per curare le ferite che procurano la partecipazione alla passione di Gesù Cristo: di certo c’è guarigione dal peccato e, se è nella volontà di Dio, anche quella del corpo; all’olio del Crisma offerto dalla comunità parrocchiale di S. Antonio in Matera che ricorda il 60° anniversario di erezione e dalla Polizia di Stato di Palermo, tratto dal Giardino della Memoria di Capaci, confiscato alla mafia, confezionato con l’essenza di bergamotto regalato dalla Diocesi di Locri, e del nardo portato da Don Pasquale Giordano dalla Terra Santa, che fin dal Battesimo rivela l’essere unto come Cristo e appartenere a lui in quanto sacerdote, re, profeta e martire; con la cresima il Signore conferma quanto già ricevuto da piccoli; il sacramento dell’ordine con l’unzione delle mani per i sacerdoti, del capo per i vescovi.
Ed è proprio il Profeta Isaia che nella prima lettura, ripreso nel vangelo da Gesù, parla dell’unzione fatta con l’olio dalla quale scaturisce la consacrazione che, per mezzo della potenza dello Spirito Santo, cambia completamente l’umano che viene inviato nel mondo per una missione di misericordia per ottenere la salvezza di Dio.
L’evangelista Giovanni, nel libro dell’Apocalisse, ci presenta Gesù come il Cristo, il Messia, l’Unto del Signore, l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente! Che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. E’ lui che ci ha consacrati come popolo sacerdotale a gloria del Padre per la salvezza dell’umanità.
Pongo a voi seminaristi questa domanda: perché noi sacerdoti siamo stati unti? La risposta è semplice eppure difficile da comprendere e vivere: essere come Gesù, l’unto di Dio per mezzo dello Spirito Santo. Non a caso l’olio non soltanto unge l’esterno e lo macchia, ma, nel suo carattere medicinale e sacramentale, penetra nei pori della pelle. Questo significa che siamo “posseduti” da Dio, di conseguenza, apparteniamo al Signore. L’unto di Dio deve necessariamente dare e mostrare con scelte concrete e precise l’amore misericordioso del Padre, non solo nel sacramento della riconciliazione, ma soprattutto nel perdonare torti o ingiustizie subite o che si pensa siano tali.
L’unto di Dio non può avere nemici, lui stesso è misericordia e perdono. Non può celebrare l’Eucaristia con il rancore o l’odio nel cuore, a maggior ragione se si tratta di confratelli sacerdoti. Questo significa che, per noi, partecipare a questa solenne liturgia eucaristica, fare memoria dell’infinito amore che Dio ha per noi e di come il nostro ministero sia impregnato di misericordia, ci porta ad essere la misericordia di Dio combattendo la buona battaglia della carità. Anzi questa è la vera carità. Senza questa carità ogni cosa, se pur lodevole, a favore dei bisogni della gente, non serve a nulla: si rischia, direbbe S. Paolo, di essere campane stonate. Non dimentichiamoci che l’olio che ha penetrato e continua a penetrare i pori della nostra esistenza è olio di consolazione, di tenerezza, di amore unico e fecondo, di offerta della propria esistenza senza chiedere nulla in cambio. “L’amore si dilata e respira nella gratuità. Occorre saper perdere del tempo per l’altro”. (Jacques Philippe). Diversamente faremo il gioco del diavolo che ci vuole impiegati o funzionari del sacro e divisi. Cari seminaristi e futuri sacerdoti, coltivate questa spiritualità, senza la quale è preferibile servire la Chiesa e Cristo nella diversità ministeriale che soprattutto in questo cammino sinodale si sta sottolineando.
Il venerabile D. Tonino Bello, diceva ai suoi sacerdoti di Molfetta-Ruvo-Giovanizzo-Terlizzi: «Il profumo che deve riempire il mondo è il servizio fraterno, ricco di speranza…Che cosa significa tutto questo per noi? Che, ad esempio, un sacerdote difficilmente potrà essere portatore di annunci credibili se, nell’ambito del presbiterio, non è disposto a lavare i piedi di tutti gli altri, e a lasciarsi lavare i suoi da ognuno dei confratelli…Convinciamoci che non sono credibili le nostre parole se perseveriamo in squallidi esercizi di demolizione reciproca. L’olio profumato della comunione ci faccia camminare insieme. Ci raccolga a tavola insieme. Come l’olio di Betania, quello della comunione ha un prezzo altissimo».
Come sacerdoti siamo chiamati a ungere il tempo che stiamo vivendo, pieno di arroganza, prepotenza, ingiustizia. Questo tempo è attraversato da noi, donne e uomini, giovani, ragazzi e ragazze. Nessuno può considerarsi esente da responsabilità. Non siamo figli di bandiere di partiti attorno alle quali ci raduniamo e ci facciamo avvolgere per essere strumentalizzati e usati. Siamo figli, quindi fratelli, che serviamo la storia abitata da persone limitate, fragili, a volte confuse e disorientate, ma ricche di umanità, di solidarietà che, spesso, parlano il linguaggio di Dio senza rendersene conto. Nello stesso tempo c’è un’umanità che, pur essendo religiosa e ricoperta di forme di religiosità, parla il linguaggio della divisione, delle distinzioni, dell’instabilità affettiva, esalta l’amore e la vita mercificata, la felicità da comprare a basso prezzo, dove i numeri prendono il posto della persona, gli uteri in affitto sono la nuova fabbrica dove vengono confezionati i bambini e venduti. Le contraddizioni sono tante, le menzogne e le illusioni trovano facile terreno e disorientano le nuove generazioni che cercano punti di riferimento ed esempi e non sempre li trovano. L’unto del Signore deve sapersi muovere in mezzo a quest’ansia e disorientamento sociale e morale.
Cari seminaristi e prossimi sacerdoti, questo è il mondo che vi aspetta e nel quale siete chiamati a calarvi. Non chiudetevi solo in pie pratiche religiose dove a volte c’è di tutto tranne Dio. Coltivate invece una solida vita spirituale, segnata quotidianamente da diverse ore di preghiera e meditazione, per saper camminare accanto all’uomo d’oggi, dialogare, annunciare la verità del Vangelo di Cristo, sapendo soffrire, piangere, gioire ed esultare.
In questo mondo si alza forte il grido di dolore di una umanità ferita e sanguinante che chiede di essere curata e sanata. Noi, carissimi confratelli sacerdoti, siamo chiamati a ungere corpi e anime perché torni a sentirsi il profumo di quell’olio con il quale siamo stati unti e consacrati. C’è bisogno di versarne davvero tanto perché questa è la vera profezia nella missione che ci è stata affidata.
E, allora, ritroviamo vigore ed entusiasmo nella fatica quotidiana rinnovando con gioia il nostro “Fiat”, sull’esempio di Maria, alzandoci di fretta e mettendoci in cammino verso la montagna che la storia ci sta consegnando. Prendiamo esempio dai nostri santi protettori Eustachio, Eufemia e Giovanni da Matera e ora anche Potito e Pancrazio.
Così sia.