Riportiamo di seguito la prima lettera pastorale, in occasione del Natale, che il vescovo della Diocesi di Tricarico, monsignor Giovanni Intini, ha inviato alle Chiese diocesane il 7 dicembre scorso, giorno in cui, un anno fa, fu nominato Vescovo di Tricarico da Papa Francesco e a distanza di 10 mesi dalla sua entrata in diocesi.
“Venne ad abitare in mezzo a noi”. Messaggio augurale per il Natale 2017
Care amiche,
Cari amici,
il mio primo Natale con voi e desidero bussare idealmente alla vostra porta di casa per augurarvi: Buon Natale!
So che questo augurio si potrà scontrare con tante situazioni di sofferenza, di disagio, di tristezza, di malinconia, tuttavia io desidero sussurrarvelo con un filo di voce perché sia un raggio di sole, un ar-cobaleno che appare nel cielo ancora grigio della vostra vita, dopo un temporale inatteso. Questo augurio, se da una parte non cancella il vostro malessere, dall’altra annunzia che viene “… a visitarci dall’alto un sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte…” (Lc 1,78-79).
Questo è, infatti, il senso vero e profondo della Natività di Gesù: la luce di Dio prende un volto, un corpo, entra nella storia dell’uomo per abitare i deserti, le periferie, i bassifondi, i confini dell’esistenza umana e illuminarli, non con le luci artificiali delle grandi promesse a basso costo ma coinvolgendosi e contaminandosi nel vissuto quotidiano degli uomini, per assumerlo ed elevarlo alla giusta dignità umana.
Il Natale, perciò, non è una operazione senza identità di buonismo qualunquista in salsa commercia-le, no.
È il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Dio dei nostri padri che, come in antico ascoltò il gri-do del suo popolo schiavo in Egitto e lo liberò con mano forte, così, nella pienezza dei tempi, ha avuto compassione dell’umanità aggredita e lasciata mezza morta dalla disobbedienza del peccato e nel Suo Figlio Gesù, come Buon Samaritano, ha preso sulle sue spalle l’uomo per restituirgli dignità perduta.
Con una differenza: per questa opera di salvataggio dell’uomo, Dio, in Gesù, ha scelto la modalità della povertà; infatti “…egli, pur essendo Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma spo-gliò se stesso assumendo una condizione di servo…” (Fil 2,6-7).
Per questo i Vangeli raccontano la nascita di Gesù come un avvenimento anonimo rispetto all’evento del Censimento, vero atto di forza dell’Impero di Roma.
Fin dall’inizio, Dio non ama pubblicizzare il suo pellegrinare nella storia ma agisce efficacemente nell’anonimato di incontri, parole, gesti, sguardi che trasmettono vita, senza il bisogno di fare scal-pore.
Che contrasto con la nostra voglia di eventi, visibilità, successi che si rivelano vuote autocelebrazioni della nostra umana fragilità.
Per provare a “gustare” il Natale nel suo essenziale messaggio, che chiede anche a noi di decidere finalmente di “rinascere dall’alto”, vorrei offrirvi tre immagini del racconto evangelico della Nascita di Gesù, che ci interrogano e ci coinvolgono nell’oggi della fede.
1. LO DEPOSE IN UNA MANGIATOIA, PERCHÉ NON C’ERA POSTO PER LORO IN AL-BERGO.
Gesù nasce in una situazione di precarietà e questo per il “tutto esaurito” dell’egoismo umano che, fin da allora, pratica la cultura dello scarto, stabilendo chi deve vivere e chi no. Eppure, un rifiuto si è trasformato in grazia, perché il Bambino deposto nella mangiatoia diventa chiaro segno premoni-tore del bisogno vero dell’uomo che si illude di poter vivere di solo pane.
Quel Bambino è l’autentica risposta di Dio al bisogno dell’uomo: alla sua fame come alla sua auto-sufficienza.
A chi ha fame il Bambino della mangiatoia si offre come pane di dignità, nutrimento di libertà, bal-samo per le ferite del cuore.
A chi è blindato nella sua autosufficienza, invece, si offre come inquietudine del cuore, parola amara al palato che fa sentire l’insaziabile vuoto delle cose.
A gli uni e agli altri si offre come cibo che nutre relazioni di fraternità nell’orizzonte della speranza che non delude, della carità che cura e della fede che illumina.
Questa immagine del Natale ci mette in guardia dalla triste esperienza del non accogliere; può capi-tare oggi a noi di non accogliere Dio o di accoglierlo solo formalmente, perché sociologicamente cristiani e, di fatto, indifferenti.
Può capitare a noi di non accogliere non solo i nostri fratelli “stranieri” ma anche i familiari con i quali viviamo da separati in casa, continuando farisaicamente a recitare la parte delle persone per bene. E forse può anche capitare di non accogliere nemmeno noi stessi, perché corrosi interiormente dal tarlo della gelosia, dell’invidia, che ci spingono a vivere senza pace, continuamente alla ricerca di una classifica da scalare.
In questo Natale chiediamo al Bambino di Betlemme il dono di sentirci accolti e diventare acco-glienti per costruire la vita buona ispirati dal Vangelo.
2. NATO GESÙ A BETLEMME DI GIUDEA, AL TEMPO DEL RE ERODE, ECCO, ALCUNI MAGI VENNERO DA ORIENTE A GERUSALEMME.
La storia della fede, fin dagli inizi, è storia di cammini, non di un vagare senza meta ma di un cam-mino orientato di ricerca che approda all’incontro con Colui che si è fortemente desiderato.
Nel nostro cuore, spesso, udiamo una flebile melodia: “Come una cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?” (Salmo 42,2-3).
Questa melodia molto spesso ci capita di fraintenderla e interpretiamo la sete che ci abita come bi-sogno di cose o gratificazioni che, invece, finiscono per addomesticare la nostra coscienza e metterci sulla strada sbagliata. Altre volte, facciamo finta di niente e, felici della nostra colpevole sordità, ci rassegniamo a tirare a campare perché, tanto, non c’è niente di nuovo sotto il sole.
Invece, la sete del nostro cuore è sete del Dio vivente, non sete di idoli, di cose da possedere o di posizioni da difendere.
È sete di vita, sete di fede, sete di cambiamento, sete di incontro, sete di orizzonti nuovi, sete del bi-sogno di restituire la vita alla sua dinamica bellezza.
È la stessa sete che ha messo in moto la ricerca dei Magi i quali, sfidando la lunghezza, gli ostacoli e i pericoli del viaggio, si sono messi ostinatamente in cammino finché non hanno raggiunto la meta che ha consentito loro di provare una grandissima gioia; gioia che la cultura e le ricchezze che pos-sedevano non erano state in grado di donare loro.
Questo, nonostante il traumatico impatto con Gerusalemme dove Erode, la sua corte e gli esperti di religione hanno fatto di tutto per convertire i Magi al loro immobilismo rassegnato, fatto di certezze, di luoghi comuni e perbenismo da museo.
Tuttavia, ha prevalso il forte desiderio di ricerca e novità che Dio aveva seminato nel cuore di questi uomini.
Abbiamo noi nel cuore lo stesso desiderio di ricerca? La sete di Dio, che portiamo nel cuore, mette in movimento la nostra fede?
O ci siamo già fatti convertire dalla sindrome della rassegnazione, dell’immobilismo, della “dolcia-stra tristezza” che spegne ogni desiderio di vita e viaggio di ricerca?
La storia dei Magi deve riaccendere in noi il desiderio appassionato di una fede dinamica, che non ci addormenta il cuore ma ci fa camminare sulle strade della vita quotidiana fino all’incontro con Cristo nascosto in quei fratelli deboli, fragili, disagiati, profughi, anziani, malati, carcerati, bisognosi di attenzioni umane e spirituali.
Allora proveremo anche noi quella grandissima gioia che Dio offre a tutti coloro che si lasciano o-rientare dalla stella del mattino che non conosce tramonto, Cristo Gesù, che contempliamo Bambino a Betlemme.
3. TORNÒ A NAZARETH E STAVA LORO SOTTOMESSO. SUA MADRE CUSTODIVA TUTTE QUESTE COSE NEL SUO CUORE. E GESÙ CRESCEVA IN SAPIENZA, ETÀ E GRAZIA DAVANTI A DIO E AGLI UOMINI.
Termina così il Vangelo dell’infanzia di Gesù nella versione di San Luca. La vicenda del Natale ha come naturale approdo la vita quotidiana.
A Nazareth, senza clamori, mescolato nel tran tran delle fatiche quotidiane, c’è Dio che ha preso famiglia tra le famiglie.
Questa è la verità dell’Incarnazione! In questo cantiere di umanità, Gesù “pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì…” (Eb 5,8).
Che straordinaria riflessione: Gesù, pur essendo Dio, entra nella vita di ogni giorno per imparare, come ogni uomo, la fatica di crescere nella volontà di Dio, lasciandosi educare dalle vicende della vita.
Che bella lezione per noi! Il quotidiano è il cantiere per imparare a vivere e a consolidare la nostra umanità.
La vita quotidiana può diventare palestra dove imparare a vivere a patto che, come Maria, la Madre di Gesù, impariamo a custodire nel cuore la vita di Gesù.
Un cuore abitato da Cristo diventa capace di fare discernimento, filtrando gli eventi della vita per-sonale, attraverso la luce vera che illumina ogni uomo, che è Gesù.
Dunque, le festività natalizie sono una possibilità per ritrovare l’entusiasmo e la passione per tessere la trama quotidiana della vita, intrecciando i fili della vita con quelli della fede e crescere, così, non solo in età ma anche in sapienza e grazia.
Capacità di accogliere, desiderio di camminare, voglia di crescere sono i tre doni da chiedere al Bambino Gesù, perché il Natale non sia solo un’occasione di evasione festaiola ma, ancora una volta, l’opportunità di accogliere, nel Bambino di Betlemme, la Parola vivente di Dio che “porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà…” (Tito 2,11-12).
A tutti giunga il mio fraterno augurio per un sereno Natale, augurio che diventa benedizione: il Si-gnore vi benedica e vi protegga.
Faccia risplendere il suo volto su di voi e vi doni la sua misericordia.
Rivolga su di voi il suo sguardo e vi doni la sua pace. (Nm 6,24-26).
Buon Natale!
Il vostro Vescovo
Giovanni