In occasione del Mese Missionario Straordinario Ottobre 2019, dal 24 al 29 ottobre l’Arcivescovo di Matera-Irsina, Mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, accompagnato dal Prof. Lindo Monaco, insieme al Presidente Nazionale del Rinnovamento nello Spirito, Prof. Salvatores Martinez, si è recato in Moldavia, il paese più povero d’Europa e con una presenza di Cattolici molto bassa, appena 20.000.
Monsignor Caiazzo è stato ricevuto da Vescovo di Chisinau S. E. Mons. Anton Cosa al quale ha consegnato l’immagine della Madonna della Bruna stampata sulla pietra, a ricordo perenne di questo momento ma anche come segno della comune devozione verso la Vergine Madre di Dio e Madre nostra, che unisce due terre, così lontane ma così vicine nella loro devozione a Maria.
L’Arcivescovo Caiazzo ha incontrato i sacerdoti e le comunità locali spostandosi lungo il territorio della Moldavia e lascerà in tutte le piccole comunità lo stesso segno della Madonna della Bruna.
Nei suoi interventi (quattro complessivamente), Mons. Caiazzo ha fatto dei collegamenti tra la cultura materana e quella moldava (ospitalità, chiese rupestri, pane…) e ha fatto riferimento alla presenza in Italia e Basilicata di tante donne moldave che lasciano le loro famiglie per lavorare come badanti.
Monsignor Caiazzo ha offerto anche ai sacerdoti moldavi convenuti a Chisinau una meditazione sul tema «La prima cosa è appartenere a Dio. Si tratta di offrirci a Lui» (Gaudete et exsultate, 55).
Di seguito l’intervento di Monsignor Pino Caiazzo in occasione dell’incontro con i sacerdoti della Diocesi di Chişinău.
“La prima cosa è appartenere a Dio. Si tratta di offrirci a Lui”
(Gaudete et exsultate, 56)
Carissimi confratelli sacerdoti, dalla conoscenza delle vostre antiche tradizioni ho imparato che l’affettuosa accoglienza riservata agli ospiti si manifesta con l’invito ad entrare nella stanza grande della casa, dove si celebrano i momenti importanti della vita, quali i battesimi, i matrimoni, le feste, civili e religiose, scandite dal calendario agricolo.
In questa grande stanza, stamattina, mi sento non solo ospite ma vostro fratello, perché battezzato come voi e padre come il vostro e nostro caro padre Vescovo S. E. Mons. ANTON COSA, che mi ha accolto con gioia e tante attenzioni. Grazie Eccellenza, perché casa sua è diventata anche mia. Grazie a voi confratelli sacerdoti presenti nella vostra meravigliosa terra e nella vostra giovane Chiesa: appena 26 anni!
Sono tanto felice di condividere con tutti voi queste giornate attraverso l’ascolto della Parola, la Preghiera e la celebrazione Eucaristica. Come nel giorno di Pasqua, dico: Cristo è risorto. E’ veramente risorto! ”Christos a ìnviat” ”Adeverat a inviat”.
Dalle mie parti, in Calabria, quando s’incontra una persona del proprio paese, soprattutto se giovane, non si chiede: “come ti chiami”? Bensì: “A chi appartieni”? Ed è difficile che si risponda dicendo nome e cognome dei genitori. Piuttosto si dice il nome del genitore ma con un soprannome che lo distingue da altre famiglie che portano lo stesso cognome ma sono completamente diverse come provenienza. In base alla risposta, l’interlocutore riesce a capire subito qual è la famiglia di appartenenza.
Il legame dell’appartenenza è molto più forte del semplice cognome. Infatti, in questo modo, si riesce a leggere tutta la storia di una stessa famiglia (nonni, zii, genitori, cugini), a individuare le abitazioni, le vie, il lavoro che svolgono, e così via.
L’appartenenza per noi indica la conoscenza delle nostre radici dalla quali proveniamo e riceviamo vita. C’è una storia che ci appartiene e che condividiamo. La cosa più importante e fondamentale è sapere a chi apparteniamo.
“Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo.
E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito” (1 Cor 12, 12-13). Noi cristiani possiamo essere moldavi, italiani, americani, russi, ucraini, rumeni, ma la nostra appartenenza è una sola: apparteniamo a Dio e alla Chiesa di suo Figlio, Gesù. Tante lingue, tante tradizioni, culture diverse ma un’unica fede che nasce dall’unico Battesimo che abbiamo ricevuto: siamo figli nel Figlio dell’unico Padre, Dio. Siamo abitati dall’unico Spirito che ci fa gridare insieme: “Abbà, Padre”.
Papa Francesco nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate, al n. 56 dice: “Solo a partire dal dono di Dio, liberamente accolto e umilmente ricevuto, possiamo cooperare con i nostri sforzi per lasciarci trasformare sempre di più. La prima cosa è appartenere a Dio. Si tratta di offrirci a Lui che ci anticipa, di offrirgli le nostre capacità, il nostro impegno, la nostra lotta contro il male e la nostra creatività, affinché il suo dono gratuito cresca e si sviluppi in noi: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rm 12,1). Del resto, la Chiesa ha sempre insegnato che solo la carità rende possibile la crescita nella vita di grazia, perché «se non avessi la carità, non sarei nulla» (1 Cor 13,2).
Questo senso di appartenenza ci fa sentire strettamente uniti a lui in un unico corpo: il Corpo di Cristo. Lui è il capo e noi le sue membra. Quest’intima comunione di vita ci mette sempre di più in relazione tra di noi. La storia di tutti i membri ci appartiene e ogni membro ha bisogno dell’altro affinchè il corpo agisca, si muova, attingendo a quella grazia divina che il Capo, Cristo, per mezzo della Chiesa non ci fa mai mancare.
Solo così possiamo intendere le parole di Paolo: “Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte” (1 Cor 12, 26-27).
Quando Dio pensò l’uomo lo immaginò come “un’opera d’arte”. S. Paolo ci aiuta a capire un aspetto importante: prima di crearlo Dio ha contemplato il suo Figlio, il Verbo eterno. “In [Cristo] ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà” (Ef 1,4-5).
Ognuno di noi guardando o ascoltando i figli di un’altra famiglia dice: “assomiglia a sua madre, a suo padre”; oppure: “Ha gli stessi atteggiamenti di…”. E’ un modo per riconoscere che quel figlio appartiene a quei genitori, fa parte di quella famiglia.
Nel libro della Genesi troviamo scritto che l’uomo fu creato “a immagine e somiglianza di Dio”. In questo dire c’è molto di più della somiglianza. “L’uomo è creato a immagine di Dio nel senso che è capace di conoscere e di amare, nella libertà, il proprio Creatore. È la sola creatura, su questa terra, che Dio ha voluto per se stessa e che ha chiamato a condividere, nella conoscenza e nell’amore, la sua vita divina. Egli, in quanto creato a immagine di Dio, ha la dignità di persona: non è qualcosa, ma qualcuno, capace di conoscersi, di donarsi liberamente e di entrare in comunione con Dio e con le altre persone” (Compendio del CCC, n. 66).
Bellissima è l’affermazione di S. Teofilo di Antiochia quando afferma:“Se dici: Fammi vedere il tuo Dio, io ti dirò: Fammi vedere l’uomo che è in te, e io ti mostrerò il mio Dio”( Libro ad Autolico).
Nei giorni scorsi, esattamente, domenica 14 ottobre, a Matera, città dalla quale provengo si è svolto uno dei tantissimi raduni, quello dei cuochi italiani. Alla festa nazionale ha partecipato anche la delegazione Romania-Moldavia. L’intento degli organizzatori è stato quello di promuovere la cucina mediterranea e la tradizione lucana, in questo vostro meraviglioso paese.
Le culture s’incontrano, le tradizioni si conoscono, l’arte della cucina si importa, ma il senso dell’appartenenza rimane. Niente e nessuno potrà cancellare le proprie radici. Così è per noi cattolici: la nostra identità, nella diversità, è unica. La nostra appartenenza diventa motivo d’orgoglio e volentieri ci offriamo a Dio che riconosciamo come nostro Padre.
Affermiamo che Dio ci precede sempre e ci anticipa in tutto. Da questa consapevolezza nasce il desiderio di offrire a lui tutto ciò che siamo e facciamo: siamo coscienti che tutto viene da lui e a lui ritorna. “Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore. [9] Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi (CCC 953).
E ancora Paolo dice: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,35-39).
Carissimi Dio non ci toglie mai nulla, nemmeno gli affetti più cari. Anzi, ci dona di più, molto di più di quanto abbiamo o siamo. La perdita di una persona cara procura dolori lancinanti, eppure il Dio di Gesù Cristo nel quale crediamo non è quello della morte ma dei vivi. Gesù ci ha promesso la vita eterna. Ciò che Dio dona ai suoi figli è la vita senza fine. Questa è la nostra certezza e consolazione.
Papa Francesco alcuni anni fa mi ha nominato vescovo di una Diocesi del Sud Italia, si chiama Basilicata, che io non conoscevo e che ora tanto amo: si chiama Matera – Irsina. Attualmente Matera sta vivendo un momento magico, unico: dall’inizio del 2019 è la Capitale della Cultura Europea.
Matera è una delle città più antiche del mondo insieme ad Aleppo in Siria, Petra in Giordania, Gerico in Israele. Di certo è la più antica d’Europa con 8.000 anni di storia con insediamenti umani.
Ogni giorno migliaia di turisti provenienti da tutto il mondo arrivano nella nostra piccola città: appena 63.000 abitanti. Eppure questa città fino al 1950 era definita “la vergogna d’Italia”. Moltissime famiglie vivevano nella case scavate nelle grotte insieme agli animali. Eppure questa povera e disprezzata città, è diventata tanto nobile e ricercata.
Ciò che ha animato da sempre gli abitanti di Matera è stata la fede in Gesù Cristo e la devozione alla Madonna della Bruna. Un popolo fiero delle sue tradizioni che non si è lasciato schiacciare dalla condizione miserevole nella quale si trovava ma che ha saputo risorgere, mostrando il volto nobile della vittoria sulla rassegnazione. La dignità dei poveri ha saputo tessere relazioni di vicinato, di familiarità, di fraternità, di aiuto reciproco, riuscendo a sopravvivere a situazioni di grande degrado ed emarginazione ed impegnandosi in un’azione di faticoso riscatto.
Sono venuto in mezzo a voi con l’animo di chi vuole imparare. Si, voglio conoscere le vostre tradizioni, la vostra storia, la vostra cultura, condividere la stessa fede nel Signore Gesù che fa nuove tutte le cose. Io e voi apparteniamo a Dio e siamo ministri della Chiesa del Figlio, Gesù, presente nel mondo.
Ho appreso che in questo mese di ottobre si celebra la Giornata Nazionale del Vino e la Festa del Vino. Ho letto che la Cantina di Milestii Mici è chiamata il paradiso del vino, a circa 18 chilometri dalla capitale Chişinău, con oltre 200 km di gallerie calcaree sotterranee da percorrere in macchina. 55 km della galleria sono adibiti a cantina e conservano oltre 2 milioni di bottiglie conquistandosi il titolo di cantina con la più grande collezione mondiale di vino.
Il vino è uno degli elementi che Gesù ha scelto per istituire l’Eucaristia. Mi verrebbe da dire che nella vostra stupenda terra c’è tanto di quel buon vino per poter celebrare la S. Messa nel mondo intero. Da qui, se pur fra tante difficoltà, riparte l’evangelizzazione necessaria a farci ritrovare intorno all’unica mensa come fratelli che attingono all’unico calice del sangue di Cristo.
Saranno giornate durante le quali sentiremo l’azione dello Spirito Santo che ci aiuterà a vivere la Parola di Dio.
Come Presbiteri, quindi Ministri dell’unico Maestro e Signore, Gesù, che ci ha scelti, costituiti e inviati, sentiamoci canali della grazia di Dio che passa attraverso di noi per inondare tante anime bisognose della consolazione dello Spirito, della luce della Parola, del Pane di vita eterna.
Grazie per la vostra accoglienza, il vostro affetto, la vostra testimonianza, il vostro sorriso.
† Don Pino