C’era anche un Prelato uditore di origini lucane, Monsignor Pietro Amenta, all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2013 del Tribunale Apostolico della Rota Romana. Michele Capolupo lo ha intervistato in esclusiva per i lettori di www.SassiLive.it
Un parroco lucano oggi fa parte del Tribunale Apostolico della Rota Romana, quella che una volta era nota con la definizione di “ Sacra Rota”. Ci può spiegare di cosa si occupa e quali sono state le tappe attraverso le quali oggi è riuscito a raggiungere questo prestigioso incarico?
“Il Tribunale Apostolico della Rota Romana è un tribunale di secondo e terzo grado, ed è la più alta istanza giudicante nella Chiesa cattolica perché è tribunale pontificio, cioè che giudica le cause che vengono deferite allo stesso Pontefice. Esso è composto attualmente da 19 Prelati Uditori (Giudici) provenienti dalle varie regioni del mondo cristiano. Essi si avvalgono della collaborazione di un certo numero di Difensori del vincolo e Promotori di giustizia (pubblici ministeri), di notai, di un Capo della Cancelleria e di vari altri servizi (biblioteca, archivio, personale tecnico ausiliario). Gli uffici sono ospitati nel Palazzo della Cancelleria, che a suo tempo fu sede del governo pontificio e poi del governo provvisorio della Repubblica romana. I Giudici sono scelti liberamente dal Papa: i criteri di scelta sono anzitutto la competenza giuridica riconosciuta, poi si tiene conto anche una certa ripartizione geografica. La predominanza della lingua latina ed italiana fa sì che vi siano attualmente ben otto italiani, oltre a due spagnoli, un francese, un tedesco, un indiano, un ebreo, un libanese, uno scozzese, un brasiliano, un polacco, uno statunitense.
Ecco, da quanto detto, Lei può capire perché il sottoscritto è stato scelto per questo incarico: credo che abbiano tenuto conto della competenza, affinata come avvocato nei tribunali ecclesiastici d’Italia, come professore universitario, come giudice di I grado nel tribunale del Vicariato di Roma, per alcuni anni.
La mia «carriera», come Lei la chiama, parte da Matera, dove fui chiamato, subito dopo gli studi teologici, a fare il rettore del seminario vescovile, per un solo anno, quindi, subito dopo, fui nominato vicario parrocchiale a S. Paolo a Villa Longo e contemporaneamente Cancelliere Arcivescovile e Notaio del tribunale diocesano. Dopo la laurea dottorale e la pubblicazione della tesi, nel 1994, fui nominato parroco a Pomarico nel 1995, ma già in quell’anno giunse al Vescovo richiesta di essere prestato al servizio della S. Sede come Officiale della Congregazione dei Sacramenti, organismo che si occupava di molte questioni legali, tra cui quelle legate al matrimonio. Ci sono rimasto 15 anni, dal 1996 al 2012, quando il Santo Padre mi ha nominato Prelato Uditore della Rota. Sono stati 15 anni in cui ho potuto conoscere il mondo tanto particolare e complesso della Curia Romana e dove ho potuto imparare la pratica del diritto. Si aggiunga il fatto che nel 1997, avendo completato la pratica legale presso la Rota, ottenni il diploma di avvocato rotale, ruolo che ho esercitato da allora fino ad oggi, anche a Matera, Bari, Salerno, Firenze, Milano, Padova.
Oggi, come Prelato Uditore, mi occupo principalmente di dichiarazioni di nullità di matrimonio, ma anche di cause (poche) penali o contenziose (risarcimenti conseguente ad illecito amministrativo o a fattispecie delittuose).
Il valore del Matrimonio nel terzo millennio? Qual’è il punto di vista del Tribunale Apostolico della Rota Romana ed in particolare di Mons. Pietro Amenta?
Parlare del valore del matrimonio nel terzo millennio richiederebbe decine e decine di pagine. Posso solo dire che compito della Rota è da una parte difendere il valore del matrimonio naturale – oggi purtroppo sovente messo in discussione – cioè il matrimonio eterosessuale, unico, indissolubile, improntato alla fedeltà ed aperto alla generazione della prole. Questo è l’insegnamento della Chiesa ed io non ho una opinione personale diversa. La Rota ha anche il compito di aiutare i fedeli che sono costretti a confrontarsi con un matrimonio fallito, a ritrovare la serenità e a riacquistare la libertà di stato per convolare eventualmente a nuove nozze. Questo è un punto contestato da alcuni che non capiscono l’attività dei tribunali ecclesiastici e la paragonano erroneamente ad un «divorzio cattolico», aggiungendo maliziosamente che il tutto è fatto per sete di denaro. Non è così e può essere dimostrato per tabulas, anche se questo non è sufficiente a superare pregiudizi inveterati ed indotti da una certa stampa avversa alla Chiesa. Per questo motivo sono qualche volta intervenuto – mi sia permesso di dirlo – sul settimanale diocesano, per aiutare i fedeli a capire il senso di alcune questioni agitate dalla stampa di parte, come ad esempio, l’imposizione dell’IMU alla Chiesa o la storia denominata «Vatileaks».
Occorre riaffermare con forza il valore del matrimonio come unione di amore vicendevole tra uomo e donna. Tale è l’istituto naturale voluto da Dio e redento da Cristo. Non capiremo mai a sufficienza la fortuna e la grazia di aver avuto una famiglia che ci ha accolti e ci ha fatti uomini e cristiani, capaci di vivere in un mondo civile, costruttivi e solidali con i meno fortunati. Una famiglia dove abbiamo imparato soprattutto il valore dell’amore: la delinquenza, la devianza giovanile, i problemi di disagio sociale, i contrasti tra le classi, l’emarginazione di alcune categorie di persone, tutto ha origine nella famiglia e più spesso nella mancanza di un clima sereno ed affettuoso in seno alla famiglia. Spesso dietro la delinquenza, la droga, il disagio, vi sono famiglie disagiate o distrutte, rapporti di coppia squilibrati o violenti, abbandono di minori o minori maltrattati e persino usati come strumento di ripicca nei confronti del coniuge … E poi c’è l’assurdo tentativo di equiparare al matrimonio ed alla famiglia altri tipi di convivenza o di aggregazione di coppia. Non nego che lo Stato abbia il compito e forse anche il dovere di tutelare i diritti di coloro che scelgono una convivenza diversa da quella sancita dal matrimonio. Ma è sbagliato distruggere il valore del matrimonio, che nelle costituzioni di molti stati è il nucleo fondante della società, per promuovere altri tipi di convivenza. Ciò che si vuole fare con i tentativi di equiparazione tra matrimonio eterosessuale e convivenze in genere, quelle omosessuali comprese. Ciò è spesso presentato come un’istanza di progresso, ma non tutto è progresso, talvolta è regresso. Basterebbe guardare all’esperienza di altri popoli, che hanno fatto tale percorso prima di noi ed oggi corrono ampiamente ai ripari.
Da Grottole, centro della collina materana, al Vaticano? Qual’è il legame con la sua terra d’origine?
Da Grottole al Vaticano ci sono esattamente 446 Km, ma spesso la strada per arrivarci può essere più lunga, se si tratta di arrivarci per lavorare e non solo per turismo. Quando divenni sacerdote, pensavo a molti modi di esercitare il mio ministero, accarezzai persino l’idea di una scelta di consacrazione religiosa ed ho sempre pensato anche di dover dedicare qualche tempo alle missioni. Ma mai, lo giuro, ho pensato al Vaticano come luogo per esercitare la missione sacerdotale. Eppure, seguendo allora l’indicazione dei miei superiori, scelsi di intraprendere la mia formazione al sacerdozio presso il seminario romano. Non mancarono occasioni per visitare il Vaticano, ad esempio quando Giovanni Paolo II riceveva il seminario romano o quando, con qualche amico, riuscivamo talvolta ad intrufolarci nello Stato per fare acquisti agli spacci annonari del Vaticano o alla rinomata farmacia. Certo, sapevo che vi erano sacerdoti che aiutavano il papa nel governo universale della Chiesa, ma non ho mai pensato di avere io le qualità necessarie. Insomma, si trattava di un mondo lontano dai miei desideri e dalle mie aspirazioni. Io consideravo il Vaticano solo come l’abitazione del Papa, con tutta la venerazione che per Lui ci venne infusa dalla famiglia e dal mio vecchio, grande parroco, don Arcangelo: “Sempre col papa, fino alla morte, che bella sorte sarà per me”, ci faceva cantare quando il Vescovo visitava la nostra parrocchia! Oggi questo può sembrare di una ingenuità infinita, ma erano i mezzi attraverso cui allora ad un bambino veniva fatta percepire l’importanza delle cose. Oggi, dopo 16 anni di servizio alla S. Sede, sono diventato quasi un estraneo a molti, a Grottole. Quando ci torno, vedo ancora qualche volto che mi riporta alla mia infanzia: molti volti familiari li rivedo sulle foto al cimitero. Pur quasi estraneo, soprattutto ai più giovani, Grottole rappresenta le radici della mia vocazione: lì ho imparato a servire messa, li ho imparato a cantare nel coro, ho guidato il gruppo di giovani miei coetanei, lì ho maturato la devozione a S. Rocco, a S. Antonio Abate, soprattutto alla Santa Vergine tanto che, quando mi capita di partecipare a quei momenti di devozione, i ricordi della mia vita di ragazzo e di giovane si accalcano alla mente e con commozione ripenso a come la Divina Provvidenza ha condotto i miei passi per strade per me del tutto impensate. E’ come vedere un ricamo al verso dritto, quando invece prima era vederlo al verso contrario, senza percepirne i contorni, l’armonia ed i colori, che ora appaiono nell’ordine con cui l’ha voluti Chi intesse la vita degli uomini.
Il numero di divorzi continua ad aumentare, cosa dice alle coppie che si rivolgono alla Rota per sposarsi nuovamente in Chiesa?
Il numero dei divorzi continua ad aumentare per tanti motivi: fragilità psicologica delle nuove generazioni, un concetto di amore improntato a sentimento epidermico e superficiale, inquinato dal pansessualismo imperante, soprattutto un clima culturale in cui ogni impegno umano è visto e vissuto all’insegna della precarietà. Nulla è definitivo, tutto può cambiare. Molta responsabilità è da attribuire alla sciagurata legge sul divorzio, degli anni ’70, anch’essa presentata agli italiani come una conquista di civiltà. Ed invece essa non ha fatto altro che indurre nelle nuove generazioni un senso di precarietà del vincolo coniugale al punto che oggi il divorzio è spesso non il risultato di veri ed insormontabili problemi di coppia, ma l’epilogo di un impegno di vita irresponsabile. Quanti giovani oggi si sposano senza la certezza di aver trovato il vero compagno della vita, ma solo per provare a vedere se funziona. Fidanzamenti che dovrebbero responsabilmente terminare sfociano nelle nozze, che hanno alla loro base fondamenta fragili. Spesso si scelgono le nozze perché tutti lo fanno, per la mancanza di altre prospettive, o peggio per un mutuo in comune o per la disponibilità di una casa già arredata.
Naturalmente, laddove non vi sono tali problematiche, i matrimoni funzionano, oggi come ieri e spesso si tratta di splendide storie di amore e di comunione tra persone. Nel mio ministero ho avuto la grazia e la consolazione di vedere tante storie di giovani felici di essere marito e padre, moglie e madre di figli, con la gioia di donare la vita e contribuire così alla costruzione della società degli uomini.
A chi sceglie di vivere la propria vocazione al matrimonio, mi sento di dire di non partire mai con il piede sbagliato, scegliendo il matrimonio non come impegno di tutta la vita ma come esperienza limitata nel tempo. Spesso è proprio questa l’anticamera del divorzio. E poi, di non correre dall’avvocato alla prima avvisaglia di difficoltà. Il matrimonio, come comunione di persone, richiede di limare continuamente le proprie esigenze a favore dell’altro: il Codice civile italiano parla di «interessi ed esigenze preminenti della famiglia». Ciò vuol dire che l’uomo e la donna che scelgono il matrimonio devono anteporre alle proprie esigenze o aspirazioni gli interessi della coppia. In pratica, di tratta di combattere l’individualismo, che mina alla base un progetto di convivenza: non si può vivere con una persona e rivendicare continuamente le mie esigenze, i miei interessi, le mie inclinazioni, i miei desideri. Al contrario, matrimonio è vivere in funzione della felicità dell’altro mettendo in comunione con lui tutto, anche le cose meno piacevoli o più spiacevoli, cercando nell’altro l’amico che aiuta e che risana. Solo allora, dico parafrasando una canzone di Mina, la montagna che ti sovrasta l’avrai presto sotto i tuoi piedi. Basta amare solo un po’ di più. Ed infine, come non esortare a fidarsi della grazia di Dio, che accompagna gli sforzi dell’uomo e risana le ferite dell’egoismo? Forse anche una carenza di educazione cristiana sta alla base di matrimoni precari.
Se poi realmente ci si deve confrontare con un fallimento, non è sbagliato affidare alla Chiesa il giudizio sulla validità del proprio matrimonio: quelle che sembravano all’occhio profano difficoltà potrebbero essere invece elementi di nullità del vincolo. L’opera dei tribunali ecclesiastici, in questo senso è volta a ridare ai fedeli la serenità di un giudizio autorevole sul proprio stato canonico e qualora si ottenga la dichiarazione di nullità del vincolo, una nuova prospettiva di vita, si spera con maggiore senso di responsabilità e maggiore maturità.
La nomina che Le è stata assegnata all’interno del Vaticano è motivo di orgoglio per tutto il popolo lucano, cosa ne pensa Monsignor Pietro Amenta?
Come membro del Tribunale Apostolico, posso dire di essere fiero di servire il Papa e di appartenere ad una classe di giuristi che hanno ottenuto fama in tutto il mondo giuridico di ogni epoca. La mia nomina è anche un riconoscimento del fatto che anche dalla nostra povera Basilicata possa giungere un contributo significativo alla Chiesa. Sono oltre due secoli che un lucano non entrava nel novero degli Uditori del Papa. Senza osare paragonarmi al cardinale Génnari, di Maratea, al cardinale De Luca, di Venosa, a don Giuseppe De Luca, di Sasso di Castalda, sono tuttavia lieto di poter dare con la mia attività un po’ di lustro alla nostra Basilicata. Ed a quelli che spargono pregiudizi sulla «Sacra Rota» senza conoscerla, io, che la conosco ora ancor più da vicino, dico che essa è composta di persone, sacerdoti o laici che siano, che lavorano con un senso ammirevole di abnegazione, con uno stipendio modesto in rapporto alle responsabilità, alle attribuzioni ed al carico di lavoro imposto a ciascuno, con spirito di professionalità e competenza sconosciute ai più. Certo, ci possono essere deficienze: l’uomo lascia l’impronta dell’imperfezione in tutte le cose che fa. Ma le imperfezioni – che dobbiamo ogni giorno combattere – sono di gran lunga inferiori a quelle che si favoleggia su certa stampa denigratoria, in cui si scrive che la Rota non è altro che un luogo dove si sfruttano le sventure coniugali dei fedeli per importare somme di denaro spropositate. Si tratta di affermazioni gratuite che non possono essere dimostrate e che pure ottengono il loro effetto diffamatorio. Certo, qualcuno sarà rimasto deluso dal confronto con un tribunale ecclesiastico, qualcuno avrà incontrato professionisti esosi, giudici impreparati ed eccessivamente severi, qualcun altro non sarà rimasto soddisfatto nelle sue aspettative. Ma ve ne sono altrettanti – e forse molti di più – che avranno ritrovato la serenità nella loro vita in una nuova unione coniugale proprio attraverso l’opera dei tribunali ecclesiastici. Le persone con cui ho finora lavorato lo possono attestare senza alcun dubbio.
Michele Capolupo